Ieri due notizie a dir poco contrastanti: “assunta al 9°
mese di gravidanza” e “si uccide a 30 anni, precario, di una generazione
perduta”.
Sulla prima, solo due considerazioni: stupisce che faccia
notizia, perché in un paese moderno non dovrebbe esserlo; servono uomini
(imprenditori e non) così.
Sulla seconda, fa notizia eccome. Come deve fare notizia il
livello italiano di disoccupazione giovanile. Perché se già non è accettabile di
morire sul lavoro, non vorrei che cominciassimo ad “abituarci” alle morti per
assenza di lavoro, valore fondamentale della nostra Costituzione.
Ne scrivo malvolentieri, perché dio solo sa il travaglio
interiore che deve essere passato dentro a questo nostro coetaneo. E però la
sua lettera ci dice del dramma di generazioni che si scoprono come derubate del
proprio futuro, e di come, alla fine, venga meno quello che di solito è ciò che
non dovrebbe mai mancare in un giovane: la voglia di fare, di lottare. Di
reagire. Perché anche questi ormai sono vissuti come valori inutili, non
appaganti. Dunque il conflitto generazionale è come disattivato. Manca la
spinta al rinnovamento e la società rimane rigida, poco reattiva davanti alle
grandi sfide. A tutto ciò segue la poca mobilità sociale.
Da sempre sono i giovani la parte più dinamica di una
società: sono loro a rinnovare le tradizioni, sono loro a superarle, sono loro
a sperimentare, sono loro a proporre con forza idee e visioni nuove della
realtà. Oggi tutto questo, in Italia, non avviene più, o solo in pochissimi casi.
E poi in Italia, si sa, oggi i giovani sono pochi e hanno poca voce, poco peso, anche politico. Non
è un caso che la politica si interessi poco di loro. Ma se non vogliamo
rischiare del tutto quello è stato definito un salto di generazione, le
politiche giovani-lavoro, giovani-formazione, giovani-saperi devono tornare ad
essere l’assillo principale di qualsiasi governo, facendo i conti col mercato
del lavoro che cambia e con le nuove tecnologie che modificano profondamente la
disponibilità di lavori e la tipologia stessa dei lavori.
Non servono nè le paternali, nè le frasi di disprezzo di alcuni esponenti politici. Serve la Politica.
“Non possono più restare senza risposta le grandi domande
dei giovani i quali, per la prima volta
dal dopoguerra, non hanno fiducia nel futuro e temono un
destino di precarietà e insicurezza permanenti.
È tempo di abbattere gli ostacoli che vengono da una società
chiusa, soffocata dai corporativismi, e che difende l’esistente e le rendite di
posizione.
Ridare voce ai giovani è essenziale perché sono loro a porre
quella domanda di valorizzazione dei talenti e delle energie e di
liberalizzazione della società che è ormai ineludibile”.