venerdì 31 marzo 2017

SUOLO PUBBLICO: AVEVAMO RAGIONE NOI, MA LA RAGIONE E’ DEI BISCHERI…

Mercoledì scorso abbiamo votato in Consiglio Comunale la seconda proroga
delle concessioni di suolo pubblico attive al 31/12/2016. Praticamente le vecchie concessioni sono state prorogate una seconda volta, cioè fino al 31/12/2017, dopo la prima proroga al 31 marzo.

Di fatto ci sarà più tempo per le attività commerciali sangimignanesi per presentare le richieste di nuove autorizzazioni, o richiedere aggiustamenti a quelle già presentate, per essere così definitivamente in regola dal 1/01/2018. Il tutto richiesto anche dalle associazioni di categoria e con il benestare della Soprintendenza. Naturalmente ho votato sì. E fin qui “tutto” potrebbe dire qualcuno.

Ma la verità, almeno per me, è che poche altre volte come questa ho provato così tanta delusione e tanta mortificazione nell’esprimere un voto da consigliere comunale.

Il perché è presto detto. Avevamo chiesto fin dall’estate scorsa alla Soprintendenza che, mentre ci dettava  nuovi contenuti nel Regolamento, ci desse almeno la libertà di poter fissare un termine congruo (almeno un anno e mezzo o, alla peggio, un anno) per dare il tempo alle attività commerciali di adeguarsi.

Nel Consiglio comunale del 28 ottobre scorso dovemmo così approvare il nuovo Regolamento in fretta e furia perchè la Soprintendenza ci aveva detto categoricamente NO. Ed  occorreva che le nuove autorizzazioni fossero pronte fin dal 1 gennaio 2017. Una follia!
E noi giù a spiegare che era impossibile, che anche nella migliore delle ipotesi lei stessa, una volta posata "la penna rossa", non ce l’avrebbe fatta a dare risposta a tutti.

Soprattutto mi stupiva come, assieme alla più che necessaria tutela del bene pubblico San Gimignano, non si riuscisse a capire che dietro una nuova autorizzazione alle condizioni imposte dalla Soprintendenza, c’erano tanti soldi da spendere -e in poco tempo- per le pratiche, per i professionisti, per il rinnovo degli arredi, sedie, tavoli, ombrelloni, bacheche, espositori, etc.. Una mazzata per San Gimignano.

E così, guarda un po’ quello che era impossibile (e io dico invece maledettamente sensato) il 28 di ottobre diviene un po' più possibile a fine dicembre 2016, quando la stessa Soprintendenza si accorge che i tempi erano stretti. E via la prima proroga.
Poi, con l’approssimarsi della scadenza, e con la “scoperta” di un vincolo del ’28, non solo si richiedono alle attività altre documentazioni a firma di architetti (altri soldi e tempo), ma quello che era impossibile a ottobre 2016 e poi un po’ più possibile a dicembre 2016, diventa magicamente possibilissimo il 29 di marzo 2017.  Una roba degna di Kafka. La mortificazione di chi prova ad amministrare questa città.

Con un messaggio, a mio avviso, devastante da parte della Soprintendenza: chi ha rispettato non dico le regole, che quelle vanno rispettate sempre, ma soprattutto i tempi e ha fatto le corse è bello che servito. Della serie: che vi siete affrettati a fare? La solita Italia. 
Come se non bastasse, nel bel mezzo delle analisi delle varie autorizzazioni pervenute, sono cambiati alcuni funzionari. E così, "magicamente" quello che "stava bene" ai primi "non sta più bene" ai secondi e via con la sagra del Cor-Ten per bacheche e spallette...
  
Preciso che ho massimo rispetto, da sempre, per tutte le articolazioni dello Stato, Soprintendenza inclusa. Ma questo atteggiamento non è accettabile e merita di essere stigmatizzato.

Due ultime considerazioni.

