Due terzi dei libri che ho letto in questi anni, soprattutto
saggistica, dicono la stessa cosa: questo sarà il secolo dell’acqua, dell’energia
– dunque del clima -, della fame, della migrazione. C’è dunque di che
preoccuparsi. Ma c’è anche di che vergognarsi di fronte ai flussi
migratori di questi giorni, mentre dovremmo cominciare a dire di questi anni. Che
investono soprattutto le nostre coste, ma che investono il cuore dell'Unione Europea.
Mi domando, sinceramente, cosa posso fare. Altrettanto onestamente la
risposta è desolante: poco. Soprattutto come singoli. La sensazione che ha il
sopravvento è sempre quella: impotenza. Come di una società dell’impotenza. Che è
quella che viviamo. Non ne faccio né una questione di destra o di sinistra né una
questione di buonismo o di celodurismo. La risposta è sempre quella: ben poco.
Poi penso che, invece, almeno una cosa si possa e si debba
fare: sforzarci almeno di restare umani.
Non partecipare al banchetto dell’invettiva sui social network,
dell’insulto più o meno razzista, delle soluzioni da ‘quattro soldi’, dell'apertura di bocca a vanvera (es: si parla di blocchi navali, di accordi con il
governo libico dimenticando il piccolo particolare che il governo lì non
controlla il Paese e che, non a caso, c’è un mediatore che sta tentando con le
varie parti in causa di metterlo su un governo..).
Restare umani significa domandarsi perché questo avviene, cosa spinge
queste persone a mettersi in mare aperto. Significa anche ribadire che prima viene un dovere di
salvare chi è in mare, poi domandarsi da dove viene e dove vuole andare. Significa
non confondere la giusta guerra agli scafisti-schiavisti con la guerra ai
naufraghi. Significa non ricadere nel circolo pericoloso delle guerre occidentali esportatrici di democrazia (per inciso: la Libia l'abbiamo bombardata nel 2011 e anche questi sono i risultati).
Poi c’è quello che dovremmo fare tutti insieme. Condivido
moltissimo quanto scritto da Bill Emmott oggi su La Stampa. Non viviamo solo la società dell’impotenza, viviamo anche l’impotenza
dell'Unione.
Confesso: sono uno di quelli cresciuti col ‘mito’ dell’Europa unita,
del sogno europeo. Tanto che in diritto comunitario mi ci sono laureato. Ma non
da oggi, di fronte al dramma dell’immigrazione ed all’incapacità di azioni
comuni, all’inconsistenza di una politica europea comune, il ‘mito’ vacilla e
non poco.
Mentre gran parte della risposta, invece, passa ancora da e risiede ancora lì: nell’Unione
Europea. In una sua politica. In un continente che si è messo insieme dopo due
guerre in cui ha trascinato per due volte il mondo intero, unendosi sui valori della pace, del riconoscimento dei diritti dell’uomo, del rispetto reciproco e sull’abbattimento
delle disuguaglianze. Una rifondazione dell’occidente ed una rinnovata civiltà.
Oggi s’è persa questa bussola e stiamo ancora cercandola. Al di là dei
quattrini che tutto questo ci costerà, delle azioni che ne seguiranno, sento
che l’urgenza nell’urgenza è di ricostruire questa coscienza: una coscienza europea, comune. Da soli
siamo niente. Se ogni Stato continuerà a fare da sé di fronte ai mutamenti del
secolo, avranno sempre la meglio i Salvini di turno in tutta Europa. E non governeremo proprio un bel nulla.
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