martedì 10 novembre 2015

Serve il PD non il partito della nazione



In questi giorni se ne sentono di tutte i colori sul PD. Alcune cose con fondatezza, altre emerite bischerate. C’è un punto di fondo, però, che al di fuori della contingenza politica deve essere chiarito e poi riaffermato con forza: cosa vogliamo che sia il PD? Il processo è, a mio modesto parere, ancora incompiuto. E occorre aprire una discussione franca, mai fatta né con Bersani, né adesso con Renzi, mentre vedo che intende aprirla il PD toscano, su cosa deve essere il PD.

Chiarire una volta per tutte se il PD vuol essere come l'isola che non c'è o il luogo della partecipazione e della rappresentanza delle domande sociali, della promozione dei valori e della formazione (prima) e della selezione (poi) della classe politica. E da quale angolatura vuole farlo, da sinistra, e per quale prospettiva intende farlo, quella di centrosinistra. Insomma: un partito, come scritto nel nome, e non un suo lontano parente.

Personalmente lavoro per la seconda ipotesi e per non far prevalere il democristianume di ritorno ed anche chi ci vorrebbe rinchiudere nei recinti, tornando a rassicuranti micro partiti, per quanto auto-definitisi di sinistra. E sarebbe anche l'ora che dai 'mitici' territori si alzasse una voce in tal senso. Un 'temino' che ho provato a sollevare anche alla scorsa assemblea provinciale, naturalmente da riprendere in mano, dato che l’attenzione era rivolta ad altro… Anche per questo non me ne vado e non ho nessuna intenzione di lasciare il campo a questa prospettiva. Nè tantomeno il partito che ho fondato per creare finalmente quella sinistra di governo mai avuta in Italia. Libero di criticare, di condividere e di dissentire, ma fermo su questa impostazione e questa prospettiva. Non ho bisogno di cercare altro o militare altrove per sentirmi di sinistra. Vengo da quella storia lì. In quella mi sono formato. Ho sempre diffidato invece di chi dà patenti di sinistra, autodefinendosi tale o attribuendola o togliendola ad altri. Anche per questo non condivido, lo dico subito, anche se le comprendo, le uscite dal PD. Il Pd non finiva con Bersani e non finirà con Renzi. Al tempo stesso riconosco che il Segretario, che per definizione ha il compito di trovare sintesi e ricercare unità, sia per nulla avvezzo a questo compito. Ma lo stesso Renzi, con la sua faccia un po’ di bronzo, ha dimostrato che si può perdere una volta e avere il consenso necessario la volta dopo. L’importante è che la casa comune (il termine ‘ditta’ per un partito mi ha sempre fatto schifo) abbia fondamenta solide e un’architettura ben definita. E qui viene il bello.

Su quest’ultimo punto il lavoro da fare è ancora tantissimo. In questo ragionamento allora, che ci vuole essere e definirci partito, per me, va detto subito con forza che non vogliamo e non possiamo essere il partito della nazione! E’ l’ora di finirla con questa storia. Sarebbe la negazione del PD pensato al Lingotto.
Se così è, io credo che sia necessario riaffermare alcuni principi e alcune cose, queste sì fondative del nostro partito. Perché va bene il governo locale, il governo regionale e nazionale, ma questo non può e non deve significare un appiattimento alla pragmaticità e alla politica quotidiana, rinunciando a definire un profilo culturale, sociale, organizzativo del partito. Alrrimenti non saremo utili alla società che vogliamo costruire.

Dunque: cosa deve essere il PD?
Per chi come noi è stato protagonista della nascita del Partito Democratico, a San Gimignano come in Toscana, non si può non partire da qui. E dal chiarire cosa vogliamo “essere da grandi”. Crediamo che debba essere ribadito con forza che non vogliamo essere un movimento, un comitato elettorale, ma un grande partito, fatto di uomini e di donne, giovani, militanti, iscritti e simpatizzanti, che si organizza con strutture il più possibile aperte alla società, in grado di coinvolgere professionalità, competenze, impegni e merito. Insomma, come scrivemmo anche nella “Carta di San Gimignano per il PD”nell’ormai lontano 2007, un partito vero, radicato, diffuso sul territorio e federato, con regole di adesione rigorose, un codeice ettico da rispettare (se lo ricordano ancora a Roma? Noi si!), in grado di utilizzare le nuove opportunità offerte dal web e della tencolgia (per coinvolgere gli iscritti), in grado di autofinanziarsi in modo trasparente. Un partito non in mezzo al nulla ma parte integrante del socialismo europeo.

