Voglio ricordare prima di tutto il compagno partigiano delle Brigate
Garibaldi, esponente di quella straordinaria generazione che si avvicinò
alla politica passando dall'esperienza della Resistenza.
Mi hanno sempre colpito di Alfredo Reichlin due aspetti.
Il primo: la sua modernità. Lontano anni luce dalle faziosità e dalle
tifoserie che caratterizzano oggi giorno le appartenenze politiche,
capace di analisi profonde come era nella scuola del PCI. Era, a mio
avviso, costantemente in grado di
guardare più in là della fase contingente, non limitandosi alla critica
fine a se stessa ma accompagnandola sempre ad una proposta politica e
programmatica. Ricordo, negli anni in cui iniziavo ad occuparmi di
politica, i suoi scritti dallo sguardo innovativo, spesso con Giorgio
Ruffolo, sul ruolo della sinistra nel mondo avviato alla
globalizzazione. A dispetto della sua età una mente aperta, libera,
sempre autocritica e al tempo stesso propositiva. In confronto a tanti
replicanti di oggi, modernissimo.
Il secondo: l'umiltà. L'umiltà
dell'uomo di sinistra, che non smania per la carriera, che sa stare al
suo posto, che sa che c'è una fase da vivere in prima persona ed una
fase da guardare in seconda fila. Tutto ciò senza mai rinunciare al
proprio contributo culturale, politico e programmatico. Un gigante
rispetto al carrierismo odierno.
Infine, su tutto, i valori saldi, di una sinistra autenticamernte riformista.
Ricordo del sospiro di sollievo che tirai, nel 2007, quando Reichlin fu
indicato presidente della commissione che avrebbe scritto il Manifesto
dei Valori del Partito Democratico. Ci sentivamo in buone mani, e fu
così.
Un Partito a cui, non poteva essere diversamente per la sua figura, non ha mai risparmiato critiche e suggerimenti gratuiti.
Ecco: oggi non riproporrò il suo ultimo articolo ("Non lasciamo la
sinistra sotto le macerie"), ma lo saluto con l'invito a rileggere quel
Manifesto dei Valori del Partito Democratico. E ad esserne conseguenti.
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