martedì 6 dicembre 2016

MATITA E VOTO: GLI UNICI POTERI DAVVERO FORTI


Sono 32 milioni gli italiani che sono andati a votare (più del 2006 e del 2001). Tanti ed è un bene. 
Gli appelli ad andare a votare per me non sono mai retorica o tattica. Quello del voto è l’unico potere davvero “forte” in cui credo. 

Oltre 19 mln per il No, oltre 13 milioni per il Sì. Dal punto di vista democratico una bella prova.
Il Sì ha perso nonostante continui a pensare che la riforma contenesse ragioni di merito più che valide. Il No ha prevalso nettamente. O meglio: hanno vinto vari No e non uno solo. 

Aspettando le analisi sulla composizione del voto, nel merito penso queste cose, guardando alla Sinistra, al PD che è il campo che mi interessa. Non penso infatti che la soluzione sia semplicemente nel sostituire l’arroganza di Renzi con la superbia di Di Maio o le ruspe di Salvini.

1) Non è stato un voto referendario ma un voto politico e sociale. Sul Governo, su Renzi e le sue politiche, di riflesso sul PD. C’è una parte il cui No è stato certamente un No ad una riforma di questa portata e fatta in questo modo. Ma c’è una parte maggioritaria per cui il cui No è stato verso Renzi e verso il suo Governo, un voto alle sue politiche, fiutando l’occasione per dare la spallata. Per i primi si tratta di tenerne conto una volta per tutte in futuro, per i secondi la risposta è nella politica e come sarà in grado di cambiare il PD e la sinistra.


2) L’errore della personalizzazione, dunque, cioè legare le sorti del governo all’esito della consultazione, si è rivelato micidiale, come ampiamente pronosticato. Giusta e corretta la scelta conseguente di dimettersi. La responsabilità di tale errore è tutta sua: ha confuso i piani ed i ruoli, ha fatto trasparire la presunzione di avere già vinto, ha fatto sembrare la riforma un “affare del governo”, rendendola ancora più distante dal popolo. Morale? Governo a casa, sinistra divisa, PD a pezzi. Riforme costituzionali al palo per diverso tempo. 

3) “La maggioranza silenziosa” si è fatta sentire eccome. Nelle zone in cui il disagio è maggiore, il reddito minore, la disoccupazione più dura, la legnata sembra essere arrivata più forte. E si aggiunge a quella delle amministrative della primavera 2016. Dove abbiamo perso capoluoghi importanti, anche in Toscana. E si aggiunge alle regionali del 2015 dove abbiamo vinto a fatica regioni sempre ben disposte verso il centrosinistra. E si aggiunge alla legnata di pochi giorni fa in Friuli. Tutti zitti. La risposta del gruppo dirigente non potrà più essere come quella del dopo-amministrative, che fu imbarazzante: liquidata ad un voto locale, marginale e fluido senza riflessi nazionali. Senza analisi, né sulle politiche di governo né sull’atteggiamento tenuto dal partito. Oltre ad ignorare vergognosamente una proposta di riorganizzazione del PD sul territorio elaborata da Barca. Vogliamo liquidare anche questa volta con un cretino “ciaone” tutti questi dati politici?

4) Ho scritto altre volte che non mi iscriverò mai al “partito del ciaone”, cioè di chi pensa che si possa fare politica irridendo e contro tutti. Ma quanto ci vuole al gruppo dirigente del Pd a capire che stiamo sulle palle a tanti anche per questi atteggiamenti? Come si fa a non capire che non c’è sinistra se si governa contro i sindacati, contro il mondo della scuola (anche se assumi 100.00 precari)? Che se è pur vero che per riformare a volte si deve essere impopolari, è impensabile governare contro tutti perché tutti alla prima occasione se ne ricorderanno. A Renzi riconosco di praticare il primato della politica. Ma serve più collegialità. E guardare in faccia la realtà. Quello di D’Alema era un riformismo senza popolo, questo non può essere solo quello del “ciaone” o del “ce ne faremo una ragione” di chi non è d’accordo con noi.

5) Gli elettorati si sono dimostrati piuttosto fedeli. Quelli degli altri, non i nostri: militarizzati i 5S, abbastanza stabili quelli del centrodestra, molto mobili quelli del PD per quasi il 25%. Morale della favola: non hanno tenuto “i nostri” si è sfondato poco o nulla  nell’altro campo. A forza di rincorrere i verdini  e la destra si è perso pezzi in casa nostra. E’ arrivato il momento di conclamarlo e farci definitivamente i conti, senza i tweet del menga sul 40%.

6) 4 giovani su 5 sotto i 35 anni non ci considerano. Un dramma. Ed un paradosso se pensiamo di avere un segretario di partito ed un Presidente del Consiglio di appena 40 anni. Ma è ovvio, il problema non è l’età. Nessuno che a Roma si renda conto di come siamo percepiti: il Pd come un partito in cui ci sta tutto ed il contrario di tutto! Quello che è stato il partito del “Sindaco Pescatore” Vassallo è oggi anche quello di De Luca, quello delle unioni civili e dei giustissimi 80 euro è anche quello dell’imu abolita a tutti, quello del contratto a tempo indeterminato per tutti è anche quello dei voucher e della miriade di forme contrattuali precarie non eliminate, per fare alcuni esempi. Abbiamo fatto, giustamente, un partito post ideologico, perché le ideologie e le rigide identità che ne seguivano avevano fatto il loro tempo. Ma è arrivato il momento di riconsiderare la questione: quando si è giovani si è alla ricerca di esempi e di identità. E noi rischiamo di non dare né i primi ne di avere la seconda. Non possiamo essere solo “il partito delle banche”! Che non è vero ma è quel che passa.

7) siamo la principale forza del socialismo europeo, mentre tutte le socialdemocrazie e le sinistre in Europa sono ai minimi storici. Abbiamo e dobbiamo avere un ruolo in Europa, verso un Parlamento ed una Commissione europea a guida centrodestra. Siamo gli unici che, come si era cominciato a fare, possono agire per far invertire la rotta dall’austerità a quella degli investimenti e della solidarietà. Non lo fanno né la Lega ne i 5S, che in Europa siedono con Le Pen e Farage, cioè col peggio della destra. Non sfasciamo tutto.

E’ arrivato il momento di pensare all’Italia, come sempre, ma di occuparsi finalmente della sinistra e del PD. Ricucendo con umiltà quel che c’è da ricucire, discutendo apertamente, senza buttare via anche le tante buone proposte avanzate in vari settori. Io ci credo ancora. Al Pd e alla sinistra che vuole andare al governo. Perché la verità è ancora questa. Che siamo ancora perdenti, che al governo ci è andato prima Fini di noi, e che non possiamo accontentarci di esserci stati in coalizione con Alfano. Quello che vedo all’orizzonte, infatti, è solo un ritorno in grande stile della Destra. Che a tanti piace, ed è legittimo. Ma non è il mio campo.

giovedì 24 novembre 2016

Un sì ragionato, con voglia di unire, nonostante Renzi



Prima di tutto: andiamo a votare! Il 4 dicembre andiamo a votare. Per me è un diritto ed un dovere. Come per altre consultazioni, anche non di questo tipo, credo sia necessario e doveroso ricordare di andare a votare, spronare a prendere parte, a partecipare, a non lasciare che altri decidano per noi. Non sprechiamo questa opportunità. Inutile lamentarsi delle scarse occasioni di partecipazioni alla vita politica se poi quelle che ci sono non sono utilizzate al meglio.

