martedì 10 novembre 2015

Serve il PD non il partito della nazione



In questi giorni se ne sentono di tutte i colori sul PD. Alcune cose con fondatezza, altre emerite bischerate. C’è un punto di fondo, però, che al di fuori della contingenza politica deve essere chiarito e poi riaffermato con forza: cosa vogliamo che sia il PD? Il processo è, a mio modesto parere, ancora incompiuto. E occorre aprire una discussione franca, mai fatta né con Bersani, né adesso con Renzi, mentre vedo che intende aprirla il PD toscano, su cosa deve essere il PD.

Chiarire una volta per tutte se il PD vuol essere come l'isola che non c'è o il luogo della partecipazione e della rappresentanza delle domande sociali, della promozione dei valori e della formazione (prima) e della selezione (poi) della classe politica. E da quale angolatura vuole farlo, da sinistra, e per quale prospettiva intende farlo, quella di centrosinistra. Insomma: un partito, come scritto nel nome, e non un suo lontano parente.

Personalmente lavoro per la seconda ipotesi e per non far prevalere il democristianume di ritorno ed anche chi ci vorrebbe rinchiudere nei recinti, tornando a rassicuranti micro partiti, per quanto auto-definitisi di sinistra. E sarebbe anche l'ora che dai 'mitici' territori si alzasse una voce in tal senso. Un 'temino' che ho provato a sollevare anche alla scorsa assemblea provinciale, naturalmente da riprendere in mano, dato che l’attenzione era rivolta ad altro… Anche per questo non me ne vado e non ho nessuna intenzione di lasciare il campo a questa prospettiva. Nè tantomeno il partito che ho fondato per creare finalmente quella sinistra di governo mai avuta in Italia. Libero di criticare, di condividere e di dissentire, ma fermo su questa impostazione e questa prospettiva. Non ho bisogno di cercare altro o militare altrove per sentirmi di sinistra. Vengo da quella storia lì. In quella mi sono formato. Ho sempre diffidato invece di chi dà patenti di sinistra, autodefinendosi tale o attribuendola o togliendola ad altri. Anche per questo non condivido, lo dico subito, anche se le comprendo, le uscite dal PD. Il Pd non finiva con Bersani e non finirà con Renzi. Al tempo stesso riconosco che il Segretario, che per definizione ha il compito di trovare sintesi e ricercare unità, sia per nulla avvezzo a questo compito. Ma lo stesso Renzi, con la sua faccia un po’ di bronzo, ha dimostrato che si può perdere una volta e avere il consenso necessario la volta dopo. L’importante è che la casa comune (il termine ‘ditta’ per un partito mi ha sempre fatto schifo) abbia fondamenta solide e un’architettura ben definita. E qui viene il bello.

Su quest’ultimo punto il lavoro da fare è ancora tantissimo. In questo ragionamento allora, che ci vuole essere e definirci partito, per me, va detto subito con forza che non vogliamo e non possiamo essere il partito della nazione! E’ l’ora di finirla con questa storia. Sarebbe la negazione del PD pensato al Lingotto.
Se così è, io credo che sia necessario riaffermare alcuni principi e alcune cose, queste sì fondative del nostro partito. Perché va bene il governo locale, il governo regionale e nazionale, ma questo non può e non deve significare un appiattimento alla pragmaticità e alla politica quotidiana, rinunciando a definire un profilo culturale, sociale, organizzativo del partito. Alrrimenti non saremo utili alla società che vogliamo costruire.

Dunque: cosa deve essere il PD?
Per chi come noi è stato protagonista della nascita del Partito Democratico, a San Gimignano come in Toscana, non si può non partire da qui. E dal chiarire cosa vogliamo “essere da grandi”. Crediamo che debba essere ribadito con forza che non vogliamo essere un movimento, un comitato elettorale, ma un grande partito, fatto di uomini e di donne, giovani, militanti, iscritti e simpatizzanti, che si organizza con strutture il più possibile aperte alla società, in grado di coinvolgere professionalità, competenze, impegni e merito. Insomma, come scrivemmo anche nella “Carta di San Gimignano per il PD”nell’ormai lontano 2007, un partito vero, radicato, diffuso sul territorio e federato, con regole di adesione rigorose, un codeice ettico da rispettare (se lo ricordano ancora a Roma? Noi si!), in grado di utilizzare le nuove opportunità offerte dal web e della tencolgia (per coinvolgere gli iscritti), in grado di autofinanziarsi in modo trasparente. Un partito non in mezzo al nulla ma parte integrante del socialismo europeo.

