giovedì 30 aprile 2015

Panariello: a chi?

Circa un anno fa di questi tempi succedeva una cosa che ancora mi ferisce e mi imbarazza. Mi ferisce nella mente,  mi imbarazza come cittadino di una città che ha inventato la cittadinanza honoris causa ex ante, prima dei titoli o di aver dato prova di quello per cui uno dovrebbe meritarsela. Beneficiario speciale: Panariello.

Più o mneo l'anno scorso di questi tempi, il Consiglio Comunale in una delle sue ultime sedute era stato chiamato, senza che se ne sapesse nulla fino alla ricezione della convocazione del Consiglio stesso, a deliberare la cittadinanza onoraria ad alcuni funzionari della Regione e della Sorpintendenza (per il lavoro svolto per l'acquisizione al Comune del  San Domenico) e a Panariello per motivi ancora oggi non meglio identificati. Tra questi ricordo benissimo però il fatto che, oltre ad aver eletto Sangi come sede fissa (?) delle prove dei propri spettacoli, il nostro avrebbe messo su uno spettacolo da lì a pochi mesi, nell'ambito dell'estate sangimignanese 2014, il cui ricavato sarebbe stato interamente devoluto ad un'azione benefica, in particolare al progetto Casa Sara.

Al di là delle proteste dei consiglieri sulla forma, fino all'ultimo non eravamo stati avvisati su di un atto così importante per un Consiglio Comunale, ciò che mi faceva arrabbiare era l'incosistenza delle motivazioni. Passi, ma anche qui mi tornava poco, la cittadinanza a dei bravi funzionari che avevano oggettivamente preso a cuore un tema come quello dell'ex carcere e lo avevano fatto proprio, lavorando alacremente per raggiungere l'obiettivo. Poi effettivamente conseguito. Piccolo particolare: come dirigenti erano pagati per quello dalle rispettive amministrazioni. Ma tant'è. 

Ma Panariello proprio non si digeriva: provai a far rinviare almeno a dopo questo annunciato “spettacolo in piazza” la delibera della cittadinanza onoraria. No, no e no. Andava fatta in tutti modi. Quindi dopo aver battagliato fino a tarda notte mi dichiarai contrario all’operazione, che non si reggeva, pensando di poter contare nella maggioranza di questa opinione all'interno del mio gruppo consiliare, quello che poi doveva alzare la mano. Come capo gruppo consiliare, dissi altrettanto nettamente che comunque avrei rispettato l’espressione del gruppo stesso, e che se non c’era unanimità si votasse. Con mia sorpresa andai sotto!
Credo responsabilmente, per come mi hanno insegnato a stare in una comunità politica e nelle istituzioni e sebbene incazzatissimo, deluso e mortificato, dissi che avrei rispettato il voto del mio gruppo, sarei andato in Consiglio a votare ma che non avrei parlato come capo gruppo, lasciando la parola ad altri, marcando il mio dissenso sedendomi nell’ultimo banco del nostro gruppo e che non avrei partecipato alla cerimonia di consegna delle cittadinanze che sarebbe seguita immediatamente dopo il voto. Cose che puntualmente feci.

Oggi a distanza di un anno mi sono chiesto cosa avesse prodotto quello spettacolo, così tanto importante che poi, effettivamente, si tenne nell’estate 2014 in piazza.
Con mio stupore risulta che nessuna cifra sia stata devoluta dall’incasso, perché così era stato stabilito fin dall’inizio (???) ma solo l’esiguo ammontare di 181 euro, circa, frutto della benevolenza degli invitati dall’organizzazione al welcome drink prima dello spettacolo. Presumo pure a gratis, come si usa in queste circostanze, ma potrei sbagliarmi e comunque poco importa.
Vi lascio immaginare l’incazzatura, che a distanza di un anno assume i contorni nitidi e brucianti della presa in giro.

