In questi giorni se ne sentono di tutte i colori sul PD. Alcune
cose con fondatezza, altre emerite bischerate. C’è un punto di fondo, però, che
al di fuori della contingenza politica deve essere chiarito e poi riaffermato
con forza: cosa vogliamo che sia il PD? Il processo è, a mio modesto parere,
ancora incompiuto. E occorre aprire una discussione franca, mai fatta né con Bersani,
né adesso con Renzi, mentre vedo che intende aprirla il PD toscano, su cosa
deve essere il PD.
Chiarire una volta per tutte se il PD vuol essere come
l'isola che non c'è o il luogo della partecipazione e della rappresentanza
delle domande sociali, della promozione dei valori e della formazione (prima) e
della selezione (poi) della classe politica. E da quale angolatura vuole farlo, da sinistra, e per quale prospettiva intende farlo, quella di centrosinistra. Insomma: un partito, come scritto
nel nome, e non un suo lontano parente.
Personalmente lavoro per la seconda ipotesi e per non far prevalere il democristianume di ritorno ed anche chi ci
vorrebbe rinchiudere nei recinti, tornando a rassicuranti micro partiti, per
quanto auto-definitisi di sinistra. E sarebbe anche l'ora che dai 'mitici' territori
si alzasse una voce in tal senso. Un 'temino' che ho provato a sollevare anche
alla scorsa assemblea provinciale, naturalmente da riprendere in mano, dato che
l’attenzione era rivolta ad altro… Anche per questo non me ne vado e non ho
nessuna intenzione di lasciare il campo a questa prospettiva. Nè tantomeno il partito che ho fondato per creare finalmente quella sinistra di governo mai avuta in Italia. Libero di criticare, di condividere e di dissentire, ma fermo su questa impostazione e questa prospettiva. Non ho bisogno di
cercare altro o militare altrove per sentirmi di sinistra. Vengo da quella
storia lì. In quella mi sono formato. Ho sempre diffidato invece di chi dà
patenti di sinistra, autodefinendosi tale o attribuendola o togliendola ad
altri. Anche per questo non condivido, lo dico subito, anche se le comprendo,
le uscite dal PD. Il Pd non finiva con Bersani e non finirà con Renzi. Al tempo
stesso riconosco che il Segretario, che per definizione ha il compito di trovare
sintesi e ricercare unità, sia per nulla avvezzo a questo compito. Ma lo stesso
Renzi, con la sua faccia un po’ di bronzo, ha dimostrato che si può perdere una
volta e avere il consenso necessario la volta dopo. L’importante è che la casa
comune (il termine ‘ditta’ per un partito mi ha sempre fatto schifo) abbia
fondamenta solide e un’architettura ben definita. E qui viene il bello.
Su quest’ultimo punto il
lavoro da fare è ancora tantissimo. In questo ragionamento allora, che
ci vuole essere e definirci partito, per me, va detto subito con forza che non
vogliamo e non possiamo essere il partito della nazione! E’ l’ora di finirla con
questa storia. Sarebbe la negazione del PD pensato al Lingotto.
Se
così è, io credo che sia necessario riaffermare alcuni principi e alcune cose, queste sì
fondative del nostro partito. Perché va bene il governo locale, il governo
regionale e nazionale, ma questo non può e non deve significare un
appiattimento alla pragmaticità e alla politica quotidiana, rinunciando a
definire un profilo culturale, sociale, organizzativo del partito. Alrrimenti non saremo utili alla società che vogliamo costruire.
Dunque: cosa deve essere il PD?
Per chi come noi è stato
protagonista della nascita del Partito Democratico, a San Gimignano come in
Toscana, non si può non partire da qui. E dal chiarire cosa vogliamo “essere da
grandi”. Crediamo che debba essere ribadito con forza che non vogliamo essere
un movimento, un comitato elettorale, ma un grande partito, fatto di uomini e
di donne, giovani, militanti, iscritti e simpatizzanti, che si organizza con
strutture il più possibile aperte alla società, in grado di coinvolgere professionalità, competenze, impegni e merito. Insomma, come scrivemmo anche
nella “Carta di San Gimignano per il PD”nell’ormai lontano 2007, un partito
vero, radicato, diffuso sul territorio e federato, con regole di adesione
rigorose, un codeice ettico da rispettare (se lo ricordano ancora a Roma? Noi si!), in grado di utilizzare le nuove opportunità offerte dal web e della tencolgia (per coinvolgere gli iscritti), in grado di autofinanziarsi in modo
trasparente. Un partito non in mezzo al nulla ma parte integrante del
socialismo europeo.