Per andare dove?
Il PD non può andare nella direzione di un soggetto che, piano piano, inglobando da una parte ed escludendo dall’altra, si sostituisce al centro mettendo ai margini la storia del miglior riformismo socialista-comunista e cattolico-democratico. Non serve un partito di centro, semmai un partito che parli anche al centro (la vocazione maggioritaria era anche questo). Non serve aggregare parti del centrodestra, con la scusa del governo delle larghe intese, mettendo all’angolo la storia della sinistra italiana e  rinunciando a quello che fu il PD disegnato al Lingotto: cioè quel soggetto politico che aggrega, organizza ed unisce le forze progressiste nel nostro Paese. Del resto questa era l’idea originaria dell’Ulivo: non solo una forza parlamentare (dagli esiti peraltro infelici come abbiamo poi visto…) ma la necessità di mettere insieme in un unico e grande partito il meglio delle forze riformiste e progressiste presenti in Italia (E qui l’elenco si fa lungo: il riformismo della sinistra, il pensiero cattolico democratico, il progressismo laico, l’ambientalismo moderno, il socialismo).

Per fare cosa?
Per innovare la politica (il PD ha già contribuito più di altri alla semplificazione del sistema dei partiti, per questo, anche qui pur comprendendo, non condivido il proliferare in questi giorni di nuove micro-formazioni alla sinistra del Pd) e per un rapporto nuovo con i cittadini (ma se non prendiamo a cuore la selezione della nostra classe dirigente in alcuni passaggi fondamentali - grandi città, regionali - questo rapporto si comprometterà per l'insipienza di pochi bischeri). Un partito che torni ad unire ed includere. Per essere protagonista non solo della riforma del sistema politico italiano ma anche di quello istituzionale, definendo davvero una  nuova stagione della democrazia italiana e contribuendo attivamente alla modernizzazione dell’Italia, a tutti i livelli. E senza dubbio il Governo Renzi e lo stesso Renzi Segretario ci pongono di fronte a questo compito, che ci piaccia o meno. Ciò che secondo me ancora manca è un livello di condivisione, di confronto, di creazione di consenso, anche dal basso, attorno al processo riformatore in corso che, unito ad una certa rozzezza nel trattare con gli altri corpi intermedi, spesso lascia disorientato il nostro popolo. Da questo punto di vista la distinzione tra la figura del Premier e quella del Segretario può riuscire in parte a recuperare questo divario, oltre a rendere, forse, più autonomo il partito dal Governo, le sue logiche, le sue tempistiche. Fin dalla costituzione del PD questo aspetto mi ha poco convinto (il Pd toscano ha su questo punto un’idea diametralmente opposta. Sarebbe bene che su questo punto fossero gli iscritti a pronunciarsi, come su altre questioni di fondo).
Soprattutto serve un PD che prenda atto che questa austerità ha fallito così come la finanza che si sostituisce al lavoro, e che per questo torni alla centralità del lavoro e degli investimenti pubblici, dell’economia reale e, dico con forza, ambientalmente sostenibile, rispetto al governo della finanza mondiale; un PD che si concentri sulla progettazione di nuovi modelli di sviluppo basati sulla piena coscienza della questione energetico-ambientale; un PD che faccia sentire la propria voce in Europa tramite il PSE (e nel PSE siamo la principale forza dall’anno scorso) anche sulla crisi che il processo di unificazione europea sta vivendo e che pone una questione democratica decisiva per il futuro della UE. Oltre a determinare risposte incerte e divergenti sul piano delle politiche dell’immigrazione e della sicurezza stessa dell’Europa.

Per me è difficile dire e sentire l’attuale Governo davvero come il “nostro” Governo. Quello che è l’obiettivo “numero 1” del PD è ancora lontano da venire: trionfare nelle urne, con un popolo, un leader e soprattutto un disegno per l’Italia e per l’Europa aprendo cicli progressisti come invece altrove sono già riusciti a fare: Inghilterra (Blair), Germania (Schroeder), Spagna (Zapatero) e negli Stati Uniti (Obama). Oppure, davvero, siamo in campo per fare della Sinistra soltanto una deontologia civica di onestà, rispetto dell’ambiente, del pagare le tasse e/o gestire bene un servizio comunale?

venerdì 25 settembre 2015

Diamo a Cesare quel che è di Cesare!