PS: il 10 gennaio 2015 assieme a due carissimi amici, più grandi di me, e a tanti che poi hanno partecipato, abbiamo celebrato il decennale della scomparsa di Manetto, il nostro allenatore di  calcio di quando s’era ragazzi. Partitella a Belvedere, poi cena alla Mandragola. Presenti circa 50 persone tra ragazzi dal 1974 al 1978 con rispettive mogli, figlioli e fidanzate. C'era anche qualche pinzo naturalmente. Oltre al costo della cena, fissato in 20 euro, c’è entrato di mettere da parte anche una somma da devolvere in benefic
enza. Che la famiglia ha deciso di destinare, meritoriamente, al progetto Casa Sara. Sapete a quanto ammonta la cifra? 253 euro e spiccioli. Panariello??? Ma va ia va ia va ia….
Ad maiora.

mercoledì 22 aprile 2015

L'imbarazzo del silenzio sul codice etico

Se quanto sta accadendo sull'Italicum è (almeno per me) incomprensiibile, quello che trovo davvero imbarazzante è che una rottura di tale portata avvenga sulla legge elettorale, mentre su altre questioni che ci dovrebbero preoccupare di più e tutti, maggioranza ed opposizione interna, nessuno o pochissimi dicono nulla.

Mi riferisco al fatto di come si stia abbassando la soglia di attenzione del Pd verso l’etica della politica.
Qui vorrei fare alcune considerazioni veloci.
Se l’evasione e la corruzione, dunque l’illegalità, sono uno dei principali grandi problemi del nostro Paese, allora il Pd deve essere conseguente. A partire da casa sua.

C’è un tema gigantesco, di cui ho già scritto qui, e di cui si parla pochissimo: il nostro Codice etico interno, sbandierato giustamente (io ero tra quelli) nel momento fondativo del partito, non solo spesso viene disatteso ma, fatto ancor più grave, non è neppure al passo con le sopravvenute leggi italiane (vedi la Severino su tutte: che sospende dall’incarico i condannati in primo grado, senza distinzione di reato, mentre noi consentiamo la loro candidatura alle primarie).Non cito poi i numerosi inquinamenti dello strumento (formidabile, ma da maneggiare con cura e soprattutto con regole) delle Primarie. Il tutto unito ad un certo "sesto senso" che vorrebbe una tacita assuefazione a questo andazzo...

Il punto è: è giunta l’ora di farla finita, di smettere di far finta di non vedere.
A meno che non si voglia diventare come Forza Italia, che spesso ha candidato gente impresentabile. Smettendola di baloccarci con il “partito della nazione”, che si sostituisce alla mancanza di una destra di sistema in Italia. A quale scopo? Per copiarne magari anche i peggiori difetti, come quelli delle dubbia etica di certe candidature?.

Non vorrei che si pensasse che siamo destinati a fare l’abitudine a candidati con inchieste giudiziarie, a gente che rischia di essere sospesa dall’incarico un minuto dopo che è stata eletta.La politica non è un obbligo. E rimando alla parte finale di questo mio post, per chiarire come la penso su questo.

E non si usi l’argomento del “siamo un partito grande, qualcosa può sfuggire”, perché non attacca.
Proprio questa grande forza ci impone tutt’altro!
Ci impone più controllo, più rigore, più etica di tanti altri.
Ce lo impone a maggior ragione la responsabilità che in questa fase politica grava principalmente sulle spalle del partito democratico, che proprio per questo deve essere al di sopra di ogni sospetto.

Credo, come ho già scritto, che dai “mitici territori” si dovrebbe alzare un appello forte al Pd nazionale a fare sul serio su questo punto, a partire dal rivedere il nostro Codice Etico, per finire col regolamentare seriamente una volta per tutte anche lo strumento delle Primarie.
Un appello, insomma, forte e chiaro, a toglierci, tutti, dall’imbarazzo.
Non ho fondato il Pd per il grigiore e l’imbarazzo, ma per la chiarezza e l’orgoglio di una forza sì di carattere nazionale, progressista e di sinistra. Non voglio assistere a questa che sembra una silenziosa mutazione: ho e abbiamo altri valori. Che son quelli che in parte ci derivano dalla nostra storia politica, dall’altra da un tratto generazionale di chi si è formato alla politica con gli scandali di mani pulite e delle stragi di mafia di inizio anni ‘90. E che non si rassegna a fare l’abitudine a questa roba.

