La vicenda dei due ragazzi romani che ammazzano, strafatti,
un altro ragazzo per “vedere l’effetto che fa” mi ha lasciato senza parole. Una
vicenda che definire agghiacciante è forse troppo poco.
Ho riletto almeno tre volte il racconto trapelato dai verbali dell'interrogatorio.
E tutte le volte duravo fatica a crede a quel che leggevo. Con quel senso di vomito che ti prende quando hai a che fare con cose disumane, ingiuste, violente.
Ho provato rabbia e disperazione, angoscia. Come si fa? Del resto, più o meno, è quasi la mia generazione.
Forse una spiegazione di quel che è successo, ammesso che
mai ci sia una spiegazione per una violenza di questa natura, sta proprio nell’ 'ospite
inquietante' che è dentro questi ragazzi. E che non pago di essere ospite, sente
anche il bisogno di “vedere l’effetto che fa”. Quest’ospite è per l’appunto il nichilismo: cioè la
negazione di ogni valore.
Galimberti spiega nel suo libro questa fenomeno con il fatto
che viviamo nel mondo della tecnica. E come la tecnica non tenda a uno scopo,
non produca senso e non sveli alcuna verità ma, in una parola, 'funzioni' e basta.
Proprio a causa di questo nichilismo si annientano i concetti di identità, di libertà,
di senso e quelli di natura, di etica, di politica, di religione, di storia di
cui, dice Galimberti, si è nutrita l’età pre-tecnologica.
E le nuove generazioni son quelle che scontano più delle
altre questa dimensione. Sono i giovani quelli contagiati da una sempre più
profonda insicurezza, condannati a una deriva dell’esistere che coincide con il
loro assistere allo scorrere della vita in terza persona. Da cui, conclude
Galimberti, derivano anche i ‟riti della crudeltà” o della
violenza.
Io non lo so se questa può essere una spiegazione. Certo è
un’analisi molto convincente. Come credo che ci sia pure dell’altro: l’ansia
dell’apparire (anche questa derivato della tecnica?) ancor prima dell’essere: “Sei
perché appari” non , viceversa, “appari perche sei”. Che, se ci pensiamo, è
una differenza non da poco.
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