Oggi è nato Cesare e, tra tutti i viaggi, sarà quello più bello e complicato, mentre tra tutte le eperienze so già che, probabilmente, sarà quella che mi e ci metterà più a nudo.
Perchè credo che un figlio sia anche questo per un genitore, oltre che una emozione davvero indescrivibile.
 Mamma Elisa è stata bravissima, forte, sorprendente come tutte le volte.
Benvenuto Cesare, avanti insieme!

martedì 16 giugno 2015

Arte contemporanea e Centro Storico: dove devono stare le opere d'arte?

Raffaello Razzi mi scrive, a me come a tutti i consiglieri comunali, chiedendomi la mia opinione sul tema che ho più o meno sintetizzato nel titolo di questo post.
Questo è quello che gli ho risposto.
***

San Gimignano 16/06/2015

Caro Raffaello,
ho ricevuto la tua lettera ed intendo risponderti sia come cittadino, nato e cresciuto qui, sia come Sangimignanese chiamato, pro tempore, a svolgere il ruolo di Consigliere nel nostro Consiglio  Comunale.

Per il ruolo istituzionale che mi compete ti assicuro che quanto da te segnalato sarà per parte nostra portato all’attenzione di tutto il Gruppo consiliare a cui appartengo (“Centrosinistra per San Gimignano”), così come siamo abituati a fare con ogni segnalazione che ci arriva dai nostri concittadini. Del resto anche questo è uno dei nostri compiti di amministratori pubblici.

Nel merito intendo però dirti come la penso.
Penso che la nostra città “sogno del medioevo” e oggi patrimonio dell’Unesco non possa e non debba ridursi ad icona stanca del passato, oppure alla sua caricatura. Che sarebbe pure peggio.
Così come credo che, specialmente in rapporto alla e con l’arte contemporanea, la nostra città non debba piegarsi ad essere terreno di conquista di soli criteri e gusti globalizzati.
Occorre equilibrio. Mi verrebbe da dire un equilibrio “complesso”, per fare una battuta e rimanere in tema se penso all’opera di Eliseo Mattiacci nella Rocca, la ‘mitica’ longarina per noi Sangimignanesi.

Penso, seriamente, che San Gimignano vada difesa e valorizzata nella sua contemporaneità.
Mi spiego meglio: ci piaccia o no non siamo ‘solo’ medioevo”. Anche se, evidentemente, siamo ‘soprattutto’ medioevo.
Se non accettassimo questa visione rinnegheremo, a mio avviso, l’idea stessa di città.
Che non è mai un qualcosa di statico, di fisso, di immutabile. Tutt’altro! E neppure San Gimignano, con la sua storia, sfugge a questa regola del tempo.
Pertanto penso e vorrei una città in cui antico e contemporaneo possano convivere, confrontarsi e, perché no?, confrontarsi e scontrarsi. La storia degli ultimi 20 anni circa, quelli che per capirci  hanno sostanzialmente visto installarsi in spazi aperti della città opere, sculture, ceramiche ed installazioni varie ci dicono proprio questo.
Personalmente vorrei che fosse ancora così in futuro.

Vorrei una città in cui, pur non condividendo sempre gusti, tendenze, criteri e scelte di quella che per convenzione chiamiamo arte contemporanea, ci si possa comunque incuriosire per un’opera moderna o contemporanea. Insomma: preferisco il movimento alla staticità, la possibilità di vedere/conoscere qualcosa di nuovo, anche nel suo rapporto con il passato, rispetto alla sola celebrazione medievale. Poi va da sé, non potrebbe essere altrimenti del resto, che la nostra storia deve essere tutelata e mantenuta nella sua monumentalità, mantenuta efficiente non solo per le foto dei milioni di turisti, graditissimi, ma anche per le esigenze di vita quotidiana di noi sangimignanesi, nonché indagata sotto il profilo degli studi medievali.

E tuttavia: se è vero, come è vero che il Palazzo Comunale, la Pinacoteca e la Torre Grossa rappresentano ciò che siamo stati, i Musei civici di Santa Chiara, ad esempio, rappresentano ciò che siamo. Proprio ciò che tu segnali, semmai, consolida una convinzione che ho maturato da tempo: quella della necessità di disegnare, oltre alle più o meno apprezzabili iniziative private nella nostra Città - di cui ciascuno può avere la propria opinione -, una politica pubblica anche per l’arte contemporanea a San Gimignano. Occorre porsi il tema della contemporaneità e della promozione dell’arte contemporanea anche nella città delle torri. E non lo dico a caso. A dirlo, direi meglio a chiedercelo, è il nostro straordinario patrimonio, intendo dire in relazione alle dimensioni del nostro Comune, di opere d’arte moderna e contemporanea. In parte custodito nella Galleria “De Grada”, di recente arricchitasi con le donazioni oggetto della collezione “Novecento” (tuttora in esposizione presso la Galleria stessa), in parte esposto nella nostra città. Per non parlare dell’interesse che suscita e fisicamente movimenta questo settore dell’arte, portando a San Gimignano flussi che forse, e dico forse, qua non verrebbero.
Ma, a ben leggere la tua lettera, su questo punto potremmo trovarci d’accordo.