Piccola ma doverosa premessa. Il mio sì non è un sì politicizzato, ideologico e/o di appartenenza. E’ un sì ragionato. Tanto più dopo aver letto anche le ragioni del fronte del No, che rispetto ma non condivido. Ed avendo letto ed ascoltato di tutto, sulla carta stampata e in tv, fino ad un limite che però mi sono autoimposto: quello della faziosità e della disonestà intellettuale che non sopporto mai in politica. Appartengono alla prima, ad esempio, i Rondolino (Unità) ed i Travaglio (Il Fatto) e vari politici espressioni del sì e del no; appartengono alla seconda i Salvini e i Berlusconi, quelli che nel 2006 volevano introdurre il premierato, il potere di scioglimento delle camere al Premier, l’alterazione dei poteri costituzionali con un Presidente della Repubblica depotenziato. Non scherziamo!
Il dibattito politico sulla riforma ha superato davvero in questi ultimi giorni i toni ed il garbo di un confronto sereno e civile. La politica è uno strumento importantissimo ma è anche un’arena, si sa. E tuttavia credo che si possa votare sì o no senza insultare chi la pensa diversamente, senza toni polemici o irridenti delle ragioni altrui, senza le miserie del linguaggio politico attuale, formidabilmente sintetizzate nei tristissimi “ciaone” o “pidioti”.
Ma in quest’ultimi giorni si è sentito pure di peggio. Da una parte e dall’altra. E francamente, tutto ciò mi fa schifo, perché l’uso di un certo tipo di linguaggio, in politica più che altrove, è sempre il primo drammatico sintomo del degrado della politica stessa. Servirebbe più accortezza.
La cosa che mi più di tutte mi fa pena quando sento le parole dei vari De Luca, dei vari Ingroia o dei vari Grillo o dei vari analisti finanziari che invocano chissà quali drammi del post voto, solo per citare gli ultimi edificanti esempi, non è solo il tipo di parole usate ma è l’artificiosa creazione della paura, l’intimidazione delle persone creando ad arte scenari apocalittici. Penso che compito della politica con la “P” maiuscola sia invece sempre quello di informare e di costruire opinioni consapevoli, non creare paure, evocare catastrofi e distruggere.
Così facendo si fa solo un servizio al crescente distacco tra cittadini e politica.
Per tutto questo, di seguito, ci sono soltanto alcune considerazioni di chi questa riforma se l’è letta e studiata non da ora, approfondita fin dove ha potuto, per farsene una ragione libera ed autonoma. Come dovrebbe essere in questi casi. Perché l’appartenenza ad un partito per me non sarà mai un limite alla libera scelta e alla maturazione dell’autonomia delle proprie idee.

La riforma perfetta è quella che non si farà mai, dunque giudichiamola per quella che è. Stiamo al merito, senza secondi fini, facendo lo sforzo di astrarci da Renzi e dalla contingenza politica. Una riforma costituzionale traguarda ad alcuni decenni, non a domani mattina. Dopo un Governo, bello o brutto, ne verrà senz’altro un altro. Soprattutto se vincerà il no. Probabilmente sarà ancora uno tecnico o di larghe intese, una ennesima iattura, ma cerchiamo di fare lo sforzo di non distrarci. Così come la legge elettorale si cambia dalla sera alla mattina con legge ordinaria (il centrodestra col Porcellum lo ha disastrosamente dimostrato, oggi pare che ce ne siamo già scordati) e, soprattutto, non rientra nel quesito referendario. Anzi per dirla tutta come la penso, ritengo che la riforma del bicameralismo paritario, seppure con qualche limite, vada bene a prescindere da quella che sarà la futura legge elettorale. Peraltro mi pare evidente che gli effetti del mitico “combinato disposto” siano stati disinnescati alla radice. Ormai l’ha capito anche il gatto che l’Italicum sarà cambiato: superamento del ballottaggio (personalmente ero per mantenerlo, inserendo però l’obbligo di apparentamento tra primo e secondo turno), ritorno ai collegi, superamento capolista bloccati e candidature plurime (la cosa che più di tutte non mi è mai piaciuta dell’Italicum, pur riconoscendogli invece nel complesso vari pregi), premio di governabilità (che non vuol dire più di maggioranza) alla coalizione o al partito. In sostanza tutto ciò che la minoranza PD aveva chiesto e che molti fieri oppositori, da destra e da sinistra, auspicavano.
So bene che la politica non è un mondo irenico, di pace e gioia. Ma è triste vedere come si giochino molte partite sulla data del 4 dicembre, tranne forse quella che veramente conta: spiegare cosa c’è realmente dentro la riforma e perché, almeno secondo il mio punto di vista, il Paese farebbe un piccolo ma significativo passo avanti se la riforma passasse. E non sto parlando di accontentarsi, sto parlando di cose molto concrete, di andare in una direzione politica auspicata più volte anche da sinistra.

Un sì ragionato. Perché, intanto, non ravviso nella riforma nessun rischio di deriva autoritaria a differenza, ad esempio di quella del 2006 – anche qui le parole hanno un peso -, così come va detto  che non arriveranno le cavallette ed i famosi mercati comunque andranno avanti, come hanno sempre fatto. Certo, avremo perso tutti un’occasione di fare alcune delle cose che la giurisprudenza costituzionale, ed in larga parte anche il sistema politico quasi nel suo insieme ci dicono di fare o di voler fare. Centrosinistra incluso, dai DS all’Ulivo almeno. Per questo dico sì. Non per un mero calcolo tra aspetti positivi e negativi, ma perché vi ravviso una direzione, una scelta politica che condivido.

Le riforme costituzionali non si fanno a maggioranza. Inoltre sono consapevole che lo strumento referendario, di per sé, è naturalmente divisivo: o tutto o niente. Con tutti i limiti che questo metodo comporta. Ma altrettanto nettamente bisognerebbe avere la decenza di dire che, tanto per stare al tema, è proprio quello che prevede la nostra Costituzione all’art 138, quando il Parlamento non riesca ad approvare la revisione costituzionale con i due terzi dei suoi componenti nella seconda votazione. Come è avvenuto per la riforma in questione. Fermatasi attorno al 57% dei voti (180 senatori su 315, 361 deputati su 630). Chi grida al “golpe” sbaglia di grosso: che piaccia o no la riforma è stata fatta proprio come la stessa Carta prescrive.
Si dice: ma non si fanno le riforme a colpi di maggioranza. Verissimo. Nel 2001 il centrosinistra fece un errore e ce lo siamo detti più volte. Più grosso lo fece il centrodestra nel 2006. Può essere considerata questa una riforma a colpi di maggioranza? Ci sarebbe da discutere. Ci dimentichiamo del gruppo di lavoro messo in piedi da naplitano subito dopo la sua rielezione e la sua Relazione finale sulle riforme istituzionali, composto da Mauro, Onida,Violante e Quagliarello. Poi ci dimentichiamo del lavoro collegiale dei 42 costituzionalisti messo in piedi con funzione consultiva dal Governo Letta, composta dai principali costituzionalisti italiani.
Se si eccettua la autoesclusione del M5S, come noto assai restio al compromesso che invece è uno dei compiti principali di un organo legislativo, la riforma è stata elaborata e poi anche votata in prima battuta da tutto il centrodestra. E’ stata la tattica politica e solo quella a far cambiare idea a parte del centrodestra, mentre altri hanno continuato a sostenerla. A me, questa volta, pare un falso problema se confrontato con gli altri precedenti.

Perché sì. Più che dei berci, della parolacce e degli insulti la riforma andrebbe ben ponderata. Weber diceva che in politica vige l’etica della responsabilità, che di norma è bene prevalga su quella dei principi. Probabilmente la riforma si poteva fare ancora meglio, è del tutto naturale che in una riforma non vada sempre tutto bene. Ma penso che tanto più se si parla di Costituzione la riforma perfetta è quella che non si farà mai, inutile illudersi se si ha un po’ di senso delle cose e di come funziona un Parlamento.

Almeno per me le questioni che spingono in favore della riforma sono: 1) non altera l’equilibrio dei poteri dello Stato; 2) non tocca il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica; 3) non cambia la forma della nostra democrazia, che resta saldamente parlamentare; 4) non introduce nessun “Premierato” o “semi presidenzialismo”; 5) non dà alcun potere in più al Presidente del Consiglio che resta primus inter pares (tutti motivi per cui, fieramente, mi opposi invece alla riforma del 2006 che oltre a questo, prevedeva pure il potere di scioglimento della Camere da parte del Premier, così per dire).
Invece questa riforma supera: A) il bicameralismo paritario, criticato dagli stessi padri costituenti fin da subito; B) modernizza l’organizzazione dello Stato; C) dà un giusto rafforzamento al Governo (non al Premier!) con i tempi certi alla sua azione, con la fine dell’abuso della decretazione d’urgenza (uno scandalo della così detta costituzione materiale) e D) con contrappesi e garanzie (lo Statuto delle Opposizioni assurge a rango costituzionale); E) riorganizza le competenze tra Stato e Regioni all’origine dello spaventoso contenzioso sorto davanti alla Suprema Corte dal 2001 in poi. Me lo dicevano all’Università che sarebbe andata così e avevano ragione. Leggete il libro di Sabino Cassese “Dentro la Corte” per farvi un’idea.

Una riforma nella giusta direzione. Dunque un sì da cui l’Italia, per tutte queste ragioni, penso possa trarre benefici. Una riforma che, nel suo complesso, rende il Paese più chiaro nella sua articolazione istituzionale e forte nella sua organizzazione statale, ma non per questo meno democratico. A me il punto centrale pare proprio questo, al netto delle singole obiezioni che ognuno di noi può avere. Lo dico stando al merito della riforma e solo a quello, senza scendere nel tifo o nella demonizzazione delle idee altrui. Stiamo infatti parlando delle regole della nostra comune convivenza, che vanno un po’ più in là dei destini personali di ciascuno di noi, o di Renzi, Grillo e Salvini.