La prima. Noi amministratori, a differenza della Soprintendenza, non abbiamo solo il compito di tutelare il nostro Centro Storico. Abbiamo anche la responsabilità di consentire a tante famiglie di poterci vivere e di poterci lavorare. Ciò implica fare delle scelte tenendo insieme tutti i desideri diversi, gli interessi diversi, tutte le diverse esigenze e minimizzare gli effetti collaterali a volte indesiderati. Trovare un equilibrio è la responsabilità di chi amministra tenendo insieme tutto questo, evitando la città museo e il supermercato a cielo aperto.

Se, a causa di scelte imposte dalla Soprintendenza nel nuovo regolamento, alcune attività vedranno calare i loro introiti e chiuderanno, anche per la dinamica degli affitti, perché magari non potranno più esporre la loro bacheca, abbiamo arricchito o impoverito San Gimignano ed il suo Centro?

E domando ancora: in questi anni San Gimignano non aveva raggiunto un suo equilibrio senza diventare una  città di “cartapesta” né una nuova “San Marino”? La risposta è sì!
Seppure in un quadro di regole sicuramente perfettibile e maggiormente controllabile nella sua applicazione, la nostra città ha garantito in questi anni l’equilibrio tra la tutela del bene culturale, il diritto a vivere dentro il centro, il diritto a svolgerci un’attività. In poche parole, a tenere vivo il Centro Storico.

Ecco: la fretta che ci è stata imposta io l’ho letta come la negazione di tutto questo. E per me non è accettabile. Per rispetto di chi l’ha amministrata, di chi ha scelto di viverci e di chi ha deciso di investirci dei soldi per la sua impresa. Di noi Sangimignanesi.
Perché poi mi capita di andare in Piazza del Campo a Siena o mi capita di andare in via Martelli a Firenze e vedere le tende (bianche!) di Eataly che mi parano il Battistero ed un po’ di bile mi sale...



Seconda ed ultima considerazione, anche se risulterà impopolare.
Ho francamente fatto fatica a capire il ruolo dei vertici provinciali delle due principali associazioni di categoria in tutta questa vicenda.
Il giorno prima del Consiglio Comunale del 28 ottobre intimano a mezzo stampa al Consiglio Comunale - dunque a noi consiglieri comunali che di norma non ci fila mai nessuno – di non approvare alcun regolamento. Soprattutto non una parola verso la Soprintendenza. Restiamo allibiti e rispondiamo che,forse, hanno sbagliato un tantino bersaglio: le novità nel regolamento ci sono in larga parte imposte,  noi avremmo certo voluto aggiornarlo ma sicuramente in un lasso di tempo più congruo e razionale di almeno un anno, un anno e mezzo.

Abbiamo poi spiegato loro che lasciare il vuoto e non approvare un Regolamento guida sarebbe stata una sconfitta per San Gimignano, che ha regole in tal senso dal 1988, e che farlo andava prima di tutto nell’interesse dei loro associati, quelli che dovrebbero difendere, perché gli orienta negli investimenti senza mandarli direttamente in pasto alla Soprintendenza. 
Poi, a febbraio/marzo 2017 chiedono al Comune una proroga. Dico: allora non era tanto più semplice unirsi a noi fin da subito nel chiedere tempi più ragionevoli alla Soprintendenza? E quelli che hanno fatto le cose nei tempi? Mistero e buio fitto.