Quanto all’altra questione che tu poni, quella del Centro storico a supporto irreversibile di opere contemporanee, è certamente un tema concreto su cui si potrebbe discutere a lungo. E le opinioni moltiplicarsi all’ennesima potenza. Per quanto mi riguarda non sono contrario a prescindere, anzi. Quello che condivido della tua segnalazione, su cui ragionerei seriamente, è semmai se tutti i luoghi di tutto il Centro Storico possano o debbano ospitare permanentemente opere di questa natura. Su questo si può discutere e credo che troveremmo anche una soluzione condivisa. Sono molto disponibile a farlo, è un tema da non banalizzare.
Così come non avrei nulla in contrario a discutere o a ri-discutere con i privati, proprietari dell’opera, condizioni per l’esposizione delle loro opere nella nostra Città. Anche se va da sé che, nella stragrande maggioranza dei casi, queste opere non sono di privati ma del patrimonio pubblico, dunque di noi tutti. Ci sono poi molti fattori da tener di conto. C’è chi, ad esempio, sostiene che non sempre la città che ospita o, meglio, il luogo prescelto per la collocazione dell’opera, dia lustro all’opera scelta ma che anzi, spesso, avvenga esattamente il contrario. Anche se si tratta di città importanti come la nostra. Così come va ricordato come, in molti casi, l’opera stessa nasca e sia  pensata/ideata/progettata/realizzata proprio per ‘un luogo’, anzi nel nostro caso per ‘quel luogo specifico’. (Per fare un esempio a San Gimignano basti pensare all’intervento di Anish Kapoor e la sua “Underground” all’interno dello spazio di quello che chiamiamo “torrino dei frati” in Sant’Agostino, ma che proprio un torrino non lo è. Lo conosco bene perché il mio nonno Foscaro lì teneva l’orto dei frati e fin da ragazzo non l’ho mai visto utilizzato. Oppure potremmo pensare agli altrettanto famigerati “omini di ferro”, che anche a San Gimignano hanno fatto una sporadica apparizione, per quanto suggestiva a mio giudizio. Si tratta delle opere di Antony Gormley che, recentemente oggetto anche di una bella installazione al forte di Belvedere a Firenze, pur non essendo pensate solo per San Gimignano, avevano trovato collocazione temporanea in luoghi specifici del Centro Storico, “strategici” per il messaggio che l’artista e le stesse opere intendevano lanciare. E che a me, lo dico sinceramente, avrebbe fatto piacere se almeno una avesse trovato pianta stabile in un luogo altrettanto “strategico” del nostro Centro una volta terminata la mostra).

Su una cosa sarò invece più netto. Non credo che ci sia da parte di nessuno, da parte mia senza alcun dubbio nella duplice veste di cittadino-amministratore, così come penso da parte di chi esprime oggi il governo delle città nessuna volontà di “vendere in qualche modo San Gimignano”, nessuna “arrendevolezza compiacente delle autorità locali”, tantomeno un “inqualificabile modo di cedere l’immagine dei monumenti di San Gimignano”, per citare testualmente la tua lettera.
Io vedo, semmai, un continuo impegno a trovare un giusto equilibrio tra più esigenze. Non ci sono libretti di istruzione per queste cose e si deve riuscire ad essere tutto fuorché settari, trovando invece mediazioni rispettose delle varie sensibilità. Cosa oggettivamente non facile, lo riconosco, che può portare anche a qualche scivolone. E sopra ho spiegato come si possa e di debba discutere se ogni luogo di tutto il Centro storico possa o debba ospitare installazioni. La discussione si può fare e sono pronto a farla.
Tuttavia l’idea che San Gimignano sia preda o alla mercé di qualche potente di turno, gallerista o artista che sia, credo non corrisponda alla realtà. E’ un rischio che ci può essere, voglio essere chiaro, come può sempre esserci, ad esempio, quello dei continui appetiti speculativi per le nostre campagne. Ma credo che oggi, questa non sia la realtà. Prova ne sia la vicenda dell’opera di Kosuth, “La sedia davanti alla porta”, che oggi trova collocazione nella piazza del Bagolaro davanti al centro diurno in via Folgore da San Gimignano, ma che l’artista aveva collocato sotto la Loggia coperta, per capirci, in piazza del Duomo ma che poi da lì è stata spostata, secondo me giustamente, proprio al “Bagolaro”.