Un sì nonostante l'errore di Renzi. Sostengo il sì per alcuni buoni motivi e non in favore di o contro qualcuno. E’ miope pensare di utilizzare una così importante occasione, quella della riscrittura delle regole che tengono insieme il nostro ordinamento e la nostra vita democratica, per mandare a casa il Renzi di turno. E invece questo sembra essere l’obiettivo di tanti.
A Renzi riconosco il merito di aver praticato il ‘primato della politica’, di aver indicato una strada di riforma dopo molti cincischiamenti – basandosi sul lavoro istruttorio fatto dal gruppo dei costituzionalisti già messo in piedi da Letta dopo la rielezione di Napolitano – e di averla portata in fondo. Il Parlamento ha rivisto peraltro profondamente il testo originario, molte sono state le modifiche.
Ma proprio perché ritengo che una riforma costituzionale come quella in atto sia un tantino più importante dei singoli destini di ciascuno di noi e che travalichi la contingenza politica, guardando necessariamente al futuro di una comunità nazionale, penso altrettanto convintamente che alla campagna elettorale così spiacevole abbia contribuito non poco lo stesso Renzi.  Che ha commesso fin dall’inizio l’errore clamoroso della personalizzazione del referendum, legando la sua sorte a questa consultazione. Questo ha scatenato una propaganda anti Governo e anti Presidente del Consiglio di notevoli proporzioni, coagulando contro la riforma tutto ed il contrario di tutto, anche chi della Costituzione ne farebbe davvero strame e chi col tricolore ci si puliva letteralmente parti del corpo poco nobili. Personalizzare è stato un errore politico che rende tuttora complicato un serio, pacato ed efficace confronto nel merito. Che però è irrinunciabile, nonostante tutto. Tuttavia la personalizzazione, le poche volte che è messa da parte, va detto altrettanto onestamente, scioglie il collante di forze assai eterogenee sul fronte del no, smascherando quelle a cui, davvero e nel merito, della riforma non importa un fico secco se non gli effetti su Renzi per mandarlo a casa e poi si vedrà.

Un sì per unire perché dopo il 4 dicembre c’è anche il 5. E penso anche che si debbano spiegare le ragioni della riforma senza il bisogno di scomodare personaggi politici importanti ma assenti dal dibattito presente, soprattutto a sinistra, così come ritengo invece più consono utilizzare le ragioni e le considerazioni dell’oggi alla luce delle proposte di modica degli ultimi 20 anni avanzate sia dal mondo politico che dal dibattito costituzionale, oltre che dalla giurisprudenza costituzionale. Mi è dispiaciuto vedere all’inizio della campagna strattonate da una parte e dall’altra associazioni o istituzioni, a molte delle quali peraltro appartengo, che fondano la propria storia nelle radici del movimento progressista della sinistra italiana.
Siamo di fronte ad un passaggio fondamentale della vita democratica dell’Italia che deve essere affrontato con maturità e piena consapevolezza della complessità della materia.
Vengo da partiti politici che, almeno dal 1993 in poi e almeno nella loro parte più progressista, hanno fatto della democrazia “decidente” e dell’alternanza, con la possibilità di scelta dei governi da parte dei cittadini e non da parte del consociativismo parlamentare, punti fermi delle loro proposte politiche. Oggi, invece, vedo molte amnesie. E lo dico con il rispetto necessario. Un rispetto che spesso manca tuttavia, perché si può anche dissentire, ma senza insultarci. Soprattutto a sinistra.

Si affrontano problemi irrisolti da tempo. Questo è un punto di forza della riforma. Sono convinto che gli italiani, messi di fronte alle soluzioni che tentano di risolvere problemi irrisolti da anni, che rendono il nostro sistema istituzionale più chiaro e funzionante, per questo io dico più moderno anche paragonandolo alle altre esperienze europee, ne comprenderanno le ragioni e le prospettive.
Nel 1994 i Progressisti che persero conto Berlusconi preponevano il superamento del bicameralismo paritario con la Camera con funzione proprie di una assemblea nazionale ed un Camera delle Regioni. Nel 1996 l’Ulivo proponeva che il Senato fosse trasformato in una Camere delle Regioni composta da esponenti delle istituzioni regionali che conservassero le cariche locali e che potessero esprimere il punto di vista e le esigenze della regione di provenienza.
Certo non mi sfugge anche che in precedenza, a sinistra, si sia propugnato addirittura il monocameralismo. Ma se siamo seri e abbiamo seguito l’iter della riforma dobbiamo constatare che in Parlamento una maggioranza per questo non c’era. Inoltre va anche detto,  come riportano gli esempi citati in precedenza e come fu addirittura nel dibattito della Costituente, che uno stato regionalista ha necessità di vedere rappresentate le istituzioni territoriali al centro dell’ordinamento, in una camera dedicata.

No all’abolizione del Senato, certo lo avrei preferito alla tedesca. Tutto ciò ricordato devo dire che la parte sul nuovo Senato è quella che mi crea i maggiori dubbi sulla riforma. Quale riforma non ne porta? Personalmente, avrei preferito un Senato modello tedesco dove si esprimesse la volontà dei governi regionali, con voto univoco e vincolo di mandato. A questo avrei aggiunto però una riforma del numero delle Regioni, attraverso una loro aggregazione, abolendo le regioni a statuto speciale. Soprattutto, se si pensa anche al giusto riordino delle funzioni legislative tra Stato e Regioni che la riforma comporta, avrei rilanciato sul rafforzamento delle autonomie locali, stringendo un patto con loro, perché oggi gli enti locali sono allo stremo, così come avrei finalmente regolato la vita democratica di partiti e sindacati. Il discorso ci porterebbe lontano ma il punto politico è per me rafforzare tutto ciò che è nel mezzo tra Comuni e Stato, così da favorire la partecipazione. Del resto però, anche qui, se si vuol essere seri, va riconosciuto che in parlamento una maggioranza per questa soluzione non c’era. Siccome nel Senato alla tedesca non siederebbero i consiglieri ed i sindaci ma i governi regionali, considerando che il PD governa larga parte delle regioni (oggi 17 su 21), apriti cielo spalancati terra. Altro che di deriva autoritaria si sarebbe parlato… Per questo è venuto fuori il Senato che è nel testo nella riforma.

Chiariamoci però su come verrà eletto. Quanto alla presunta non elezione dei futuri Senatori si raccontano storie, purtroppo, del tutto false. E’ stato chiarito ormai più volte che (art. 57) i Consigli Regionali sceglieranno “fra i propri componenti” i Senatori con metodo proporzionale ma “in conformità alle scelte degli elettori”, sulla base di modalità stabilite dalla legge ordinaria. Quest’ultima sarà approvata dopo il referendum e non potrebbe essere diversamente e il Pd, come ha deciso la Direzione su proposta di Renzi, sosterrà in Parlamento il Disegno di legge (Ddl) che i senatori Fornaro e Vannino Chiti e altri hanno predisposto. Secondo questa legge i 74 consiglieri regionali-senatori saranno eletti dai cittadini in modo proporzionale con una scheda elettorale apposita, diversa da quella con cui eleggeremo i consiglieri semplici e il presidente della Regione; la selezione dei candidati avverrà in collegi uninominali. I Consigli regionali si limiteranno ad una presa d’atto. Punto. Chi afferma il contrario o omette di dire questo, come fa Travaglio quasi tutte le sere su La7, mente sapendo di mentire. Vannino Chiti, per fare un esempio su tutti, ex Presidente della Regione Toscana era tra quei senatori che avevano annunciato il suo No se non si fosse fatta chiarezza, prima del voto, sul punto della diretta indicazione dei consiglieri da eleggere nel nuovo Senato direttamente da parte dei cittadini. Non è che Chiti era un mito prima quando diceva di votare no ed un bischero ora che, chiarito questo punto, ha detto di votare sì.

Non c’è tutto ma c’è molto di quel che serve. In conclusione a me pare proprio, pur a fronte anche delle osservazioni mosse in precedenza, che nella riforma, come hanno scritto oltre 200 costituzionalisti che si sono firmati a favore della modifica, “non c'è forse tutto, ma c'è molto di quel che serve, e non da oggi, per affrontare efficacemente alcune fra le maggiori emergenze istituzionali del nostro Paese. Ed è proprio a questo che dobbiamo guardare: al complesso del disegno e rispondere alla domanda se, tutta insieme, questa riforma rappresenti comunque un passo avanti nella direzione di una migliore organizzazione dell’ordinamento dello Stato oppure no. Per me sì, lo rappresenta.
Ad esempio: non si può non riconoscere come in tutti e cinque i progetti organici di riforma costituzionale presentati prima di quello attuale (Bicamerale Bozzi 1983-85; Bicamerale Iotti-De Mita 1992-94; Bicamerale D'Alema 1997-98; Riforma costituzionale Berlusconi 2005; Bozza Violante 2007) fosse indicato come necessario il superamento del bicameralismo perfetto e la differenziazione di compiti tra le due camere, con l’obiettivo sostanziale di togliere  al Senato il potere di decidere sulla vita del Governo e di rappresentare invece le istituzioni locali.