giovedì 23 marzo 2017

AL VIA I CONGRESSI DI CIRCOLO PD A SAN GIMIGNANO



Al via i congressi di circolo a San Gimignano, stasera dal circolo Centro storico.
Più della nuova conta sui voti mi interesserebbe discutere cosa sono stati i 1000 giorni di larghe intese
, che hanno visto certamente interventi positivi, ma che hanno registrato errori e sconfitte clamorose, conseguenze nefaste sul piano del consenso politico ed una direzione del governo e del Pd tale da portare lacerazioni e divisioni. Che vanno ricucite.
Discutere, nonostante le mozioni siano a compartimenti stagni, dell'analisi su cosa ci è successo in questi 10 anni e negli ultimi 4 in particolare (questa è una delle lezioni che ci lascia Reichlin, ad esempio); delle idee che abbiamo in comune in tutto il Partito e non in una sola mozione; della collocazione chiara nel campo del centrosinistra, magari dicendolo chiaro prima del voto; di un modello condiviso di partito che certamente vogliamo plurale, ma che metta al bando le incontrollate iscrizioni on line, i comitati elettorali permanenti lasciando finalmente spazio alla valorizzazione della partecipazioni di iscritti ed elettori con consultazioni di indirizzo, così come previsto dallo statuto sin dal 2007 e da allora sempre disapplicato; di come applicare veramente il codice etico e di come mettere definitiva trasparenza nelle fondazioni politiche quando l'unica fondazione dovrebbe essere quella del Pd.
Infine, per non dire soprattutto, quando avremmo finito di inseguire Grillo sul suo terreno preferito, torniamo a parlare agli Italiani dei programmi per l'Italia a cui dobbiamo dare ancora lavoro, diritti, uguaglianza delle opportunità senza le quali non ci sarà mai merito, istruzione, progressività nella tassazione, efficaci strumenti di lotta alla povertà e molto altro ancora.
Perché 'forse' è ciò che si aspettano da noi e, al momento, tra il capolavoro della scissione e la nostra (presunta) 'superiorità' da "ciaone" i cari sondaggi ci danno terza forza nel Paese.
Credo ancora nel progetto del Pd e mi interessa toglierlo da questo tunnel in cui si è infilato. Così come vorrei tentare di riportare all'impegno e alla politica tanti delusi o chi se ne è andato.
Mi impegno per questo nel congresso, che avrei voluto meno di fretta e più condiviso, con l'auspicio di uscirne più forti e più uniti di come ci stiamo entrando. Perché di un Pd forte ha bisogno la sinistra.
Dal giorno dopo, però, tutti al lavoro col nuovo segretario per recuperare il terreno perso e per il bene dell'Italia.
Innamoriamoci delle idee e meno delle persone.
Grazie al PD San Gimignano per aver organizzato al meglio i congressi per l'espressione degli iscritti, grazie a tutti coloro che si sono impegnati per prasentare le mozioni.

mercoledì 22 marzo 2017

ADDIO AD ALFREDO REICHLIN

Voglio ricordare prima di tutto il compagno partigiano delle Brigate Garibaldi, esponente di quella straordinaria generazione che si avvicinò alla politica passando dall'esperienza della Resistenza.
Mi hanno sempre colpito di Alfredo Reichlin due aspetti.
Il primo: la sua modernità. Lontano anni luce dalle faziosità e dalle tifoserie che caratterizzano oggi giorno le appartenenze politiche, capace di analisi profonde come era nella scuola del PCI. Era, a mio avviso, costantemente in grado di guardare più in là della fase contingente, non limitandosi alla critica fine a se stessa ma accompagnandola sempre ad una proposta politica e programmatica. Ricordo, negli anni in cui iniziavo ad occuparmi di politica, i suoi scritti dallo sguardo innovativo, spesso con Giorgio Ruffolo, sul ruolo della sinistra nel mondo avviato alla globalizzazione. A dispetto della sua età una mente aperta, libera, sempre autocritica e al tempo stesso propositiva. In confronto a tanti replicanti di oggi, modernissimo.
Il secondo: l'umiltà. L'umiltà dell'uomo di sinistra, che non smania per la carriera, che sa stare al suo posto, che sa che c'è una fase da vivere in prima persona ed una fase da guardare in seconda fila. Tutto ciò senza mai rinunciare al proprio contributo culturale, politico e programmatico. Un gigante rispetto al carrierismo odierno.
Infine, su tutto, i valori saldi, di una sinistra autenticamernte riformista.
Ricordo del sospiro di sollievo che tirai, nel 2007, quando Reichlin fu indicato presidente della commissione che avrebbe scritto il Manifesto dei Valori del Partito Democratico. Ci sentivamo in buone mani, e fu così.
Un Partito a cui, non poteva essere diversamente per la sua figura, non ha mai risparmiato critiche e suggerimenti gratuiti.
Ecco: oggi non riproporrò il suo ultimo articolo ("Non lasciamo la sinistra sotto le macerie"), ma lo saluto con l'invito a rileggere quel Manifesto dei Valori del Partito Democratico. E ad esserne conseguenti.

lunedì 13 marzo 2017

IL LINGOTTO E’ DI TUTTI NOI DEL PD

La dico così per chi è del PD (così gli altri passano a cose migliori) e si appresta a questa “stagione breve”, quasi “lampo”, di congresso: al Lingotto di Torino, dal 10 al 12 marzo, avrebbe dovuto esserci tutto il Partito Democratico. Non una mozione, non una parte sola.