Infine e per concludere, in relazione all’ipotesi di inserimento di ulteriori opere in un “torrino” della Rocca, nessuna oscura trama. Nessun sotterfugio o operazione al buio, alla faccia magari degli ignari cittadini, noi compresi. Da quel che mi risulta, so e mi ricordo, le ultime acquisizioni al patrimonio pubblico del Comune di San Gimignano sono:
- le 13 opere, tra i massimi esponenti della pittura italiana del Novecento, oggetto della donazione della famiglia Pacchiani, che trovano collocazione stabile nella Galleria “De Grada” (oggi sono esposte all’interno della mostra “Novecento: una donazione” aperta fino al 30 agosto);
- l’opera di Kiki Smith (Clare L. Smith) di New York dal titolo“Yellow girl”, ceramica, tempera, vetro, luci e legno. Quest’ultima è stata acquisita al patrimonio pubblico con deliberazione del Consiglio Comunale del 28/01/2014, in seguito alla proposta di donazione dell’artista. Valore commerciale dell’opera quasi 100.000 euro. Lo stesso atto, pubblico, trasparente, preso dal massimo organo di rappresentanza cittadina tra l’altro all’unanimità, prevede tra le altre cose la “collocazione permanente presso il “torrino” situato all’interno della Rocca di Montestaffoli, previa autorizzazione in tal senso da parte delle competenti Commissione comunale per il paesaggio e competente Soprintendenza, o ad altro eventuale luogo comunque convenuto fra donatore e donatario”. Non conosco a che punto sia l’iter per la collocazione dell’opera, so però per certo che la competente Soprintendenza è già stata interessata per il parere. Immagino che tu ti riferisca a questa opera nella tua lettera.
Nel caso specifico, e certo non per una ottusa difesa di una scelta che ho votato, trovo che la collocazione non sia affatto disastrosa, anzi più che dignitosa per l’opera e per lo stesso “torrino” che la ospiterà al suo interno (per capirci: non “il torrino della Rocca” che siamo abituati a conoscere ed a chiamare così a San Gimignano, quello con le scale, ma quello in fondo a sinistra dello schermo del cinema una volta, sempre per intenderci. Se ci ricordiamo come era tenuto e a cosa serviva il torrino in questione credo che converrai con me che il miglioramento e la valorizzazione anche di quella piccola porzione della Rocca sia tangibile, oltre ad un inserimento non “invasivo” dell’opera stessa).

Questo è quel che penso, è la mia opinione. Da amministratore pubblico, invece, so bene che si deve andare oltre le opinioni personali e trovare metodo e criteri condivisi. E, come credo di aver spiegato, questo è un ragionamento che si può fare.
Spero di averti risposto su tutto e resto naturalmente a disposizione per ulteriori chiarimenti o confronti.
Andrea
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domenica 14 giugno 2015

Dal Pinturicchio a Lippi, nuova vita per i nostri musei?



Ieri sono stato all’inaugurazione della mostra “Filippino Lippi: L'Annunciazione di San Gimignano”, organizzata nella nostra Pinacoteca presso il palazzo comunale.

Il mio invito è di andare a vederla.
In sintesi si tratta di una mostra (fino al 2 novembre) dedicata al pittore fiorentino con oggetto l’Annunciazione, opera realizzata dall'artista in due tondi distinti raffiguranti uno l'Angelo Annunziante,  l'altro l'Annunziata.

Oltre alla bellezza in sé dei due tondi, per i quali, nell’occasione, sono state restaurate anche le cornici in legno, di particolare interesse sono stati per me i documenti relativi alla commissione dell'Annunciazione. Documentazione storica che non proviene da chi sa dove, ma che proviene dall’archivio Storico del Comune di San Gimignano, dopo secoli, pesti, rivoluzioni e due guerre mondiali. 