Incomprensibili sull'Italicum


Quello che vedo, leggo e ascolto sull’Italicum è abbastanza incomprensibile. Mi domando che maggioranza fosse quella che reggeva il partito allora, oggi divenuta minoranza.
Quello che penso sull’Italicum l’ho già scritto qui.

Per quelle ragioni, trovo strumentale questa forzatura, questo muro contro muro. L’obiettivo non è la democrazia, diciamocelo, è Renzi. Che ha mille difetti. Che è andato al governo come c’è andato.
Che sul partito, la sua forma ed il suo stare insieme sta facendo zero, esattamente come il suo predecessore Bersani, ma che sta facendo almeno quello che, tra le altre cose, avevamo proposto in campagna elettorale nel 2013: dare all’Italia una nuova legge elettorale dopo quasi 10 anni di traccheggiamento. E di farlo con la più ampia condivisione possibile. 

Oggi, dopo averla votata al Senato, la minoranza si comporta come Forza Italia. Che l’ha votata al Senato ma la rinnega alla Camera per lo “sgarbo” subito (a detta loro) con l’elezione di Mattarella. La forzatura prodotta dalla minoranza ha portato alla sostituzione dei parlamentari in Commissione (brutta pagina).
Ma va anche detto come sia impensabile non rispettare la volontà – prodottasi democraticamente – della maggioranza, così come la discussione avvenuta all’interno del Partito (ripeto per l’ennesima volta che quella discussione ha portato migliorie significative proprio grazie al lavoro della minoranza). Altrimenti meglio essere più onesti e conseguenti: dimettendosi dal Parlamento, mica dal Pd. E questo deve valere sempre: che ci sia Renzi o Bersani leader. 

Se non si rispetta questa regola allora chiudiamo bottega, in attesa che qualcuno trovi altri versi per tenere insieme un partito. L’effetto di tale forzatura, invece, è stato quello di mettere sotto attacco Renzi (che non fa nulla per meritarsi carezze), scatenare le opposizioni che non aspettavano altro per spettacolizzare, ridurre al lumicino le forze (in senso letterale) che sosterranno in Parlamento questa nuova legge. Con una ipocrisia di fondo non minore a quella dimostrata da Forza Italia. Spero proprio che la minoranza ci ripensi e che il governo non metta la fiducia. Sarebbero entrambe incomprensibili. Avrei trovato, invece, più comprensibili battaglie, anche aspre, su jobs act, riforma costituzionale o sul peggioramento dell'etica politica nel nostro partito. Ma di quest'ultima parlo in un altro post.

martedì 21 aprile 2015

La società (e l’Unione?) dell’impotenza



Due terzi dei libri che ho letto in questi anni, soprattutto saggistica, dicono la stessa cosa: questo sarà il secolo dell’acqua, dell’energia – dunque del clima -, della fame, della migrazione. C’è dunque di che preoccuparsi. Ma c’è anche di che vergognarsi di fronte ai flussi migratori di questi giorni, mentre dovremmo cominciare a dire di questi anni. Che  investono soprattutto le nostre coste, ma che investono il cuore dell'Unione Europea.

Mi domando, sinceramente, cosa posso fare. Altrettanto onestamente la risposta è desolante: poco. Soprattutto come singoli. La sensazione che ha il sopravvento è sempre quella: impotenza. Come di una società dell’impotenza. Che è quella che viviamo. Non ne faccio né una questione di destra o di sinistra né una questione di buonismo o di celodurismo. La risposta è sempre quella: ben poco.

Poi penso che, invece, almeno una cosa si possa e si debba fare: sforzarci almeno di restare umani.
Non partecipare al banchetto dell’invettiva sui social network, dell’insulto più o meno razzista, delle soluzioni da ‘quattro soldi’, dell'apertura di bocca a vanvera (es: si parla di blocchi navali, di accordi con il governo libico dimenticando il piccolo particolare che il governo lì non controlla il Paese e che, non a caso, c’è un mediatore che sta tentando con le varie parti in causa di metterlo su un governo..).
Restare umani significa domandarsi perché questo avviene, cosa spinge queste persone a mettersi in mare aperto. Significa anche ribadire che prima viene un dovere di salvare chi è in mare, poi domandarsi da dove viene e dove vuole andare. Significa non confondere la giusta guerra agli scafisti-schiavisti con la guerra ai naufraghi. Significa non ricadere nel circolo pericoloso delle guerre occidentali esportatrici di democrazia (per inciso: la Libia l'abbiamo bombardata nel 2011 e anche questi sono i risultati).