Premesso che ogni occasione di discussione politica e di coinvolgimento è la benvenuta e che ognuno si riunisce come e dove vuole, non ho seguito i lavori un po’ perché impegnato in altro un po’ per scelta. Leggerò e ascolterò cosa ha prodotto la reunion renziana, come ho sempre fatto. E sono convinto che troverò anche stavolta idee e valutazioni interessanti.

Tuttavia quello che qui voglio ricordare è che il Lingotto è il luogo simbolo del PD, dove il PD è nato per unire e fondere culture politiche, non per chiudere un cammino ma per aprirne uno nuovo ed unitario, per allargare il campo di una sinistra che vogliamo certamente plurale ma inclusiva e non rinchiusa. 
Fare una Italia nuova. Riunire l’Italia, farla sentire di nuovo grande”, “Unire gli italiani, unire ciò che oggi viene contrapposto: nord e sud, giovani e anziani, operai e lavoratori autonomi”, diceva Veltroni all’inizio del suo discorso del 2007.

Il Lingotto, dunque, come simbolo e luogo fisico dell’unità della sinistra riformista italiana, dell’unità del Partito Democratico che si candida a guidare l’innovazione del sistema politico e del sistema istituzionale.
Per questo penso che lì, 10 anni dopo, avrebbe dovuto esserci tutto il partito. Avremmo dovuto esserci tutti, dal Segretario nazionale al coordinatore del più sperduto circolo d’Italia. 

A ragionare su cosa è stato il PD in questi 10 anni e su cosa non è stato - verrebbe da dire -, su come si sta e siamo stati insieme, su come funziona ed è organizzato sul territorio, su come si finanzia e coinvolge i propri iscritti e simpatizzanti magari usando meglio i circoli ed un po' di più la tecnolgoia, su come si sta insieme tra di noi quando siamo al governo e quando siamo all’apposizione, su cosa ci hanno insegnato e lasciato questi 4 anni di governo di maledette larghe intese e cosa andrebbe corretto e migliorato, con chi vorremmo allearci se andremo verso la sciagurata ipotesi del proporzionale puro, dicendolo prima e non dopo. 

Su quale è la nostra idea di contrasto alla povertà dilagante, alla disuguaglianza crescente, sulle idee per la leva fiscale, su quali politiche industriali per l’economia circolare e quali strategie per la doppia emergenza di questo secolo: la crisi energetico-climatica e l’immigrazione. 

Del perché non intercettiamo il consenso dei giovani e come, nel mentre ed intanto, ci attrezziamo almeno per farli contare un po' di più in Italia, dandogli voce e rappresentanza. 

Di come sia sbagliato, soprattutto a sinistra, non avere l’umiltà di ascoltare. 
Di come sia impossibile governare sempre, e soprattutto in una fase in cui c’è una contestazione fortissima in tutta Europa verso le varie manifestazioni delle élite, attraverso il “ce ne faremo una ragione” ripetuto ai sindacati o attraverso i “ciaone” dopo una consultazione referendaria in cui il popolo, tanto o piccolo che sia, si esprime dopo averlo invitato caldamente a disertare le urne.

Così come avremmo potuto e dovuto ragionare assieme ed affinare meglio politiche e strategie sui temi del mercato del lavoro, sulla scuola, sui diritti civili, sulla sicurezza, sul ruolo delle città, sull’agricoltura. 
Politiche e strategie che, anche per merito di Renzi va detto, hanno avuto il merito di essere affrontate con determinazione da riforme necessarie, ma quanto realmente condivise?