Documenti da cui si apprendono i motivi e le modalità di finanziamento delle due opere da parte dei Priori e Capitani di parte guelfa per il Palazzo Comunale di San Gimignano (vi si provvedeva anche con i proventi delle vigne), che le commissionarono nel 1482.
Da un punto di vista storico ci dice anche, comunque, del fermento che c’era a San Gimignano a fine 1482, per cui i priori e capitani chiamavano Lippi per abbellire la sede del governo cittadino, così come le  istituzioni fiorentine stavano facendo per Palazzo Vecchio. Quello stesso fermento che di lì a poco avrebbe chiamato il Pinturicchio, ad inizio ‘500, a realizzare la pala della “Madonna in gloria tra San Gregorio e San Benedetto”, esposta proprio nella stessa sala della nostra Pinacoteca.
La pala stessa fu oggetto l’anno scorso di una mostra ad essa dedicata oltre ad altre opere del Pinturicchio.
Tutto questo per dire anche che è questo che devono fare i nostri musei civici.

Ne ho già parlato altrove, esattamente qui, proprio l’anno scorso. Occorre insistere su questa strada.
Come ho avuto modo già di scrivere, anche nel contributo al programma elettorale della nostra coalizione del 2014, il ruolo dei musei oggi, per non diventare “eventificio” o scatola per soli “eventi”, è nel dialogo permanente fra musei e territorio.E’ necessario, tra le altre cose, che i musei vivano della relazione quotidiana col loro territorio, con il territorio che li esprime. Serve un rapporto, in mancanza sempre più spesso di risorse locali e nazionali, fra i nostri Musei Civici ed i suoi potenziali frequentatori, l’associazionismo che il nostro comune esprime – anche per la valorizzazione dei tanti “tesori minori” - e le sue istituzioni scolastiche. Su quest’ultimo fronte il lavoro sulla spezieria di Santa Fina e le attività didattiche proposte alle scuole e alla famiglie vanno nella direzione giusta. O almeno quella auspicata dal decisore pubblico, cioè dal Consiglio comunale, quando questo è stato (siamo stati chiamati) a decidere per una dolorosa gestione esterna dei nostri musei.

***

Post Scriptum. Alcune considerazioni a latere:
1) resta un po’ di rabbia per l’impossibilità che hanno le amministrazioni locali, la nostra in primis, per via delle restrittive norme di bilancio, in particolare su promozione, valorizzazione, investimenti e personale, di poter gestire direttamente e serenamente complessi museali. Spiace perché ancora abbiamo un’amministrazione pubblica rigida, poco flessibile, che non sa distinguere tra Comune e Comune, che nel chiedere giustamente sostenibilità finanziaria, almeno però mettesse chi è in grado di garantirla con le proprie forze di potersi misurare. Così, purtroppo, ancora non non è.

2) leggo ogni tanto su FB che Sel era contraria alla esternalizzazione della gestione dei musei (per i motivi detti sopra) e che quei brutti e incompetenti del PD erano tutti d’accordo, magari inebetiti dal dio denaro. Niente di più falso. Le perplessità, allora, erano più nel PD ad onor del vero. Tanto che anche in Consiglio almeno un paio di consiglieri eletti nel Pd si dissociarono dalla scelta. Semmai il lavoro che fu fatto, anche da parte mia come capo gruppo consiliare, fu esattamente l’opposto: cioè evitare che il tutto non si risolvesse in una operazione economicistica. Si trattava pur sempre della gestione della nostra storia! E che invece si elaborasse un atto di indirizzo molto chiaro, per il quale restasse forte l'indirizzo pubblico e determinato il controllo dell'amministrazione, la relazione con il territorio, la didattica e l’associazionismo, oltre che a stringere il privato in una azione di promozione serrata (che il Comune non poteva più fare per effetto delle normative nazionali).

2bis) che non c’entra nulla col tema attuale. Ma il centrosinistra a San Gimignano, inteso come coalizione che comprende il PD e altre forze più a sinistra di questo (come Prc prima e Sel poi) è un peccato che sia finito, con la recente uscita di Sel dalla coalizione di governo. Come si vede, come nel caso dei musei e non solo, i risultati e le mediazioni raggiunti in tanti anni di governo assieme hanno sempre fatto fare più passi in avanti al nostro Comune, che passi indietro. Per me è un orizzonte da ricostruire al più presto. Lo dico con cognizione di causa, essendo stato tra i promotori, 6 anni fa, di questa alleanza, e tra coloro che hanno lavorato per unire e non per dividere in questi anni di collaborazione.