Per andare dove?
Il PD non può andare nella direzione di un soggetto che, piano piano, inglobando da una parte ed escludendo dall’altra, si sostituisce al centro mettendo ai margini la storia del miglior riformismo socialista-comunista e cattolico-democratico. Non serve un partito di centro, semmai un partito che parli anche al centro (la vocazione maggioritaria era anche questo). Non serve aggregare parti del centrodestra, con la scusa del governo delle larghe intese, mettendo all’angolo la storia della sinistra italiana e  rinunciando a quello che fu il PD disegnato al Lingotto: cioè quel soggetto politico che aggrega, organizza ed unisce le forze progressiste nel nostro Paese. Del resto questa era l’idea originaria dell’Ulivo: non solo una forza parlamentare (dagli esiti peraltro infelici come abbiamo poi visto…) ma la necessità di mettere insieme in un unico e grande partito il meglio delle forze riformiste e progressiste presenti in Italia (E qui l’elenco si fa lungo: il riformismo della sinistra, il pensiero cattolico democratico, il progressismo laico, l’ambientalismo moderno, il socialismo).

Per fare cosa?
Per innovare la politica (il PD ha già contribuito più di altri alla semplificazione del sistema dei partiti, per questo, anche qui pur comprendendo, non condivido il proliferare in questi giorni di nuove micro-formazioni alla sinistra del Pd) e per un rapporto nuovo con i cittadini (ma se non prendiamo a cuore la selezione della nostra classe dirigente in alcuni passaggi fondamentali - grandi città, regionali - questo rapporto si comprometterà per l'insipienza di pochi bischeri). Un partito che torni ad unire ed includere. Per essere protagonista non solo della riforma del sistema politico italiano ma anche di quello istituzionale, definendo davvero una  nuova stagione della democrazia italiana e contribuendo attivamente alla modernizzazione dell’Italia, a tutti i livelli. E senza dubbio il Governo Renzi e lo stesso Renzi Segretario ci pongono di fronte a questo compito, che ci piaccia o meno. Ciò che secondo me ancora manca è un livello di condivisione, di confronto, di creazione di consenso, anche dal basso, attorno al processo riformatore in corso che, unito ad una certa rozzezza nel trattare con gli altri corpi intermedi, spesso lascia disorientato il nostro popolo. Da questo punto di vista la distinzione tra la figura del Premier e quella del Segretario può riuscire in parte a recuperare questo divario, oltre a rendere, forse, più autonomo il partito dal Governo, le sue logiche, le sue tempistiche. Fin dalla costituzione del PD questo aspetto mi ha poco convinto (il Pd toscano ha su questo punto un’idea diametralmente opposta. Sarebbe bene che su questo punto fossero gli iscritti a pronunciarsi, come su altre questioni di fondo).
Soprattutto serve un PD che prenda atto che questa austerità ha fallito così come la finanza che si sostituisce al lavoro, e che per questo torni alla centralità del lavoro e degli investimenti pubblici, dell’economia reale e, dico con forza, ambientalmente sostenibile, rispetto al governo della finanza mondiale; un PD che si concentri sulla progettazione di nuovi modelli di sviluppo basati sulla piena coscienza della questione energetico-ambientale; un PD che faccia sentire la propria voce in Europa tramite il PSE (e nel PSE siamo la principale forza dall’anno scorso) anche sulla crisi che il processo di unificazione europea sta vivendo e che pone una questione democratica decisiva per il futuro della UE. Oltre a determinare risposte incerte e divergenti sul piano delle politiche dell’immigrazione e della sicurezza stessa dell’Europa.

Per me è difficile dire e sentire l’attuale Governo davvero come il “nostro” Governo. Quello che è l’obiettivo “numero 1” del PD è ancora lontano da venire: trionfare nelle urne, con un popolo, un leader e soprattutto un disegno per l’Italia e per l’Europa aprendo cicli progressisti come invece altrove sono già riusciti a fare: Inghilterra (Blair), Germania (Schroeder), Spagna (Zapatero) e negli Stati Uniti (Obama). Oppure, davvero, siamo in campo per fare della Sinistra soltanto una deontologia civica di onestà, rispetto dell’ambiente, del pagare le tasse e/o gestire bene un servizio comunale?