giovedì 9 febbraio 2017

GIOVANI: L’ANOMALIA ITALIANA



Ieri due notizie a dir poco contrastanti: “assunta al 9° mese di gravidanza” e “si uccide a 30 anni, precario, di una generazione perduta”.
Sulla prima, solo due considerazioni: stupisce che faccia notizia, perché in un paese moderno non dovrebbe esserlo; servono uomini (imprenditori e non) così.
Sulla seconda, fa notizia eccome. Come deve fare notizia il livello italiano di disoccupazione giovanile. Perché se già non è accettabile di morire sul lavoro, non vorrei che cominciassimo ad “abituarci” alle morti per assenza di lavoro, valore fondamentale della nostra Costituzione.

Ne scrivo malvolentieri, perché dio solo sa il travaglio interiore che deve essere passato dentro a questo nostro coetaneo. E però la sua lettera ci dice del dramma di generazioni che si scoprono come derubate del proprio futuro, e di come, alla fine, venga meno quello che di solito è ciò che non dovrebbe mai mancare in un giovane: la voglia di fare, di lottare. Di reagire. Perché anche questi ormai sono vissuti come valori inutili, non appaganti. Dunque il conflitto generazionale è come disattivato. Manca la spinta al rinnovamento e la società rimane rigida, poco reattiva davanti alle grandi sfide. A tutto ciò segue la poca mobilità sociale.

Da sempre sono i giovani la parte più dinamica di una società: sono loro a rinnovare le tradizioni, sono loro a superarle, sono loro a sperimentare, sono loro a proporre con forza idee e visioni nuove della realtà. Oggi tutto questo, in Italia, non avviene più, o solo in pochissimi casi.

E poi in Italia, si sa, oggi i giovani sono pochi  e hanno poca voce, poco peso, anche politico. Non è un caso che la politica si interessi poco di loro. Ma se non vogliamo rischiare del tutto quello è stato definito un salto di generazione, le politiche giovani-lavoro, giovani-formazione, giovani-saperi devono tornare ad essere l’assillo principale di qualsiasi governo, facendo i conti col mercato del lavoro che cambia e con le nuove tecnologie che modificano profondamente la disponibilità di lavori e la tipologia stessa dei lavori.

Non servono nè le paternali, nè le frasi di disprezzo di alcuni esponenti politici. Serve la Politica.


“Non possono più restare senza risposta le grandi domande dei giovani i quali, per la prima volta
dal dopoguerra, non hanno fiducia nel futuro e temono un destino di precarietà e insicurezza permanenti.
È tempo di abbattere gli ostacoli che vengono da una società chiusa, soffocata dai corporativismi, e che difende l’esistente e le rendite di posizione.
Ridare voce ai giovani è essenziale perché sono loro a porre quella domanda di valorizzazione dei talenti e delle energie e di liberalizzazione della società che è ormai ineludibile”.

martedì 7 febbraio 2017

UNA STRATEGIA ENERGETICO-CLIMATICA PER L’ITALIA



Pubblicato anche per l'Italia il Riesame dell'attuazione delle politiche ambientali dell'UE.
Si fa un gran parlare delle possibili procedure di infrazione per lo sforamento dei parametri economici stabiliti per la UE, ma si dimenticano troppo spesso le procedure di infrazione già aperte, e quelle che verranno sicuramente, in materia ambientale.

Le principali sfide in relazione all'attuazione in Italia delle politiche e della normativa ambientali dell'UE restano, ancora:
- migliorare la gestione dei rifiuti e le infrastrutture idriche, così come il trattamento delle acque reflue, che rappresentano delle preoccupazioni persistenti, in particolare, nel Sud Italia;
- migliorare la gestione dell'utilizzazione del suolo, delle alluvioni e dell'inquinamento atmosferico nelle regioni centrali e settentrionali (lo smog killer di queste settimane è a lì a ricordarcelo un filino).

Qui il rapporto: http://ec.europa.eu/environment/eir/pdf/report_it_it.pdf

Proprio venerdì scorso ho partecipato alla assemblea provinciale degli Ecologisti Democratici, associazione di persone fuori e dentro il PD che si batte perché le politiche ambientali diventino il comune denominatore delle scelte pubbliche. Soprattutto a e da sinistra. 
Stando al mio campo continuo a pensare che, nonostante fosse uno dei pilastri su cui abbiamo costruito il PD, questa scelta politico-culturale sia ancora ben lontana dal potersi ritenere acquisita.

Nel giugno del 2013 la nostra associazione pubblicò il manifesto: “Il futuro dell’Italia ha un cuore verde”. Sottotitolo: "Un new deal ecologico per uscire dalla crisi". 

Ebbene, da allora ci sono stati dei singoli provvedimenti, di alcuni abbiamo discusso anche alla Festa Ecodem a San Gimignano nel 2015 (reati ambientali, agenzie ambientali, spreco alimentare, collegato ambientale alla finanziaria 2016, etc...).


Ma continua a mancare la cornice strategica in cui tutte queste singole azioni si inquadrano. 
Serve politicamente di rendere esplicita, traducendola nero su bianco, quella scelta di fondo di fare della green economy e dell’economia circolare la cornice in cui incardinare tutte le politiche pubbliche. 
Il così detto “Green Act” poteva e doveva essere questa occasione. Ma si è perso tra un “ciaone” post referendum trivelle e lo sblocca Italia. Tristezzza.

A quelli che continuano a dire che un congresso del PD non serve, così come non servirebbe una conferenza programmatica, cioè confrontarsi sul programma – appunto – delle cose da fare, soprattutto alla luce di tutto ciò che è successo in questi tre anni di larghe intese, dico che è vero esattamente il contrario: servirebbe, eccome, anche in virtù dell’affanno in cui si è cacciato il nostro partito. 
Ho il leggerissimo sospetto che iscritti, simpatizzanti e semplici cittadini siano decisamente più interessati a parlare delle cose da fare e del come farle, che riproporre le coalizioni inconcludenti o le scissioni che inevitabilme il sistema proporzionale rimette in moto.

Il Partito Democratico non è nato solo per unire forze politiche e tradizioni progressiste che vengono del ‘900. E’ nato per dare voce e forza al riformismo del 21° secolo. Ma non c’è riformismo possibile, oggi più di quanto dicevamo allora, se non mette al centro le sfide dell’ambiente, della sostenibilità dello sviluppo, della conversione ecologica dell’economia. Che è poi anche una formifabile occasione di creazione di posti di lavoro e di produzione di reddito.

E’ per queste scelte di campo che vale la pena ancora battersi e contribuire, finalmente, a determinare un profilo politico-identitario del PD più marcato di quanto fatto in questi tre anni, anche in materia di strategia energetica e climatica nazionale. Non ci sono alternative.

Ce lo ricorda e ce lo chiede di recente anche il Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica), associazione che raccoglie veriea associazioni attive in tali settori, oltre a vari Enti e Associazioni. E lo fa con un approccio "bottom-up", giustamente e finalmente, con una strategia dal basso verso l'alto, per coinvolgere cittadini ed istituzioni in un percorso di crescita sulla necessità di affrontare con decisione la crisi energetico-ambientale ed anche per far maturare la consapevolezza della necessità di assumersi, a tutti i livelli, responsabilità condivise. 
E' possbile, è stato fatto in altri paesi europei. E' l'ora di farlo sul serio anche da noi.