4 ragioni di fondo a sostegno di questa riforma, prevalenti sulle singole obiezioni.
La prima: il superamento del bicameralismo perfetto, l’unicum tutto italiano figlio, allora, delle paure del passato fascista ma anche dei timori sul futuro indotti dall’inizio della guerra fredda. Ebbene la riforma ha il merito di modernizzare l’architettura istituzionale dell’Italia e di snellire il Parlamento con la riforma del Senato (semplificato e specializzato nelle funzioni quanto ridotto nella sua composizione). La sola Camera sarà la camera politica, che darà la fiducia al Governo. Il Senato avrà un ruolo diverso e ridotto, ma più specializzato rispetto al passato: le istituzioni locali avranno finalmente una rappresentanza al centro dello Stato, così come auspicato fin dal dibattito nella Costituente. Sì, avremo anche la riduzione dei parlamentari, sempre promessa e mai fatta, e qualche indennità in meno. Ma quello dei costi e dei risparmi non è per me un motivo dirimente per cui sono a favore della riforma. Da sinistra dobbiamo ribadire con forza, contro ogni demagogia pauperistica soprattutto dei 5S, che la democrazia ha un costo, da Pericle fino ai giorni nostri. Quello che da sinistra va combattuto è l’abuso, il ladrocinio ed il privilegio. Non i principi alla base della democrazia e della separazione dei poteri. Tra i quali, che piaccia o meno, rientra pure l’immunità parlamentare per l’esercizio delle proprie funzioni che oggi si sostanzia di fatto nella richiesta per i casi di arresto, non certo di avvio a procedere. Con questa smania dei politici ‘tutti da mandare a casa’ si rischia da più parti di fare fuori non solo elementi portanti delle democrazia, ma conquiste della sinistra costate sacrifici perché la politica potesse essere praticata da tutti, senza limitazioni di censo e di censura, anche della propria libertà individuale. Certi dibattiti su questi aspetti fanno veramente pena.

La seconda: la razionalizzazione del processo legislativo, con la chiarezza dei compiti delle Regioni ed il rafforzamento dell’azione del Governo. La fine del bicameralismo perfetto, infatti, ha riflessi positivi anche sul procedimento legislativo. La Camera avrà così la preminenza sul Senato nella produzione delle leggi, come auspicato da tempo. Si supera finalmente la legislazione concorrente e si ridefiniscono i rapporti tra Stato e Regioni con incremento delle materia di competenza statale, come peraltro indicato dalla giurisprudenza costituzionale dalla riforma del 2001 in poi. Si rafforza l’azione del Governo con il voto “a data certa” sui disegni di legge per l’attuazione del programma, ma senza introdurre alcun “premierato”. La forma di governo non cambia e resta quella parlamentare: il Presidente del Consiglio non avrà potere di nomina e di revoca dei ministri, oltre a dover richiedere la fiducia alla Camera. E se da un lato l’azione del Governo viene rafforzata, dall’altro viene riequilibrata con le limitazioni all’uso sconsiderato e vergognoso dei decreti legge. Nessun “eccesso di potere” o “rischio di derive autoritarie” dunque. Anzi il nuovo art. 64 prevede che  “I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari”, inoltre ‘il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo Statuto delle Opposizioni’. Perciò assume rango costituzionale la previsione che le forze di opposizione dovranno essere correttamente rappresentate all’interno del Parlamento. Quelle di ora e quelle di domani, si badi bene.

La terza, infine, sta nel fatto che non si modificano i ruoli di garanzia previsti dalla Carta ed i contrappesi all’azione di governo. Intanto: il Presidente della Repubblica* avrà un quorum più alto dell’attuale per essere eletto e resta il garante della Costituzione. Non si toccano la Magistratura, il Csm e la Corte Costituzionale (mentre, devo dirlo, trovo improprio per il ruolo di giudice delle leggi che la Corte riveste che essa debba valutare la costituzionalità delle leggi elettorali in via preventiva e non dopo).


La quarta. La democrazia diretta registra, secondo me, significativi passi in avanti, per favorire la partecipazione dei cittadini alla funzione legislativa, alla vita politica e sociale del Paese. Un aspetto, questo, che mi pare sia troppo sottovalutato o raccontato in modo falso dai detrattori della riforma che animo i talk show televisivi. A me paiono invece punti importanti.
L’innalzamento delle firme (150mila a fronte delle 50mila oggi previste) necessarie alla presentazione di una proposta di legge popolare, hanno come garanzia l’inedito di tempi certi per l’esame parlamentare, cosa mai avvenuta fino ad oggi. Così come il referendum abrogativo che, in caso di 800mila firme raccolte, avrà il quorum per la validità fissato al 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni politiche e non più degli aventi diritto. Attenzione, una forma non esclude l’altra: 500 mila firme (come oggi) con un quorum del 51% degli elettori, oppure 800 mila firme con un quorum del 51% dei votanti alle ultime elezioni politiche.
Si introduce anche, per la prima volta in Costituzione, l’istituto del referendum propositivo e di indirizzo, da disciplinarsi con apposita legge costituzionale. Non mi sembrano istituti di poco conto in uno dei momenti più bassi del rapporto cittadini-politica-istituzioni.

Potremmo continuare. Così come non ci sfuggono difetti, incongruenze e qualche dubbio applicativo di cui ho provato a dare conto. Ma quale riforma non ne porta con sé? Ad esempio: funzionerà il nuovo Senato che porta le istituzioni al centro dell’ordinamento, che passa da una legislazione paritaria ad una per tipi distinti, differenziata in parte anche per materia? Dipenderà dal buon senso e dai protagonisti politici. Ma la semplificazione, nel rispetto della democrazia parlamentare che non muta, mi pare evidente.

Attuare la Costituzione resta comunque la battaglia da fare. La gara su chi sia più legittimato o titolato a riformare la nostra Costituzione, a mio avviso, non solo non è utile, ma neppure ci piace e ci appartiene. E la riforma migliore in assoluto è sempre quella prossima. Perché, dunque, rinunciare a molte delle cose di cui si ravvede la necessità da tempo per l’aggiornamento delle nostre istituzioni? Questo è quel che mi interessa e che richiede alla politica ed ai suoi interpreti di fare il suo mestiere: quello di approfondire, di provare a spiegare, di organizzare strumenti per maturare opinioni e fare scelte consapevoli. Dovendo alla fine prendere parte.
Nel mio piccolo, dunque, sono stato attivo insieme a tanti altri all’interno del Comitato per il sì, con buon senso e misura. Certamente convinto delle ragioni illustrate e dell’occasione che ha il nostro Paese di fare un passo in avanti per garantire un nuovo patto tra politica e cittadini. Più trasparente, efficiente, misurabile, sobrio, senza alibi per i governi. Dove chi vince le elezioni può governare, le opposizioni possono esercitare il loro ruolo nobile di controllo, dove gli organismi di garanzia sono determinati da larghe maggioranze e non si tocca il Presidente della Repubblica, dove non cambia il nostro sistema parlamentare, ma lo si rende più snello ed in grado di agire più tempestivamente.
Ma nel mentre approfondiamo quale sia il modello migliore possibile per l’organizzazione dello Stato e delle sue istituzioni - in rapporto però alle condizioni date e non ai desiderata di ciascuno, se no ci prendiamo in giro -, credo che non dobbiamo smarrire quella che invece è sempre stata una rivendicazione ed un punto fermo dell’azione politica di larga parte della sinistra italiana: la battaglia per la piena attuazione dei valori e dei programmi sanciti nella prima parte della Costituzione. Un cammino per nulla ancora concluso. E che per questo va riaffermato e ripreso con forza, da sinistra. Perché se è vero che la proposta di ammodernamento dell’organizzazione dello Stato è importante, lo sono ancora di più quei valori, quei principi e quei programmi che dalla riforma non sono toccati e da cui, ad esempio, nascono l’allargamento del campo dei diritti (come le Unioni civili per citare l’ultimo caso) o il rafforzamento degli strumenti di welfare a sostegno delle politiche sociali per il superamento delle disuguaglianze sempre più crescenti nel nostro Paese.