Poi c’è quello che dovremmo fare tutti insieme. Condivido moltissimo quanto scritto da Bill Emmott oggi su La Stampa. Non viviamo solo la società dell’impotenza, viviamo anche l’impotenza dell'Unione. 
Confesso: sono uno di quelli cresciuti col ‘mito’ dell’Europa unita, del sogno europeo. Tanto che in diritto comunitario mi ci sono laureato. Ma non da oggi, di fronte al dramma dell’immigrazione ed all’incapacità di azioni comuni, all’inconsistenza di una politica europea comune, il ‘mito’ vacilla e non poco. 
Mentre gran parte della risposta, invece, passa ancora da e risiede ancora lì: nell’Unione Europea. In una sua politica. In un continente che si è messo insieme dopo due guerre in cui ha trascinato per due volte il mondo intero, unendosi sui valori della pace, del riconoscimento dei diritti dell’uomo, del rispetto reciproco e sull’abbattimento delle disuguaglianze. Una rifondazione dell’occidente ed una rinnovata civiltà. Oggi s’è persa questa bussola e stiamo ancora cercandola. Al di là dei quattrini che tutto questo ci costerà, delle azioni che ne seguiranno, sento che l’urgenza nell’urgenza è di ricostruire questa coscienza: una coscienza europea, comune. Da soli siamo niente. Se ogni Stato continuerà a fare da sé di fronte ai mutamenti del secolo, avranno sempre la meglio i Salvini di turno in tutta Europa. E non governeremo proprio un bel nulla.

giovedì 9 aprile 2015

Sentenza Diaz: la vergona e la non sorpresa



La sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nei confronti dell’Italia, per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, non mi ha sorpreso.

E la non sorpresa sta nella valutazione oggettiva e documentata che ogni cittadino più o meno ‘medio’, come si usa dire, può aver svolto di quei fatti.
La non sorpresa riguarda anche il fatto che in Italia non esista il reato di tortura.
Lo sapevamo. Purtroppo.  

Non siamo un Paese normale, ancora.
Troppo vorremmo esserlo.
Tanto ancora dobbiamo fare, tutti, per diventarlo.
Siamo ancora un Paese che vive di troppi buchi neri, troppe sospensioni della democrazia, troppe violazioni di diritti umani.  Con una macchia in più: troppe volte quelle stesse forze dell’ordine che combattono sul territorio la criminalità, la mafia e la criminalità organizzata, che catturano boss e latitanti pericolosi, che difendono i cittadini contro la micro criminalità sono anche quelle (non tutte sia ben chiaro e lo sappiamo, senza ipocrisia) che si macchiano di questi atti vergognosi, disumani.
Possibile che chi è preposto alla tutela dell'ordine e alla garanzia della sicurezza, possa essere sovente il primo a non essere garante di sicurezza, rispetto e diritto? Serve più rispetto, più diritto, più giustizia. Serve più Stato in una parola. E lo Stato non è fatto solo di politici, vorrei ricordarlo, tutt’altro!

Ciò che invece mi ha sorpreso, e tanto, è ancora una volta un dibattito piccolo piccolo, tutto all’italiana, tra sostenitori e non delle forze di polizia. Contro le quali, sia chiaro, personalmente non ho niente. Ma messa così è la solita partita tra “tifosi”, gli uni da una parte gli uni dall’altra , tra chi è più o meno cattivo. Che idiozie. Ho sentito addirittura dire, ieri sera in tv da Salvini se non sbaglio, che l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, dopo 30 anni (metteteli in fila 30 anni!) dall’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli inumane e degradanti, ratificata dall'Italia nel 1988, sarebbe addirittura un atto contro le forze di polizia. O come si fa a dire queste boiate?

