Provo naturale simpatia per
Tsipras. Da un lato perché sinistra è tutto ciò che sta dalla parte di chi meno
ha e meno può. Dall’altra perché il mio primo viaggio è stato proprio in
Grecia, durante il liceo, e la Grecia è il mito. Ma la politica, si sa, come la
realtà, è assai più complessa e diversa dalle opinioni e dai sentimentalismi
personali.
Tspipras ha vinto, anche, avendo promesso di
dimezzare il debito pubblico greco, possibilità che è stata esclusa più volte
dai principali creditori del paese. Questi sono principalmente Fmi, Bce ed i
paesi europei tramite prestiti
bilaterali o tramite i vari fondi creati per sostenere i paesi in difficoltà.
L’Italia, per esempio, è esposta verso Atene per circa 40 mld. In totale i
soldi ricevuti con i vari programmi di aiuto a partire dalla fine della prima
decade del 2000 (fonte: lavoce.info) sono 248 miliardi di euro. Non
spiccioli. E tuttavia di questi solo 15,3 sono serviti a finanziare il
disavanzo primario e 11,7 altre spese del governo. Il resto è stato utilizzato
per il debito pregresso e per ricapitalizzare le banche greche (dopo il 2012 i
creditori privati della Grecia – di fatto le banche – furono costrette a
rinunciare a gran parte del denaro che avevano prestato allo Stato). Quindi
queste risorse sono servite in pratica a pagare i debitori. A questi aiuti si
sono aggiunte le così dette misure di austerità, che vanno dall’impegno a fare
delle riforme strutturali fino all’applicazioni di più stringenti vincoli di
bilancio, con l’obiettivo, se si vuole pure condivisibile, di favorire
trasparenza e dunque un credibile consolidamento fiscale eD
incentivare la crescita (preferisco sempre parlare più di sviluppo).
Dell’origine di questo gigantesco
debito non si parla più. Ed è un male. Spesa pubblica fuori controllo, sistema
pensionistico insostenibile, uno Stato parassitario, corruzione, scarsi
controlli, evasione fiscale. Con la ciliegina che, se i giornali in questi anni
ce l’hanno raccontata giusta, Atene (meglio: i suoi politici) truccavano
letteralmente i bilanci. La festa è finita nel 2009-2010, quando la Grecia si è
trovata in una situazione economica insostenibile. E gli “aiuti” si sono resi
necessari per evitare la bancarotta. Se tutto ciò è vero, lo è altrettanto come
la “cura” sia stata più devastante della “malattia”. Una “cura” drastica: perso
circa un quarto di Pil dal 2011 al 2014, disoccupazione verso il 28% (anche qui
i più colpiti i giovani: oltre il 50% quella giovanile) ed un debito pubblico
pari al 175% del PIL (l’Italia è al 130%). L’operazione sarà anche
perfettamente riuscita ma, come si dice, il paziente è morto.
Ora: fa bene Tspipras a chiedere
due cose, fa un po’ meno bene, a mio avviso, a non accettarne una terza. La
prima; è una rinegoziazione del debito, gigantesco e insostenibile pari almeno quanto l’idea che lo si possa
restituire. L’Europa esca dall’ipocrisia. Un debito così alto si ripaga solo
con avanzi primari significativi (quelli di Prodi, per intenderci, ma che non
capiva nessuno perché sono la cosa più incomunicabile che ci sia. In pratica le
entrate meno le spese, tolti gli interessi) per un consistente periodo di
tempo. Che vuol dire significativi? Avanzi elevati (a botte di punti
percentuali/anno) e per prolungati periodi di tempo (anni, molti). Praticamente
impossibile.
La seconda: fa bene a chiedere una fine dell’austerità, cioè il
rispetto delle regole ma la possibilità di dilazionare e/o sforare
temporaneamente. Atene non vuole trattare con la “troika”, preferendo il
contatto con i singoli paesi creditori, negoziando i suoi debiti: ti pago ma a
tassi di interesse più bassi ed in più tempo. Penso che sia arrivato il tempo
della politica e che l’Europa, tra rigore e politica, per una volta scegliesse
la politica. Come penso che serva un accordo politico, una conferenza sul debito su alcuni aspetti: o riduzione negli interessi o ‘condono’ del debito o allungamento dei tempi
o, infine, condizionare il tutto alla crescita economica interna. Non “morire di rigore”
significa questo per me. Altre strade non ne vedo. Altrimenti qualcuno ce le spieghi.
La terza: fa un po’ meno bene a rigettare gli impegni chiesti da finanziatori
(il così detto memorandum) sulla
strada delle riforme, della trasparenza. La Grecia vive un dramma sociale
immenso (siamo al punto che in molti casi, oltre a non avere soldi per
comprarsi da mangiare, gli ospedali non ti accolgono più e le medicine se hai
soldi te le paghi o se no ti arrangi…) e non c’è dubbio che stringere ancora di
più la cinghia aggiungerebbe solo dramma al dramma. Ma Atene dal 2010 a qui ha già fatto
molto delle riforme chieste dai soggetti finanziatori, perché fermarsi adesso tornando
solo a spendere, magari per riassumere personale statale di cui non c’è bisogno
(mentre più sensata è l’idea di un salario minimo per dare ossigeno ai greci in
difficoltà, anche se qui torniamo al principio: o si avverano le prime due
richieste di cui sopra o la vedo dura). Il programma nazionale ellenico di
riforme 2011-2014 porta con sé molte riforme già attuate da Atene (seppure con
storture per carità: penso alle privatizzazioni). Rigettare un suo
completamento tout court serve solo
ad irritare le controparti e spaventare quei paesi europei che tra breve andranno al
voto. A differenza di una certa parte del variegato mondo della sinistra
italiana, Tsipras ha dimostrato di essere dotato
di maggiore pragmatismo e cinismo (si fanno i conti con quello che vuol dire
“stare al governo” e se necessario mi alleo anche con i conservatori di destra
dei greci Indipendenti), non mi pare sia arrivato il momento di fermarsi ora
che un compromesso politico sembra affacciarsi. Ne avrà benificio la Grecia e la stessa Europa.
PS non richiesto: in Italia i vari Ferrero (ancora lui) vivono e lottano
insieme a noi; capi e capetti coltivano ancora allegramente i loro orticelli;
si sente dire che bisogna ripartire dal sociale (ma il sociale senza una
politica che significa?); come al solito non si sentono ragionamenti su come
finanziare il tutto, mentre resta eluso il tema di fondo che, secondo me, è
invece la lezione principale della vicenda Tsipras (anche se eletto da poco più
di un terzo dei greci, e con un’astensione che sfiora il 40%): fare “i conti
col governo”, cosa voglia dire volerci andare e poi provare a restarci. A mio
avviso è ancora l’ostacolo principale per larga parte della sinistra italiana,
nella sua eterogeneità. E so bene qual è l’obiezione: meglio puri che corrotti
al governo, tanto per andare all’osso. Per carità, tutto vero. E ci sarà sempre
uno più a sinistra di te. Ma la differenza resta, anche solo tra il porsi il
tema di diventare (voler essere) partito di governo e non pensarci nemmeno. Non del governo, che è un
altra cosa (vedi Ncd). E che, per inciso, visto che sono abituato a guardare
soprattutto in casa mia, sarà bene che non lo diventi neppure il Pd.
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