***

*Si fa una notevole confusione sugli effetti della riforma, se passerà, sul Presidente della Repubblica. Stiamo ai fatti e a qualche numero, senza prendere in giro nessuno. Per eleggere il PdR ed i componenti del CSM è richiesta almeno la maggioranza dei 3/5, cioè il 60% (438 voti) dei votanti. Per eleggere i giudici costituzionali sempre il 60%, ma dei componenti (così suddivisi: 3 eletti dalla Camera e 2 dal nuovo Senato). Per la revisione costituzionale senza referendum i 2/3 cioè il 66.6% (487 voti) dei componenti.
Per l’elezione del Presidente della Repubblica la riforma prevede, come quella attuale, che per le prime tre votazioni il Presidente debba essere eletto dai 2/3 del Parlamento in seduta comune – dunque 487 voti. Secondo l’attuale testo “dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”, ovvero la metà più uno. La riforma prevede invece che dal quarto al sesto scrutinio il quorum necessario sia i 3/5 dei voti degli aventi diritto – 438 voti -, dal settimo scrutinio in poi i 3/5 dei votanti effettivi e non dei componenti. Ma è noto che alle sedute per l’elezione del Capo dello Stato tutte le forze sono sempre presenti. E ne deduce che nessuna forza politica potrà da sola eleggersi il Presidente. Ad esempio, anche se abbiamo visto che non sarà così, nel caso in cui restasse come legge elttorale l’Italicum e vincesse Grillo, questo come è congegnato oggi assicura 340 deputati.

martedì 22 marzo 2016

Referendum 17 aprile 2016



Il 17 aprile, naturalmente, andrò a votare
E siccome ho sempre preso parte, altrettanto naturalmente, non mi asterrò e voterò sì.
Tuttavia non lo farò per le motivazioni che sento prevalere in giro: cioè quella ideologica per cui da domattina possiamo fare a meno di gas e petrolio e quella, tutta politica, che vuol fare  lo sgambetto al “Governo di turno", tanto più se targato Renzi.

Detta in modo molto più laico e prosaico di tante (spesso confuse) argomentazioni che leggo in questi giorni, voterò sì solo perché preferivo la normativa precedente: cioè quella che legava le attività al rinnovo, via via, delle concessioni di estrazione, nel caso specifico soprattutto di gas e un po' meno di petrolio, invece di legarla alla durata di vita utile del giacimento, come oggi previsto dalla modifica al Testo Unico Ambientale prodotta dal decreto “Sblocca Italia”. Una normativa che non mi pare, per quello che mi è dato conoscere, che avesse destato particolari problemi di applicazione. Forse un atteggiamento 'conservativo' il mio questa volta e poco progressista ma, è così. Del resto non si sta parlando di interrompere nulla dopo domani di ciò che è ogg già autorizzato, ma tra qualche anno alla scadenza delle concessioni. Inoltre è stato giustamente ricordato il fatto che l'Italia abbia una dotazione comunque modesta di idrocarburi, con riserve di una certa entità nell'alto Adriatico per il gas naturale ed in Basilicata per il petrolio. Dotazioni naturalmente non in grado di rendere l'Italia meno dipendente dal petrolio e dal gas importati.

Non partecipo quindi al voto con l’illusione/convinzione che se vincerà il sì dal giorno dopo vivremo in un mondo tutto “rinnovabili” (per quello non basta un sì ad un referendum o un mi piace su facebook, ma comportamenti conseguenti tutti i giorni, assai più difficili), così come non mi sentirò orgoglioso di aver fermato nessuna nuova trivella (già oggi vietate tra l’altro entro le 12 miglia, mentre a pochi metri più in là si potrà continuare a farlo in quanto consentito).
Tutto questo dovrebbe già far riflettere sulla portata limitata del quesito referendario, frutto più di uno scontro istituzionale che di uno spontaneo movimento di massa. Così come dovremmo riflettere alla fine, e senza confondere i fabbisogni elettrici con quelli energetici complessivi del nostro Paese, anche sul fatto che i costi ed i benefici della scelta non sono così evidentemente sbilanciati né da una parte né dall’altra, ma piuttosto controversi.

Certo è che l’Italia ha urgente bisogno di definire quanto prima la sua Strategia energetica nazionale o Piano Energetico che dir si voglia, in coerenza con gli impegni volontari assunti alla recente Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi e in ragione di un obbligo morale e politico di tutela della nostra casa comune (il 2015 è stato l’anno più caldo della storia da quando esistono le misurazioni, lo stesso dicasi per i mesi di gennaio e febbraio 2016; gli scienziati che lavorano al Global Greenhouse Gas Reference Network della Noaa - National Oceanic and Atmospheric Administration -, hanno sottolineato che il 2015 è stato il quarto anno consecutivo in cui la CO2 è cresciuta più di 2 ppm, vale a dire che i livelli di anidride carbonica stanno aumentando più velocemente di quanto hanno fatto in centinaia di migliaia di anni...). Criticavamo questa mancanza di strategia verso i governi berlusconi di allora, non possiamo certo stare zitti oggi, sorpattutto dopo la Conferenza di Parigi 2015.

Francamente penso che di questo dovremmo discutere, di questo dovrebbe discutere la politica tutta, confrontandosi, per non scrivere l'ennesima pagina delle occasioni sprecate: di come accelerare la transizione dalle fonti energetiche fossili a quelle rinnovabili, di come migliorare qualità, efficacia ed efficienza delle prestazioni energetiche, di come migliorare i sistemi di accumulo, di come accelerare la mobilità elettrica (mobilità e riscaldamento civile sono tra le prime cause di inquinamento: l’OMS ha recentemente dichiarato che 1 morte su 4 a livello mondiale è determinata da fattori di rischio ambientale, legati al luogo in cui si vive o si lavora). E lo strumento del referendum abrogativo, per quanto strumento prezioso di democrazia diretta intendiamoci, non è di sicuro quello più adatto per questioni di simile portata. Inutile caricarlo di significati che non può avere e di risultati che non può produrre.

Tanto più che per la prima volta nelle storia repubblicana, il referendum è stato promosso non da movimenti di masse e/o di coscienze, quanto dalla volontà di alcune Regioni (nemmeno tutte, ma quelle che bastano ai sensi dell’art. 75 della Costituzione) a seguito di un aspro confronto col Governo centrale. Divergenze recuperate in massima parte con l’ultima legge di stabilità, tranne che per il punto oggetto della consultazione.A me questa cosa colpisce molto.

Mi aspetterei, invece, che dal giorno dopo il referendum, indipendentemente dall’esito referendario, il sistema politico lavorasse a questa prospettiva, senza avere l’assillo di “mandare a casa Renzi” da una parte (il futuro del pianeta mi sembra un pochino più importante delle sorti di una persona) e, dall’altra, parlo anche del mio partito, di fare davvero della sostenibilità ambientale, del modello economia verde e circolare il nuovo comune denominatore delle scelte politiche del futuro, così prossimo da essere già in ritardo. 

Non partiamo da zero: i dati (fonte: Eurobserv’ER) ci dicono che nel 2014, ad asempio, le rinnovabili hanno prodotto il 15,9% dell’energia totale consumata nell’UE e che quindi l’obiettivo del 20% entro il 2020 è più vicino, mentre a livello di singole nazioni, tra le 9 che hanno già raggiunto i loro obiettivi al 2020, c’è anche la vituperatissima Italia. Si può fare di più? Si deve. E l’occasione a mio avviso è il così detto “Green Act”, più volte annunciato dal Governo ma ancora non definito. Fuori dai paroloni inglesi si stratta di definire, finalmente e nero su bianco, una strategia condivisa e di lungo termine per la de-carbonizzazione a cui vuole e deve concorrere il nostro Paese. Penso che su questo dovremmo insisitere e concentrare gli sforzi del 'sistema Paese'. Del resto è vero che l'Italia, sul fronte rinnovabili ed efficienza energetica, partita da fanalino di coda in Europa, ha recuperato terreno, ma è vero anche che negli ultimi 3-4 anni l'intero settore segnala un arretramento, anche con perdite di posti di lavoro costruiti negli anni precedenti grazie agli incentivi, gli investimenti e gli sgravi fiscali. Non decidere non è mai una buona strategia, tanto più ora e in questo campo.