La discussione e l’esame della proposta di legge per l’introduzione del reato di tortura è in realtà iniziata da qualche settimana in Parlamento. Il testo puntualizza i presupposti per l’esistenza di questo reato recependo le indicazioni della Convenzione ONU del 1984.
La norma prevede che potrà essere incriminato del reato di tortura chi, con violenza o minaccia cagiona intenzionalmente a una persona a lui affidata o sottoposta alla sua autorità acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni.
Se a torturare sarà un pubblico ufficiale, scatterà la pena aggravata fino a 12 anni. 

Qui si renderebbe necessario un “pippone” storico e giuridico, per il quale non c’è spazio.
Ma chi parla di atto contro qualcuno, nell’introdurre questa fattispecie di reato, e non di passo in avanti e di civiltà (come io credo invece che esso sia), dovrebbe almeno conoscere di che si tratta. Ed in particolare del fatto che proprio la discussione alla Camera, rispetto al Senato, stia apportando correttivi per evitare situazioni di strumentalizzazione del reato.

Per farla breve (dalla relazione di maggioranza): alla Camera, anche alla luce delle audizioni svolte, è parso opportuno rivedere l’impostazione del Senato per meglio individuare le specificità di questo nuovo reato, che non deve essere considerato come una sommatoria di reati già esistenti, quanto piuttosto un qualcosa di nuovo e con un disvalore proprio. La tortura è dunque configurata come un reato comune (anziché come un reato proprio del pubblico ufficiale), caratterizzato da un elemento soggettivo rafforzato dall'avverbio «intenzionalmente» e dal dolo specifico. La condotta si esplica attraverso la violenza o minaccia ovvero la violazione degli obblighi di protezione, cura o assistenza. Il reato è di evento dovendo la condotta comportare acute sofferenze fisiche o psichiche.
L'esigenza di specificare in dettaglio la condotta è stata evidenziata anche dal Capo della polizia, il Prefetto Alessandro Pansa, che in audizione ha manifestato preoccupazione per le strumentalizzazioni che potrebbero esservi a danno delle forze di polizia in caso di fattispecie generica. Oltre a rendere più determinata la fattispecie rispetto al testo del Senato e quindi anche per evitare il paventato rischio di strumentalizzazioni, si è introdotta nel testo una clausola di chiusura, che peraltro è prevista espressamente dalla Convenzione ONU, secondo cui la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. L'esigenza di descrivere dettagliatamente le modalità della condotta è stata anche evidenziata dal professore Tullio Padovani, il quale ha sottolineato come non si possa pensare alla fattispecie del reato di tortura puntando solo sull'evento, occorrendo al contrario fare riferimento alla violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza. Rispetto al testo del Senato, accogliendo un suggerimento del professore Francesco Viganò, si è eliminata la connotazione di gravità della violenza o della minaccia, in quanto la gravità deve essere propria dell'evento, potendosi configurare una violenza non grave, come, ad esempio, piccole scosse elettriche, alla quale conseguono gravi sofferenze.

Ora, concluso il “pippone”, si capisce bene come si apra bocca e si lasci andare.
E questo fa tristezza. Come fanno tristezza e, aggiungo, rabbia, i fatti di Genova.
Nell’attesa che il Parlamento faccia il suo mestiere (circa 30 anni dopo…), aspetto un Paese normale: dove i processi si dovrebbero fare nelle aule di tribunale e non coi manganelli in mano, dove la giustizia che funziona è quella che mi arresta se sono in flagranza o ho commesso un reato, mi porta in tribunale, mi tutela anche in questa fase e poi mi sottopone a giusto processo; dove  l’ultimo dei poveracci, come siamo noi, abbia le stesse garanzie del notabile di turno; un Paese in cui mi possa fidare senza alcun dubbio di chi è preposto, anche, alla mia sicurezza. Un Paese dove, ogni tanto, anche senza condanne di tribunali, qualcuno chieda scusa, un “forse abbiamo sbagliato”, un “forse c’è stato qualche eccesso” (per usare un eufemismo). Dove sono Silvio, Fini e Scajola che in quei giorni ci raccontavano che era tutto a posto ed i black block erano stati “domati”, mentre in realtà forse furono gli unici che non ne buscarono?

Genova è stata e resta una vergogna clamorosa e gigantesca per l’Italia.
Non serve essere di sinistra o di destra per affermarlo.
Basta essere umani.