Chiamatela conferenza programmatica o come vi pare se così non fa troppo figo, ma al Lingotto avrebbe dovuto esserci un partito intero a discutere di queste cose: senza conte, senza nomi e senza fretta. 
Provando a definirsi e a definire, finalmente, un profilo politico-programmatico condiviso, alla luce di questi 10 anni e di questa travagliata legislatura.

Ho scritto qui, subito dopo la batosta del referendum, che non possiamo più essere il partito del ‘tutto e del contrario di tutto’. Facendo finta di niente. Anche nei confronti di quelle proposte positive che abbiamo messo in campo e che dobbiamo radicare di più e meglio.

A chi, come me e tanti altri seppure nel loro piccolo contesto locale, ha vissuto in prima persona quella fase dieci anni fa male vedere il Lingotto “usato”, neanche troppo velatamente, a scopo di parte. 

Non c'è solo una parte che può considerarsi e autoproclamarsi la vera “erede” del PD del Lingotto, l’interpretazione autentica di quello spirito. Non ci devono essere tra di noi i più ganzi e i meno ganzi, ci deve essere una comunità politica che sta insieme per unire le forze riformiste del nostro Paese, per cementarle in una proposta di governo che le conduca, finalmente e senza larghe intese, al governo del Paese - se non da sole almeno in coalizioni corte, realmente omogenee - e soprattutto radicate nel campo del centro sinistra.
E che lo faccia nel rispetto reciproco e della maggioranza e minoranza di turno. Quella “forza riformista che, unita, l’Italia non ha mai avuto”. “Il partito – ancora Veltroni - dell'innovazione, del cambiamento realistico e radicale, della sfida ai conservatorismi, di destra e di sinistra, che paralizzano il nostro Paese”. E' il motivo per cui resto convintamente nel PD, nonostante tutto.

Dal discorso del Lingotto emergeva un messaggio di unità che la sinistra, almeno quella che voleva e vuole  ancora fare i conti con il Governo, non aveva mai conosciuto; una prospettiva di unità fortissima di culture diverse – quella socialista, comunista progressista, cattolico democratica, ulivista, ecologista – che si mettevano insieme per lanciare un messaggio unitario al Paese.

Oggi, scegliere quel luogo per una sola parte, come terreno di sfida e di rivincita dopo la prima vera scissione nella storia del PD – per quanto triste nelle idee e povera nei numeri, ma pur sempre dolorosa e da rispettare e da comprendere –, lo trovo un segnale in netto contrasto col messaggio unitario che il Lingotto ha sempre rappresentato.
Oltre che l’ennesima prova che, davvero, non si è capita la delicata fase che stiamo vivendo, soprattutto dal post referendum costituzionale. 
Difficile essere credibili parlando di unità ora, dopo una scissione (che per chiarezza non condivido per nulla, essendo invece molto più preoccupato di quella diaspora silenziosa avvenuta già in precedenza da parte di tanti iscritti, anche a livello locale), e dopo aver governato contro tutti e con il “ciaone”, pur sapendo bene quanto, da sempre, sia difficile il riformismo in questo Paese.

L’unità non è una narrazione. Ma una pratica quotidiana, fatta di ascolto, di reciproco rispetto. Vale per i renziani quanto per gli ormai scissionisti. L’unità è fatta, soprattutto, da toni, parole, gesti, comportamenti, disponibilità e sintesi del segretario politico di turno, che è il primo ad avere e a dover sentire questa responsabilità.
La scelta del Lingotto va, a mio avviso e buon ultima, nella direzione opposta.
A me pare che, ancora una volta, a sinistra l’atteggiamento sia più quello della sfida che quello del dialogo.

Caro Matteo non permetteremo a D’Alema di distruggere e di dividere ulteriormente il PD, ma neppure a te. Perché è tuo quanto mio. Perché è, in una parola, nostro. E non di uno solo. Perché la leadership è importante, ma è il collettivo che smuove e radica il consenso e cambia le cose.