TRE POST SCRIPTUM NON RICHIESTI:
1) ho trovato insopportabile le campagne sull’election day. Secondo me sbagliava Renzi quando non era premier a chiederlo, sbagliano oggi quelli che, politica e associazioni ambientaliste, hanno gridato allo scandalo. Io non ci vedo scandalo. E trovo corretto che i referendum  si svolgano in momenti separati dalle tornate elettorali. Proprio per dargli la giusta attenzione, il giusto risalto, il corretto approfondimento sganciati dalla contingenza politica del momento, dai secondi fini di "mandare a casa" o "regolare i conti" con questo e quello, se possibile. Del resto è vero anche che la legge non vieta l’unificazione in un sol giorno ma, personalmente, trovo opportuno che restino momenti separati. 
Si dimentica spesso, anche e soprattutto a sinistra a quanto vedo e leggo, che la democrazia, non le chiacchiere, ha un costo. 
2) per chiarezza, infine, ho trovato sbagliato l'invito all'astensione del mio partito,  amio avviso frutto della sovrapposizione tra le figure di premier e segretario. Invitare a non andare a votare è sempre sbagliato per me. Tuttavia, con tutti i nostri difetti, io stesso potrò votare come mi pare, resterò libero di acconsentire o di criticare, senza che nessuno mi butti o ci butti fuori dal partito per questo.
3) sto studiando la riforma costituzionale. Ebbene questa prevede una revisione degli strumenti della partecipazione diretta che, in prima istanza, reputo per nulla negativa: sono introdotti quorum diversi per il referendum abrogativo, a seconda del numero dei sottoscrittori della proposta abrogativa; si introduce l'obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi di iniziativa popolare, con tempi, forme e limiti della discussione e della deliberazione garantiti dai regolamenti parlamentari; inoltre, sono disciplinati condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali, insomma: degli esiti se ne dovrà tenere conto. Ma di questa storia ne parlermo un'altra volta.


mercoledì 9 marzo 2016

L'ospite inquietante, che vuol vedere "l'effetto che fa"




La vicenda dei due ragazzi romani che ammazzano, strafatti, un altro ragazzo per “vedere l’effetto che fa” mi ha lasciato senza parole. Una vicenda che definire agghiacciante è forse troppo poco.

Ho riletto almeno tre volte il racconto trapelato dai verbali dell'interrogatorio.
E tutte le volte duravo fatica a crede a quel che leggevo. Con quel senso di vomito che ti prende quando hai a che fare con cose disumane, ingiuste, violente.
Ho provato rabbia e disperazione, angoscia. Come si fa? Del resto, più o meno, è quasi la mia generazione.

Nel leggere di quel racconto da brividi, di alienazione e di nichilismo e di insana sperimentazione, oltre a provare tristezza e senso di sgomento, mi è venuto in mente un libro letto tempo fa, forse neppure così attentamente, di Umberto Galimberti: “L’ospite inquietante”.

Forse una spiegazione di quel che è successo, ammesso che mai ci sia una spiegazione per una violenza di questa natura, sta proprio nell’ 'ospite inquietante' che è dentro questi ragazzi. E che non pago di essere ospite, sente anche il bisogno di “vedere l’effetto che fa”. Quest’ospite è per l’appunto il nichilismo: cioè la negazione di ogni valore.

Galimberti spiega nel suo libro questa fenomeno con il fatto che viviamo nel mondo della tecnica. E come la tecnica non tenda a uno scopo, non produca senso e non sveli alcuna verità ma, in una parola, 'funzioni' e basta. Proprio a causa di questo nichilismo si annientano i concetti di identità, di libertà, di senso e quelli di natura, di etica, di politica, di religione, di storia di cui, dice Galimberti, si è nutrita l’età pre-tecnologica.

E le nuove generazioni son quelle che scontano più delle altre questa dimensione. Sono i giovani quelli contagiati da una sempre più profonda insicurezza, condannati a una deriva dell’esistere che coincide con il loro assistere allo scorrere della vita in terza persona. Da cui, conclude Galimberti,  derivano anche i riti della crudeltà” o della violenza.

Io non lo so se questa può essere una spiegazione. Certo è un’analisi molto convincente. Come credo che ci sia pure dell’altro: l’ansia dell’apparire (anche questa derivato della tecnica?) ancor prima dell’essere: “Sei perché appari” non , viceversa, “appari perche sei”. Che, se ci pensiamo, è una differenza non da poco.

venerdì 26 febbraio 2016

Ecco le nostre scelte sul progetto del nuovo Villaggio Scolastico



Una scelta politica. Diciamoci la verità: il nuovo villaggio scolastico nel programma di legislatura scritto dal PD e da SEL, quello che ha ottenuto oltre il 70% dei consensi dei Sangimignanesi, non c’era. Perché, allora, un progetto così complesso di rifacimento ed ammodernamento delle scuole comunali? La risposta è perché sulle scuole non si scherza, così come non si scherza sulla sicurezza. Per noi sono una priorità. E lo sono da sempre, a San Gimignano, per le forze di sinistra e di centrosinistra che hanno governato la nostra città e che hanno investito nella formazione e nell’educazione scolastica: non solo per rispondere ad un obbligo di legge, ma nella consapevolezza che è dalla scuola, dai suoi insegnanti, dai suoi programmi e dalle sue strutture che si formano i cittadini di domani. E con la convinzione che accanto ad insegnanti capaci e preparati, a piani dell’offerta formativa completi servissero anche strutture adeguate, moderne, efficienti e soprattutto sicure. Fu così negli anni Settanta, lo è anche oggi.

Una scelta in continuità con l’attenzione di questi anni. A riprova di quanto appena detto ecco alcuni esempi di investimenti effettuati nella passata legislatura 2009-2014: A) ristrutturato/ammodernato l’Asilo Nido; B) realizzata la pista ed il campo d’atletica anche ad uso scolastico; C) realizzata la nuova Scuola Materna di Ulignano; D) ristrutturata la Scuola Elementare di Ulignano per l’ottenimento del Certificato di Prevenzione Incendi (CPI).

Una scelta di responsabilità. E’ sulla base di questa premessa che il Comune di San Gimignano ha deciso di commissionare a dei professionisti specializzati uno studio che verificasse se i fabbricati scolastici fossero o meno coerenti con le nuove norme costruttive in materia di sicurezza dell'edilizia scolastica. Oggetto dello studio sono state le scuole realizzate negli anni '70 con la tipologia "a pannelli prefabbricati": la Scuola Media, la Scuola Materna e la Scuola Elementare di Ulignano. I risultati dell’indagine sono stati consegnati al Comune a fine estate 2014. Ecco perché l’intero progetto non era nel programma di legislatura. E soprattutto questi risultati hanno evidenziato un fatto inedito e preoccupante: le tre scuole, per la loro tipologia costruttiva e per la loro concezione strutturale, pur essendo state costruite a regola d'arte in base alla normativa vigente in quegli anni, oggi non rispondono ai requisiti realizzativi richiesti dall'attuale normativa.

I problemi si affrontano, non si scansano. E’ per questo che è nato il progetto delle nuove scuole. Perché non abbiamo voluto far finta di non vedere. A lasciarle così, beninteso, non sarebbe stato compiuto nessun reato. Ma abbiamo scelto, pur in condizioni di bilancio comunale molto rigide, di affrontare il problema che il Sindaco e la Giunta ha correttamente evidenziato, di non restare fermi e di trovare delle soluzioni per dare una prospettiva ai nostri edifici scolastici nella piena sicurezza e con la massima modernità.

Le soluzioni scelte. Le soluzioni non potevano essere che due: una manutenzione spinta degli edifici o il loro totale rifacimento. Perché la seconda ipotesi? Perché la Giunta comunale ha correttamente incaricato anche una altro soggetto, l’Università di Firenze, affinché analizzasse anch’essa quanto prodotto dai professionisti incaricati dal Comune, così da avere la massima garanzia del quadro emerso. Le analisi condotte e le prime valutazioni hanno fatto emergere la non economicità di un intervento di adeguamento. Questo il dettaglio: A) per la Scuola Media, l'unica costruita su vari piani, un intervento di adeguamento alle normative vigenti ed un miglioramento dell’efficienza energetica ed ambientale sarebbe risultato più oneroso rispetto ad un edificio totalmente nuovo con tali caratteristiche; B) per la Scuola Materna è risultata la convenienza di una nuova realizzazione in quanto i costi avrebbero eguagliato quelli della manutenzione necessaria; C) per la Scuola Elementare di Ulignano, invece, è risultato più conveniente l’intervento di manutenzione. Anche perché, come abbiamo appena visto, già nella passata legislatura il Comune era intervenuto su questa scuola con la messa a norma dell’impianto antincendio ed altre ristrutturazioni, quando l’Amministrazione è intervenuta con i lavori di costruzione della nuova Scuola Materna di Ulignano connessa a quella Elementare.

Interventi previsti su Materna, Media del capoluogo e su Elementare di Ulignano. E per quella di San Gimignano? Anche la Scuola Elementare di San Gimignano è stata oggetto di un’indagine approfondita dell’Università di Firenze. Da questa indagine è emerso che la scuola può essere utilizzata a condizione che nell’arco di alcuni anni siano effettuati alcuni lavori di miglioramento dell’edificio. Nell’estate 2015, intanto, sono stati fatti i primi lavori per ospitare nella scuola elementare del capoluogo, separando accessi e spazi didattici, anche gli alunni della Scuola Media che è stata dichiarata inagibile. Intanto sono già stati stanziati gli 80mila euro per il Progetto Preliminare della Scuola Elementare che dovrà essere redatto e che ci dirà, sulla base dell’indagine dell’Università di Firenze, quale sarà l’esatto costo degli interventi di adeguamento da fare.