Per andare dove?
Il PD non può
andare nella direzione di un soggetto che, piano piano, inglobando da una parte
ed escludendo dall’altra, si sostituisce al centro mettendo ai margini la
storia del miglior riformismo socialista-comunista e cattolico-democratico. Non
serve un partito di centro, semmai un partito che parli anche al centro (la
vocazione maggioritaria era anche questo). Non serve aggregare parti del
centrodestra, con la scusa del governo delle larghe intese, mettendo all’angolo
la storia della sinistra italiana e
rinunciando a quello che fu il PD disegnato al Lingotto: cioè quel
soggetto politico che aggrega, organizza ed unisce le forze progressiste nel
nostro Paese. Del resto questa era l’idea originaria dell’Ulivo: non solo una
forza parlamentare (dagli esiti peraltro infelici come abbiamo poi visto…) ma
la necessità di mettere insieme in un unico e grande partito il meglio delle
forze riformiste e progressiste presenti in Italia (E qui l’elenco si fa lungo:
il riformismo della sinistra, il pensiero cattolico democratico, il
progressismo laico, l’ambientalismo moderno, il socialismo).
Per fare cosa?
Per innovare la politica (il PD
ha già contribuito più di altri alla semplificazione del sistema dei partiti,
per questo, anche qui pur comprendendo, non condivido il proliferare in questi
giorni di nuove micro-formazioni alla sinistra del Pd) e per un rapporto
nuovo con i cittadini (ma se non prendiamo a cuore la selezione della nostra classe dirigente in alcuni passaggi fondamentali - grandi città, regionali - questo rapporto si comprometterà per l'insipienza di pochi bischeri). Un partito che torni ad unire ed includere. Per essere
protagonista non solo della riforma del sistema politico italiano ma anche di
quello istituzionale, definendo davvero una nuova stagione della democrazia italiana e
contribuendo attivamente alla modernizzazione dell’Italia, a tutti i livelli. E
senza dubbio il Governo Renzi e lo stesso Renzi Segretario ci pongono di
fronte a questo compito, che ci piaccia o meno. Ciò che secondo me ancora manca
è un livello di condivisione, di confronto, di creazione di consenso, anche dal
basso, attorno al processo riformatore in corso che, unito ad una certa
rozzezza nel trattare con gli altri corpi intermedi, spesso lascia disorientato
il nostro popolo. Da questo punto di vista la distinzione tra la figura del
Premier e quella del Segretario può riuscire in parte a recuperare questo
divario, oltre a rendere, forse, più autonomo il partito dal Governo, le sue
logiche, le sue tempistiche. Fin dalla costituzione del PD questo aspetto mi ha
poco convinto (il Pd toscano ha su questo punto un’idea diametralmente opposta.
Sarebbe bene che su questo punto fossero gli iscritti a pronunciarsi, come su
altre questioni di fondo).
Soprattutto serve un PD che
prenda atto che questa austerità ha fallito così come la
finanza che si sostituisce al lavoro, e che per questo torni alla centralità
del lavoro e degli investimenti pubblici, dell’economia reale e, dico con forza,
ambientalmente sostenibile, rispetto al governo della finanza mondiale; un PD che
si concentri sulla progettazione di nuovi modelli di sviluppo basati sulla
piena coscienza della questione energetico-ambientale; un PD che faccia sentire
la propria voce in Europa tramite il PSE (e nel PSE siamo la principale forza
dall’anno scorso) anche sulla crisi che il processo di unificazione europea sta
vivendo e che pone una questione democratica decisiva per il futuro
della UE. Oltre a determinare risposte incerte e divergenti sul piano delle politiche
dell’immigrazione e della sicurezza stessa dell’Europa.
Per me è difficile dire e sentire
l’attuale Governo davvero come il “nostro” Governo. Quello che è l’obiettivo “numero
1” del PD
è ancora lontano da venire: trionfare nelle urne, con un popolo, un leader e
soprattutto un disegno per l’Italia e per l’Europa aprendo cicli progressisti
come invece altrove sono già riusciti a fare: Inghilterra (Blair), Germania
(Schroeder), Spagna (Zapatero) e negli Stati Uniti (Obama). Oppure, davvero,
siamo in campo per fare della Sinistra soltanto una deontologia civica di
onestà, rispetto dell’ambiente, del pagare le tasse e/o gestire bene un
servizio comunale?
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