Al Congresso sosterrò la candidatura di Andrea Orlando, dopo che ne ho letto la mozione (quanto gente che si schiera senza aver letto un bel nulla) che mi convince per larghi tratti, a partire da un metodo di conduzione di maggiore ascolto e più inclusivo, assai diverso di quello conosciuto fin qui, e per alcune proposte utili a correggere la nostra rotta, tornando a dialogare con tutti. Ho letto, naturalmente, anche quella di Matteo (che l'altra volta votai, finendo l'idillio dopo appena tre mesi con l'operazione da prima Repubblica fatta al Governo Letta. Anche lì: a chi lo chiedeste se eravamo d'accordo o no?), e ci trovo alcune cose più che condivisibili. Purtroppo il congresso per mozioni è strumento divisivo di per sè:  le mozioni - che che se ne dica - sono fatte per non dialogare tra loro. Non sono tesi che si possono condividere, emendare, affinare per diventare patrimonio di tutti. Le mozioni sono monoliti. Ma ci sono ragioni nelle une quanto nelle altre. Anche per questo sarebbe servito un momento unitario vero sui programmi, sul profilo politico-programmatico del partito. Magari proprio al Lingotto.

Resto convintamente del PD e nel PD che ho fondato, non mi sento un reduce di nulla nè un gazzilloro di prime seconde o terze ore. Coltivo l'ambizione politica che descrisse bene Walter ormai dieci ani fa: fare un'Italia nuova, portare finalmente e per bene la sinistra al governo grazie ad una grande forza riformista che l'Italia non ha mai avuto. Un progetto politico di cui il PD è strumento, e mai fine, di partecipazione popolare, di cambiamento e di innovazione della politica e del sistema istituzionale. Ancora siamo lontani dall'obiettivo, il referendum è lì a dimostrarcelo. E servirebbe una maggiore dose di analisi e di autocritica sul perchè. Anche per questo continuo a stare nel mio partito ma da uomo libero, senza occhi foderati di prosciutto, consapevole delle dfifficoltà enormi che abbiamo di fronte. Soprattutto senza alcuna corrente, ma con spirito autenticamente unitario. Dopo il congresso, tutti al lavoro con il nuovo segretario, facendo la cosa più moderna che ci sia: occuparsi delle persone, delle nostre terre e del nostro Paese.

giovedì 9 febbraio 2017

GIOVANI: L’ANOMALIA ITALIANA



Ieri due notizie a dir poco contrastanti: “assunta al 9° mese di gravidanza” e “si uccide a 30 anni, precario, di una generazione perduta”.
Sulla prima, solo due considerazioni: stupisce che faccia notizia, perché in un paese moderno non dovrebbe esserlo; servono uomini (imprenditori e non) così.
Sulla seconda, fa notizia eccome. Come deve fare notizia il livello italiano di disoccupazione giovanile. Perché se già non è accettabile di morire sul lavoro, non vorrei che cominciassimo ad “abituarci” alle morti per assenza di lavoro, valore fondamentale della nostra Costituzione.

Ne scrivo malvolentieri, perché dio solo sa il travaglio interiore che deve essere passato dentro a questo nostro coetaneo. E però la sua lettera ci dice del dramma di generazioni che si scoprono come derubate del proprio futuro, e di come, alla fine, venga meno quello che di solito è ciò che non dovrebbe mai mancare in un giovane: la voglia di fare, di lottare. Di reagire. Perché anche questi ormai sono vissuti come valori inutili, non appaganti. Dunque il conflitto generazionale è come disattivato. Manca la spinta al rinnovamento e la società rimane rigida, poco reattiva davanti alle grandi sfide. A tutto ciò segue la poca mobilità sociale.

Da sempre sono i giovani la parte più dinamica di una società: sono loro a rinnovare le tradizioni, sono loro a superarle, sono loro a sperimentare, sono loro a proporre con forza idee e visioni nuove della realtà. Oggi tutto questo, in Italia, non avviene più, o solo in pochissimi casi.

E poi in Italia, si sa, oggi i giovani sono pochi  e hanno poca voce, poco peso, anche politico. Non è un caso che la politica si interessi poco di loro. Ma se non vogliamo rischiare del tutto quello è stato definito un salto di generazione, le politiche giovani-lavoro, giovani-formazione, giovani-saperi devono tornare ad essere l’assillo principale di qualsiasi governo, facendo i conti col mercato del lavoro che cambia e con le nuove tecnologie che modificano profondamente la disponibilità di lavori e la tipologia stessa dei lavori.