3) la terza considerazione riguarda il gestore. Il cambio di passo è stato immediato (assunzione di 15 persone  con i requisiti professionali richiesti dal capitolato; 3 mostre allestite per la valorizzazione del patrimonio esistente, l’identità visiva con il sito web ed i social network, la modernizzazione del servizio biglietteria, gli investimenti nelle strutture e negli strumenti divulgativi – inversione flussi di ingresso, arredi interni, messa in sicurezza della salita alla Torre Grossa, nuovo impianto illuminante, filtranti alle finestre, nuovo apparato didascalico, le nuove audio guide, gli art glass, nuovo bookshop, etc…). Inoltre segnalo le positive iniziative di riscoperta, valorizzazione e promozione della spezieria di S.Fina oltre che all’allestimento, seppure con un po’ di ritardo, della sala didattica rivolta al pubblico scolastico per promuovere la conoscenza dei tesori cittadini tra i più giovani. Occorre dunque insistere. Perché purtroppo il trend dei visitatori degli ultimi 3 anni, compreso il 2014, il primo della nuova gestione, segna una flessione rispetto al precedente triennio. Nell’ultimo anno sono pero saliti gli introiti, grazie soprattutto all’innalzamento, per quanto non esagerato, del piano tariffario che prevede un unico biglietto di ingresso a cui può essere associato l’ingresso della mostra presente (6 euro l’intero che, con la mostra, diventa 7,50, mentre 5 euro e 6,50 sono i prezzi per i ridotti nei due casi). Ecco: credo che occorra continuare a lavorare affinché torni a salire anche il numero assoluto dei visitatori, locali e non (anche i primi andrebbero censiti) oltre alla leva tariffaria. Anche per questo infatti è stata presa la decisione della gestione esterna: mettere in campo iniziative e strumenti per ri-attirare visitatori nei nostri musei, grazie a soluzioni innovative ed investimenti, ormai entrambe precluse al Comune, campagne di valorizzazione e promozione dell’unicità dei nostri tesori. Per quanto mi riguarda è quel che farò, coerentemente con l'atto di indirizzo che abbiamo approvato in Consiglio Comunale.

lunedì 25 maggio 2015

Dal divorzio breve alle unioni civili: ultima chiamata per l'Italia



Il 13 maggio 1974 l'Italia sceglieva il divorzio.
Il 26 maggio 2015, cioè domani, entrano in vigore le nuove norme per il divorzio così detto breve. Da 6 a 12 mesi per dirsi addio. Le norme si applicano anche ai procedimenti già in corso - circa 200mila.

Dopo 41 anni da quel maggio '74 l’istituto si rinnova dunque. Soprattutto si accorcia. Per capirne di più (a chi si applica, quali tempi, come) consiglio questo post di Susanna .

Nel 1974 l’'Unità titolava:"grande vittoria della libertà". Oggi, al tagliando dei 41 anni è giusto parlare di civiltà, oltre che di buon senso. Perché non aveva senso, una volta maturata la scelta consensuale o giudiziale aspettare tutto quel tempo. Soprattutto al tempo della società liquida.

Ma ciò che mi ha più colpito è il dato del largo consenso registrato dalla norma in Parlamento, più esattamente alla Camera: 398 sì, 28 no e 6 astenuti.

Le letture possono essere tante e diverse tra loro. 
Ne dico almeno due.
La prima, più immediata,  è nel segno del tasso di ipocrisia che pervade larga parte della politica italiana, quel “si fa ma non si dice” che caratterizzò anche chi si oppose allora all’introduzione della normativa sul divorzio. In un Paese fortemente caratterizzato ed influenzato dalla religione cattolica, in cui a quasi ogni votazione si invoca la libertà di coscienza (c’è chi l’ha invocata perfino sull’atto più politico che politico non ce n’è, come la legge elettorale…) non ci sarebbe stato da aspettarsi una maggioranza così larga. Ma tant’è, e personalmente non me ne duolgo.

La seconda è che, invece,  il Parlamento più giovane della storia della Repubblica, grazie soprattutto ai massicci innesti di nuove leve operati nel 2013 in particolare dal PD e dal M5S (le principali due forze in Aula) fa sì che a misurarsi su questi temi siano generazioni più aperte e meglio disposte verso queste tematiche.

La prova del nove l’avremo sul tema delle unioni civili. 
Ora che anche la cattolicissima Irlanda ha detto si all’unione tra persone dello stesso sesso… (sì: io preferisco chiamarle così: uinioni civili. Nozze gay non mi piace; anche perché la parola matrimonio ci fa da specchietto per le allodole, ci fa deviare il discorso e ci allontana dall’obiettivo vero al di là della parola utilizzata: allargare concretamente il campo dei diritti).

C’è un ddl in discussione, che a sua volta raggruppa diversi progetti di legge.
A parole siamo tutti (o quasi) d’accordo, segnali di velato progressismo arrivano anche da Papa Francesco. Al di là degli slogan, che sia davvero la volta buona?