Nuove scuole, gli interventi da realizzare: un progetto complesso e completo.  Alla fine di queste indagini il quadro è risultato chiaro ed abbiamo capito subito di essere di fronte ad un’opera eccezionale per le nostre forze, per il nostro bilancio e per la nostra macchina comunale. Servono, infatti: 1) una nuova Scuola Media; 2) una nuova Scuola Materna; 3) una nuova palestra al posto della vecchia palestra delle elementari.
A questi interventi andranno aggiunti, come detto, i lavori per la manutenzione della Scuola Elementare di Ulignano, per la manutenzione della Scuola Elementare di San Gimignano, i lavori per la sistemazione delle aree esterne alle scuole e quelli per gestire la fase transitoria (alcuni già realizzati per consentire, ad esempio, il trasloco dalle media alle elementari del capoluogo).
Tutti gli interventi hanno le seguenti caratteristiche: a) rispondenza alle più recenti normative in materia di sicurezza; b) attuazione delle migliori pratiche in materia di qualità ambientale e prestazioni energetiche; c) riqualificazione e riorganizzazione urbanistica delle aree interessate, soprattutto nel capoluogo; d) la creazione di un nuovo impianto sportivo costituito dalla nuova palestra che sarà costruita al posto di quella della elementari.

Un progetto grande e dunque costoso. Ecco il dettaglio. I costi del progetto non sono indifferenti per le casse di un Comune come il nostro. Ecco il dettaglio dei quadri economici:
A) la nuova Scuola Media: € 2.930.000, di cui 2 mln da Regione e Governo e 930mila dal Comune; B) la nuova Scuola Materna € 2.240.000 di cui 1.950.000 mln da Regione e Governo e 290mila dal Comune; C) la nuova palestra € 1.110.000 di cui 950mila da Regione e Governo e 160mila euro dal Comune, per un totale complessivo di € 6.280.000.
A questi costi si sommano 200mila euro per le sistemazioni degli spazi esterni, gli 800mila euro per la sistemazione della Scuola Elementare di Ulignano, i circa 300.000 euro per la gestione della fase transitoria, gli 80mila euro del Progetto Preliminare della Scuola Elementare. Quindi un grande progetto, dal costo complessivo di quasi 8 milioni di euro.

Da dove arrivano le risorse? Dei 6.280.000 milioni di euro di costo per i tre nuovi edifici, circa 4.900.000 milioni di euro sono venuti da un contributo della Regione Toscana a valere su risorse del Governo Renzi, che finanzia un piano triennale di interventi strutturali sugli edifici scolastici in tutta Italia. Il Comune ha partecipato al bando della Regione che è scaduto a fine marzo 2015 ed ha intercettato più risorse di tutti in provincia di Siena, vedendosi finanziati 3 progetti su 4. Il quarto è quello della Scuola Elementare di Ulignano che è però risultato ammissibile e in buona posizione, così che non appena la graduatoria scorrerà potrà anch’esso beneficiare dei finanziamenti. Un risultato per nulla scontato, di cui andare orgogliosi e che rende oggi tutta l’operazione sostenibile anche dal punto di vista finanziario, anche per un altro motivo. La Legge di Stabilità per il 2016 ha da un lato considerato questi contributi comunque fuori dai vincoli dei limiti di spesa imposti agli Enti Locali ed ha di fatto superato il vecchio funzionamento del Patto di Stabilità interno. Per cui, per farla breve, un Comune può spendere i soldi che ha. Sembra una banalità dirlo, ma non era così fino all’anno scorso. E San Gimignano ne era un esempio, purtroppo.

Gira questa storiella: “si rifanno le scuole perché sono arrivati i soldi””… Si tratta di una bufala che più bufala non si può. L’arrivo dei finanziamenti dalla Regione/Governo rendono certo il cammino più agevole. Ma da un punto di vista di scelte politiche le scuole si sarebbero fatte comunque. Come Consiglieri comunali, ad esempio, abbiamo fin da subito apprezzato la decisione della Giunta di affrontare il problema e di risolverlo. Tuttavia, mentre da un lato abbiamo fatto tutti i passi necessari e ci siamo assunti tutte le responsabilità del caso votando deliberazioni pesantissime in Consiglio Comunale, dall’altra, nelle more degli esiti del bando, abbiamo chiesto alla Giunta di lavorare anche ad un “piano b”: cioè ad uno scenario che contemplasse anche la possibilità di non ricevere nemmeno un euro o pochissime risorse esterne di finanziamento e di trovarci nelle condizioni di non reggere il peso degli investimenti necessari con il solo bilancio comunale. Ci sarebbe voluto più tempo, ancora più disagi probabilmente, con un eventuale “piano b”, ma l’obiettivo e la determinazione di risolvere il problema della sopravvenuta inadeguatezza delle nostre scuole lo avremmo affrontato comunque e senza tergiversare.

Tutti bravi! Ora che sono arrivate le risorse… Leggiamo e sentiamo qua e là che ora tutte le forze politiche si dichiarano d’accordo con il progetto, che tutti si prodigano nel voler dare informazioni di qualunque tipo, qualcuno vorrebbe sostituirsi alla Giunta Comunale, altri rivendicano a sé tutti i meriti e via discorrendo. Bene. A noi non fa altro che piacere che finalmente ci sia convergenza. Quello che però ci preme ricordare, per onestà intellettuale e rispetto verso il lavoro svolto dal Gruppo Consiliare del Centrosinistra per San Gimignano (di cui fino ad inizio del 2015 faceva parte anche SEL) è che quando il 28 novembre 2014 c’era da votare la variazione di bilancio per consentire al Comune di partecipare ai bandi della Regione per intercettare le risorse, i voti a favore sono venuti soltanto dal nostro gruppo. Mentre hanno votato contro i gruppi M5S e Lista Civica. Con quel voto abbiamo di fatto rivoluzionato il bilancio comunale nella parte degli investimenti, fermando tantissime opere pubbliche, dichiarandoci disponibili a vendere anche una buona parte del patrimonio disponibile del nostro Comune pur di partecipare a quel bando per fare le scuole. Un voto pesantissimo, che cambiava le priorità di spesa dell’Amministrazione, che impegnava patrimonio pubblico e che cadeva in una fase politico-amministrativa in cui il Patto di Stabilità era pienamente vigente e non c’era nessuna certezza che gli eventuali contributi che avremmo ricevuto sarebbero stati fuori dal conteggio del Patto, o che il Patto di Stabilità sarebbe poi stato superato (come di fatto è avvenuto solo dal gennaio 2016). E sempre per onestà intellettuale va ricordato anche quanto successo a giugno 2015. Cioè quando c’è stato bisogno di finanziarie, una volta avuta la certezza dei 4,9 milioni della Regione/Governo, la quota parte a carico del Comune per completare il finanziamento dei tre nuovi interventi, per un totale di 1,7 milioni di euro, così da poter bandire la gara di appalto, oltre all’ipotesi di intervento sulla Scuola Elementare di Ulignano. Ebbene, anche in questo caso, i voti a favore per questa operazione sono arrivati ancora una volta e solamente dal Gruppo Consiliare Centrosinistra per San Gimignano. Mentre si sono astenuti M5S e Lista Civica. Ora tutte le forze politiche si dicono favorevoli al progetto delle nuove scuole. Bene, ci fa piacere che finalmente sia così. Ma almeno si raccontino le cose per come sono andate. Quel nostro voto è stato importantissimo: perché il rischio era di non fare in tempo a bandire le gare di appalto e perdere così le risorse assegnate.

Una volta completato il finanziamento non si poteva partire subito con i lavori della nuova Scuola Materna? E’ stata una domanda legittima che molti hanno fatto. Iniziare subito i lavori della nuova materna senza doverla liberare per abbatterla per creare lo spazio per la nuova Scuola Media e la nuova palestra. Ma purtroppo come abbiamo sempre detto la struttura del bando regionale non ci consentiva differenziazioni tra progetto e progetto e obbligava l’Amministrazione ad impiegare le risorse immediatamente e tutte insieme. Aggiungere altre risorse dal solo bilancio comunale per anticipare i tempi, avrebbe voluto dire non rispettare il disegno del nuovo villaggio e aggravare ancora di più il bilancio comunale, oltre a spendere due volte.