Non servono nè le paternali, nè le frasi di disprezzo di alcuni esponenti politici. Serve la Politica.


“Non possono più restare senza risposta le grandi domande dei giovani i quali, per la prima volta
dal dopoguerra, non hanno fiducia nel futuro e temono un destino di precarietà e insicurezza permanenti.
È tempo di abbattere gli ostacoli che vengono da una società chiusa, soffocata dai corporativismi, e che difende l’esistente e le rendite di posizione.
Ridare voce ai giovani è essenziale perché sono loro a porre quella domanda di valorizzazione dei talenti e delle energie e di liberalizzazione della società che è ormai ineludibile”.

martedì 7 febbraio 2017

UNA STRATEGIA ENERGETICO-CLIMATICA PER L’ITALIA



Pubblicato anche per l'Italia il Riesame dell'attuazione delle politiche ambientali dell'UE.
Si fa un gran parlare delle possibili procedure di infrazione per lo sforamento dei parametri economici stabiliti per la UE, ma si dimenticano troppo spesso le procedure di infrazione già aperte, e quelle che verranno sicuramente, in materia ambientale.

Le principali sfide in relazione all'attuazione in Italia delle politiche e della normativa ambientali dell'UE restano, ancora:
- migliorare la gestione dei rifiuti e le infrastrutture idriche, così come il trattamento delle acque reflue, che rappresentano delle preoccupazioni persistenti, in particolare, nel Sud Italia;
- migliorare la gestione dell'utilizzazione del suolo, delle alluvioni e dell'inquinamento atmosferico nelle regioni centrali e settentrionali (lo smog killer di queste settimane è a lì a ricordarcelo un filino).

Qui il rapporto: http://ec.europa.eu/environment/eir/pdf/report_it_it.pdf

Proprio venerdì scorso ho partecipato alla assemblea provinciale degli Ecologisti Democratici, associazione di persone fuori e dentro il PD che si batte perché le politiche ambientali diventino il comune denominatore delle scelte pubbliche. Soprattutto a e da sinistra. 
Stando al mio campo continuo a pensare che, nonostante fosse uno dei pilastri su cui abbiamo costruito il PD, questa scelta politico-culturale sia ancora ben lontana dal potersi ritenere acquisita.

Nel giugno del 2013 la nostra associazione pubblicò il manifesto: “Il futuro dell’Italia ha un cuore verde”. Sottotitolo: "Un new deal ecologico per uscire dalla crisi". 

Ebbene, da allora ci sono stati dei singoli provvedimenti, di alcuni abbiamo discusso anche alla Festa Ecodem a San Gimignano nel 2015 (reati ambientali, agenzie ambientali, spreco alimentare, collegato ambientale alla finanziaria 2016, etc...).


Ma continua a mancare la cornice strategica in cui tutte queste singole azioni si inquadrano. 
Serve politicamente di rendere esplicita, traducendola nero su bianco, quella scelta di fondo di fare della green economy e dell’economia circolare la cornice in cui incardinare tutte le politiche pubbliche. 
Il così detto “Green Act” poteva e doveva essere questa occasione. Ma si è perso tra un “ciaone” post referendum trivelle e lo sblocca Italia. Tristezzza.

A quelli che continuano a dire che un congresso del PD non serve, così come non servirebbe una conferenza programmatica, cioè confrontarsi sul programma – appunto – delle cose da fare, soprattutto alla luce di tutto ciò che è successo in questi tre anni di larghe intese, dico che è vero esattamente il contrario: servirebbe, eccome, anche in virtù dell’affanno in cui si è cacciato il nostro partito. 
Ho il leggerissimo sospetto che iscritti, simpatizzanti e semplici cittadini siano decisamente più interessati a parlare delle cose da fare e del come farle, che riproporre le coalizioni inconcludenti o le scissioni che inevitabilme il sistema proporzionale rimette in moto.

