mercoledì 18 febbraio 2015

Se Atene piange, Europa non rida



Provo naturale simpatia per Tsipras. Da un lato perché sinistra è tutto ciò che sta dalla parte di chi meno ha e meno può. Dall’altra perché il mio primo viaggio è stato proprio in Grecia, durante il liceo, e la Grecia è il mito. Ma la politica, si sa, come la realtà, è assai più complessa e diversa dalle opinioni e dai sentimentalismi personali.

Tspipras ha vinto, anche, avendo promesso di dimezzare il debito pubblico greco, possibilità che è stata esclusa più volte dai principali creditori del paese. Questi sono principalmente Fmi, Bce ed i paesi europei  tramite prestiti bilaterali o tramite i vari fondi creati per sostenere i paesi in difficoltà. L’Italia, per esempio, è esposta verso Atene per circa 40 mld. In totale i soldi ricevuti con i vari programmi di aiuto a partire dalla fine della prima decade del 2000 (fonte: lavoce.info) sono 248 miliardi di euro. Non spiccioli. E tuttavia di questi solo 15,3 sono serviti a finanziare il disavanzo primario e 11,7 altre spese del governo. Il resto è stato utilizzato per il debito pregresso e per ricapitalizzare le banche greche (dopo il 2012 i creditori privati della Grecia – di fatto le banche – furono costrette a rinunciare a gran parte del denaro che avevano prestato allo Stato). Quindi queste risorse sono servite in pratica a pagare i debitori. A questi aiuti si sono aggiunte le così dette misure di austerità, che vanno dall’impegno a fare delle riforme strutturali fino all’applicazioni di più stringenti vincoli di bilancio, con l’obiettivo, se si vuole pure condivisibile, di favorire trasparenza e dunque un credibile consolidamento fiscale eD incentivare la crescita (preferisco sempre parlare più di sviluppo).

Dell’origine di questo gigantesco debito non si parla più. Ed è un male. Spesa pubblica fuori controllo, sistema pensionistico insostenibile, uno Stato parassitario, corruzione, scarsi controlli, evasione fiscale. Con la ciliegina che, se i giornali in questi anni ce l’hanno raccontata giusta, Atene (meglio: i suoi politici) truccavano letteralmente i bilanci. La festa è finita nel 2009-2010, quando la Grecia si è trovata in una situazione economica insostenibile. E gli “aiuti” si sono resi necessari per evitare la bancarotta. Se tutto ciò è vero, lo è altrettanto come la “cura” sia stata più devastante della “malattia”. Una “cura” drastica: perso circa un quarto di Pil dal 2011 al 2014, disoccupazione verso il 28% (anche qui i più colpiti i giovani: oltre il 50% quella giovanile) ed un debito pubblico pari al 175% del PIL (l’Italia è al 130%). L’operazione sarà anche perfettamente riuscita ma, come si dice, il paziente è morto.

Ora: fa bene Tspipras a chiedere due cose, fa un po’ meno bene, a mio avviso, a non accettarne una terza. La prima; è una rinegoziazione del debito, gigantesco e insostenibile  pari almeno quanto l’idea che lo si possa restituire. L’Europa esca dall’ipocrisia. Un debito così alto si ripaga solo con avanzi primari significativi (quelli di Prodi, per intenderci, ma che non capiva nessuno perché sono la cosa più incomunicabile che ci sia. In pratica le entrate meno le spese, tolti gli interessi) per un consistente periodo di tempo. Che vuol dire significativi? Avanzi elevati (a botte di punti percentuali/anno) e per prolungati periodi di tempo (anni, molti). Praticamente impossibile. 
La seconda: fa bene a chiedere una fine dell’austerità, cioè il rispetto delle regole ma la possibilità di dilazionare e/o sforare temporaneamente. Atene non vuole trattare con la “troika”, preferendo il contatto con i singoli paesi creditori, negoziando i suoi debiti: ti pago ma a tassi di interesse più bassi ed in più tempo. Penso che sia arrivato il tempo della politica e che l’Europa, tra rigore e politica, per una volta scegliesse la politica. Come penso che serva un accordo politico, una conferenza sul debito su alcuni aspetti: o riduzione negli interessi o ‘condono’ del debito o allungamento dei tempi o, infine, condizionare il tutto alla crescita economica interna. Non “morire di rigore” significa questo per me. Altre strade non ne vedo. Altrimenti qualcuno ce le spieghi. La terza: fa un po’ meno bene a rigettare gli impegni chiesti da finanziatori (il così detto memorandum) sulla strada delle riforme, della trasparenza. La Grecia vive un dramma sociale immenso (siamo al punto che in molti casi, oltre a non avere soldi per comprarsi da mangiare, gli ospedali non ti accolgono più e le medicine se hai soldi te le paghi o se no ti arrangi…) e non c’è dubbio che stringere ancora di più la cinghia aggiungerebbe solo dramma al dramma. Ma Atene dal 2010 a qui ha già fatto molto delle riforme chieste dai soggetti finanziatori, perché fermarsi adesso tornando solo a spendere, magari per riassumere personale statale di cui non c’è bisogno (mentre più sensata è l’idea di un salario minimo per dare ossigeno ai greci in difficoltà, anche se qui torniamo al principio: o si avverano le prime due richieste di cui sopra o la vedo dura). Il programma nazionale ellenico di riforme 2011-2014 porta con sé molte riforme già attuate da Atene (seppure con storture per carità: penso alle privatizzazioni). Rigettare un suo completamento tout court serve solo ad irritare le controparti e spaventare quei paesi europei che tra breve andranno al voto. A differenza di una certa parte del variegato mondo della sinistra italiana, Tsipras ha dimostrato di essere dotato di maggiore pragmatismo e cinismo (si fanno i conti con quello che vuol dire “stare al governo” e se necessario mi alleo anche con i conservatori di destra dei greci Indipendenti), non mi pare sia arrivato il momento di fermarsi ora che un compromesso politico sembra affacciarsi. Ne avrà benificio la Grecia e la stessa Europa.

PS non richiesto: in Italia i vari Ferrero (ancora lui) vivono e lottano insieme a noi; capi e capetti coltivano ancora allegramente i loro orticelli; si sente dire che bisogna ripartire dal sociale (ma il sociale senza una politica che significa?); come al solito non si sentono ragionamenti su come finanziare il tutto, mentre resta eluso il tema di fondo che, secondo me, è invece la lezione principale della vicenda Tsipras (anche se eletto da poco più di un terzo dei greci, e con un’astensione che sfiora il 40%): fare “i conti col governo”, cosa voglia dire volerci andare e poi provare a restarci. A mio avviso è ancora l’ostacolo principale per larga parte della sinistra italiana, nella sua eterogeneità. E so bene qual è l’obiezione: meglio puri che corrotti al governo, tanto per andare all’osso. Per carità, tutto vero. E ci sarà sempre uno più a sinistra di te. Ma la differenza resta, anche solo tra il porsi il tema di diventare (voler essere) partito di governo e non pensarci nemmeno. Non del governo, che è un altra cosa (vedi Ncd). E che, per inciso, visto che sono abituato a guardare soprattutto in casa mia, sarà bene che non lo diventi neppure il Pd.