Ecco perché è stata scelta Ulignano per i bambini della scuola materna del capoluogo. Una volta ottenuti i finanziamenti e appaltati i lavori in questi primi mesi del 2016, si è posto il tema di come svolgere il prossimo anno scolastico 2016-2017 senza la materna del capoluogo. Su questo punto come consiglieri abbiamo suggerito che l’opzione di non fare l’anno scolastico per la materna non era una opzione all’altezza del nostro Comune e della nostra storia. Il servizio andava garantito. Anche se, a termini di legge, la scuola materna non è scuola dell’obbligo ed il Comune non sarebbe stato sanzionabile di nulla. Tuttavia la scelta politica è stata molto chiara. Un minuto dopo abbiamo caldeggiato, seppure a fronte di qualche evidente disagio, la soluzione che i bambini trovassero ospitalità in una struttura nata e progettata con la funzione di scuola, anziché pensare a soluzioni temporanee di pre-fabbricati o di altre strutture che non sono nate per ospitare delle scuole. Questo perché nel primo caso i costi sarebbe stati alla fine quasi come quelli di un’altra scuola nuova (e chi l’avrebbe pagata non si sa…), nel secondo caso perché siamo convinti che un edificio progettato per le funzioni scolastiche, seppure con spazi più ristretti, sia comunque ed in ogni caso più idoneo ad ospitare le attività didattiche di ogni giorno. E’ quello che alla fine è accaduto.  

Deciso il “se” fare le nuove scuole, ora va gestito il “come”: con il maggior dialogo possibile e con la massima trasparenza. Con le scelte che abbiamo descritto ora il progetto è entrato nella fase realizzativa. E per quanto ci riguarda, come consiglieri comunali di maggioranza, abbiamo chiesto e concordato con la Giunta, che già si era attivata in tal senso, che questa fase sia ora gestita con la più ampia disponibilità al dialogo e la massima trasparenza possibile. Noi siamo consapevoli che la fase esecutiva creerà alcuni disagi alle famiglie che hanno i figli nelle scuole coinvolte dal progetto. Inutile nascondersi. Al tempo stesso siamo consapevoli che non una massiccia, costante e chiara informazione alle famiglie tutti questi problemi non solo possono essere affrontati ma, soprattutto, gestiti.
In proposito pensiamo che: a) sia positivo il lavoro già avviato dal Sindaco e della Giunta con i genitori e col neo costituito Comitato dei genitori; b) sia positiva la costituzione del Comitato dei genitori, perché contribuisce a semplificare i canali di informazione, contribuisce a dare certezza alle informazioni che circolano, evita inutili e fastidiose distorsioni delle informazioni stesse, rappresenta un soggetto ed un luogo per un confronto costruttivo nel merito dei problemi; c) che le informazioni ufficiali al Comitato, alle famiglie ed alla cittadinanza non possono che venire dall’organo esecutivo dell’Amministrazione, cioè dal Sindaco e dalla Giunta Comunale, che tutti i giorni hanno rapporti con le imprese, le direzioni lavori, la direzione scolastica e con la struttura tecnica del Comune che soprintende ai lavori.
Noi consiglieri comunali siamo naturalmente a disposizione dei Sangimignanesi per tutto il tipo di segnalazioni, suggerimenti, considerazioni del caso ma non potranno essere confusi i ruoli. A noi spetta un ruolo di indirizzo e lo abbiamo già esercitato, dicendo sì al bilancio e al progetto per fare il nuovo villaggio scolastico.

Intanto: che cosa ha comportato la chiusura della Scuola Media? L’ordinanza di chiusura della Scuola Media ha comportato alcune conseguenze: dolorose ma necessarie. Vediamole, nell’ordine: 1) la chiusura della cucina e quindi della mensa in gestione diretta con conseguente appalto esterno della fornitura di pasti (non sono cambiati i requisiti quali-quantitativi richiesti dal Comune) ; 2) lo spostamento a Colle Val d’Elsa dell’Istituto Enogastronomico. Scelta molto sofferta ma obbligata, anche perché la Provincia di Siena si è dichiarata indisponibile a costruire un nuovo fabbricato a San Gimignano, preferendo la soluzione già pronta nel plesso dei Licei a Colle; 3) l’accorpamento dentro la Scuola Elementare di tutte le classi della Scuola Media; 4) il trasferimento per l’anno scolastico 2016/2017 di tutti bambini della Scuola Materna presso la Scuola di Ulignano; 5) l’acquisto di un capannone industriale a Fugnano per la delocalizzazione del magazzino comunale; 6) la prossima chiusura degli spogliatoi del Palazzetto dello sport con la costruzione di nuovi spogliatoi e altri volumi esterni di tipo prefabbricato.

E dopo che saranno realizzati i 3 nuovi edifici? Andranno necessariamente fatti alcuni interventi. Eccoli: A) il completamento della sistemazione degli spazi esterni con l’appalto del progetto di costruzione del parcheggio e della nuova viabilità (circa 200.000 euro); B) la sistemazione antisismica ed efficientamento energetico, oltre ad una ristrutturazione globale, della Scuola Elementare di Ulignano (800.000 euro); C) la realizzazione del Progetto per gli interventi da fare nella Scuola Elementare del Capoluogo (come abbiamo visto è stato finanziata la progettazione preliminare per 80.000 euro).

Una opportunità di riqualificazione urbanistica, non solo un nuovo villaggio scolastico. E’ quello che pensiamo sia, e abbiamo voluto che fosse assieme alla Giunta comunale, questo progetto: non solo un’operazione per le nuove scuole ma un’operazione urbanistica. Infatti l’abbattimento dell’attuale Scuola Materna e dell’attuale Palestra delle Elementari, la costruzione della nuova Scuola Media e della nuova Palestra e la costruzione della nuova Scuola Materna accanto all’attuale Asilo Nido, configurano la creazione di due nuovi poli, collegati dalle infrastrutture sportive del campo d’atletica e dell’attuale palazzetto dello sport. Ma tutte queste azioni sono anche l’occasione per sistemare e migliorare l’attuale viabilità e sosta di fronte e nelle vicinanze di questi due nuovi poli, con interventi per la circolazione veicolare, la sicurezza stradale, la gestione/separazione dei flussi di traffico e una nuova dotazione di parcheggi. Se poi i lavori della circonvallazione riprendessero presto (come speriamo), la realizzazione di questa fondamentale opera consentirebbe di attuare pienamente le previsioni del Piano Strutturale. Piano che già oggi prevede una viabilità che, costeggiando l’attuale campo di calcio di Belvedere per intenderci, si riconnette con il tracciato della circonvallazione. Questo consentirà di gestire meglio il traffico, di evitare imbottigliamenti e istituire sensi unici per fluidificare la circolazione.

Una operazione urbanistica ed un’idea per il dopo scuole medie. Nel mentre abbiamo affrontato l’emergenza della chiusura della Scuola Media, una volta trovate le soluzioni per la collocazione delle classi in altri edifici, abbiamo iniziato anche a ragionare su cosa vogliamo farne di questo edificio non più utilizzabile. La nostra volontà politica è chiara fin da adesso: non vogliamo che resti una “cattedrale nel deserto”. Abbiamo delle idee. Così come le abbiamo avute per la ricollocazione del cantiere comunale che da lì se ne andrà. Abbiamo infatti condiviso la proposta della Giunta e datole mandato di partecipare ad un’asta fallimentare per l’acquisto di un fabbricato in località Fugnano. Vediamo quali saranno gli esiti. Ma se saranno positivi questi consentiranno all’Amministrazione di collocare in un’unica sede tutti i vari magazzini comunali sparsi qua e là nel nostro territorio e avremo un luogo dove poter ricollocare anche alcuni servizi pubblici vicini alla circonvallazione (come, ad esempio, la Polizia Municipale o l’Urp) rivedendo così anche altre previsioni urbanistiche che ipotizzavano questi servizi in località Santa Chiara, quindi con la stessa funzionalità ma con minore consumo di suolo.
Per il futuro della Scuola Media (che andrà demolita) pensiamo anche di cogliere l’occasione della revisione degli strumenti urbanistici prevista dalla legge e che affronteremo già nei prossimi mesi (in particolare la redazione del POC – Piano Operativo Comunale, quello che si chiamava prima RU – Regolamento Urbanistico e l’adeguamento alle normative sopraggiunte del PS – Piano Strutturale). Ebbene, noi pensiamo che sia necessario fin da subito prevedere la destinazione futura del fabbricato. E pensiamo che queste possano essere due: o il mantenimento di una destinazione formativa (se ad esempio, ulteriori indagini sulle nostre scuole richiedessero ancora nuovi spazi, cosa che oggi non possiamo sapere), oppure una destinazione ad usi civici, in coerenza con quanto scritto nel nostro programma di legislatura. San Gimignano ha un tessuto ricchissimo di associazionismo, di impegno civico che noi pensiamo meriti una sua casa. Una “Casa per il nostro senso civico”, dove le nostre associazioni possano trovare una sede e spazi funzionali alle attività sociali, culturali, ricreative, con spazi idonei ed attrezzati, sale polivalenti. Insomma, un luogo per tutti i Sangimignanesi.


Febbraio 2016 - A cura del Gruppo Consiliare Centrosinistra per San Gimignano -