Il Partito Democratico non è nato solo per unire forze politiche e tradizioni progressiste che vengono del ‘900. E’ nato per dare voce e forza al riformismo del 21° secolo. Ma non c’è riformismo possibile, oggi più di quanto dicevamo allora, se non mette al centro le sfide dell’ambiente, della sostenibilità dello sviluppo, della conversione ecologica dell’economia. Che è poi anche una formifabile occasione di creazione di posti di lavoro e di produzione di reddito.

E’ per queste scelte di campo che vale la pena ancora battersi e contribuire, finalmente, a determinare un profilo politico-identitario del PD più marcato di quanto fatto in questi tre anni, anche in materia di strategia energetica e climatica nazionale. Non ci sono alternative.

Ce lo ricorda e ce lo chiede di recente anche il Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica), associazione che raccoglie veriea associazioni attive in tali settori, oltre a vari Enti e Associazioni. E lo fa con un approccio "bottom-up", giustamente e finalmente, con una strategia dal basso verso l'alto, per coinvolgere cittadini ed istituzioni in un percorso di crescita sulla necessità di affrontare con decisione la crisi energetico-ambientale ed anche per far maturare la consapevolezza della necessità di assumersi, a tutti i livelli, responsabilità condivise. 
E' possbile, è stato fatto in altri paesi europei. E' l'ora di farlo sul serio anche da noi.

martedì 31 gennaio 2017

CORTE COSTITUZIONALE E LEGGE ELETTORALE

Dunque abbiamo un proporzionale puro al Senato (con coalizioni e senza premio) ed un proporzionale con premio, ma senza coalizione, alla Camera.
Insomma, abbiamo un “bellissimo” ritorno al proporzionale. Il passato che avanza.
Con forti disomogeneità ancora evidenti tra Camera e Senato: soglie di sbarramento diverse, capilista bloccati e doppia preferenza di genere per i deputati e preferenza unica per i senatori, 100 piccoli collegi alla Camera contro 20 grandi collegi regionali al Senato, mentre dei premi ho già detto.
C’è da armonizzare e non poco, mi pare.
Ma, soprattutto, quella che abbiamo davanti è una scelta politica di fondo: tornare al “gioioso” passato della scelta delle liste di partito (già riassaporata col Porcellum – votato dal centrodestra tanto per essere chiari) e le preferenze multiple ed i governi non scelti prima dal voto dei cittadini ma formatisi in parlamento dopo le elezioni, quando la famosa “seggiola” ormai è acquisita, ennesima anticamera di nuove larghe intese, o proseguire sulla via del maggioritario coi governi scelti prima dal voto dei cittadini e non dopo in Parlamento, con la democrazia dell’alternanza, con i collegi piccoli (e contendibili) ma dove stretto è il rapporto ed il controllo candidato/eletto?

Io non ho dubbi e sto con la seconda ipotesi.
Mi spiace dirlo ma tra le gravi responsabilità del Pd a guida Bersani c’è anche quella, dopo l’essere arrivati primi ma non aver vinto nel 2013, di non aver riproposto subito il Mattarellum (maggioritario con collegi uninominali a turno unico e una piccola quota di proporzionale) quando era il tempo. Poi è venuto Renzi e forse, per i modi dell'Italicum più che negli intenti, si è fatto pure peggio.

Al caro Grillo e al suo #obiettivo40% (al quale auguro naturalmente la stessa fortuna del mitico #vinciamonoi delle europee 2014) ed a tutti gli altri, compresi eventuali inciucisti del mio partito, una sola domanda: nel 1993 gli italiani votarono in massa ad un referendum che poneva il quesito di abbandonare il proporzionale e passare ad un sistema maggioritario. E l’anno dopo venne il Mattarellum.

Che facciamo dunque?
Gli esiti referendari li brandiamo e ne chiediamo il rispetto solo quando fanno comodo e per fare propaganda o li rispettiamo sempre indipendentemente dalla convenienza politica?
Anche qui, ed anche per questo, non ho dubbi su come rispondere.
La voglia del voto subito con le leggi attuali mi sembra solo l'anticamera di nuove larghe intese, del classico cambiare tutto per non cambiare nulla, con il passato che ritorna nella sua veste peggiore.