Me l’auguro. Anche perché nel nostro piccolo ci abbiamo lavorato, in Consiglio Comunale anche con i compagni di Sel fin dalla passata legislatura, approvando atti politici che, senza la presunzione di avere la verità in tasca, invitavano seriamente il legislatore nazionale, indipendentemente dal colore politico del governo del momento, a provvedere: a colmare la lacuna normativa senza dover ricorrere, cosa che non abbiamo mai fatto passare, ad esempio, qui a San Gimignano, alla presa in giro dell’istituzione dei registri comunali. Che servivano a piantare la bandiera dell’ideologia ma che, purtroppo e nei fatti, non allargavano di un cm il campo dei diritti, non rendevano esigibili ed opponibili a terzi nessun diritto tra coppie dello stesso sesso. Che invece è da sempre quello che ci interessa e per cui, nel nostro piccolo lavoriamo. 

La politica nazionale è chiamata a recuperare sul terreno della propria credibilità non solo sul fronte dell'abbattimento degli odiosi privilegi fuori dal tempo, ma anche se dimostra di essere in grado di registrare e codificare con lungimiranza i cambiamenti sociali in atto, dando certezze, libertà, diritti e doveri per tutti.

martedì 12 maggio 2015

Consumare meno suolo si può. La Toscana ci pensa, con o senza EXPO

Pochi giorni fa è stato pubblicato il rapporto ISPRA sul consumo di suolo in Italia.
Qui ci sono numeri e informazioni che, in sintesi, ci dicono che l'Italia del 2014 perde ancora terreno, come segue:
- è stato impermeabilizzato il 19,4% di suolo compreso tra 0-300 metri di distanza dalla costa e il 16% compreso tra i 300-1000 metri;
- persi 34.000 ettari all'interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi;
- contaminato dal cemento anche il 2% delle zone considerate non consumabili (montagne, aree a pendenza elevata, zone umide);
- 7% la percentuale di suolo direttamente impermeabilizzato (il 158% in più rispetto agli anni '50) e oltre il 50% il territorio che, anche se non direttamente coinvolto, ne subisce gli impatti devastanti;
- rallenta la velocità di consumo, tra il 2008 e il 2013, e viaggia ad una media di 6-7 mq al secondo.
Da segnalare anche la perdita prevalente di aree agricole coltivate (60%), urbane (22%) e di terre naturali vegetali e non (19%).


Si dice che il suolo, come del resto il pianeta, appartenga ai nostri figli.
Al di là delle belle suggestioni, che comunque traducono una verità che è nelle cose, la limitazione del consumo del suolo e la messa in sicurezza del territorio sono una scelta non solo strategica ma ormai necessaria per l’Italia. E per le Regioni che la compongono. E che in materia hanno molti poteri.


In questi anni in Toscana, dove pur vantando risultati migliori di altre regioni, non siamo immuni dal fenomeno, sono state assunte, non senza aspre polemiche, decisioni e atti legislativi importanti in questa direzione. Frutto certamente dei mutamenti climatici che hanno pesantemente portato la Toscana a confrontarsi con politiche di adattamento e di mitigazione degli effetti. Ma anche, per quello che ho potuto constatare direttamente, da una crescente consapevolezza che fosse arrivato il tempo di assumere scelte nette per la tutela del territorio regionale.

Questo ha portato all'approvazione di nuove norme per il governo del territorio: basta nuovo consumo di suolo, divieti per le edificazioni oltre i perimetri urbani, edilizia residenziale attraverso interventi di rigenerazione, riuso e ristrutturazione, tutela dei territori agricoli. Sono state bloccate le costruzioni in tutte le aree a rischio idraulico (il 7% della superficie pianeggiante) e sbloccate opere ferme da anni.
E' stato previsto un piano straordinario da 113 milioni per interventi di messa in sicurezza ma, a mio avviso ciò che più conta, è stato previsto uno stanziamento costante, annuale, pari a 50 mln per la messa in sicurezza del territorio toscano.

Ultima cosa, per favorire un recupero equilibrato all'uso agricolo del territorio, i terreni abbandonati tornano a produrre. Da un lato la messa a disposizione della terra a chi vuole fare l’agricoltore/allevatore con il progetto “Banca della terra”, avviato nel 2013, per contribuire a restituire all’agricoltura oltre 500 ettari di terreno e 12 fabbricati di proprietà pubblica con la priorità di accesso al progetto per gli under 40.
A questo si aggiungerà il ritorno all'uso agricolo, grazie al nuovo (e contestatissimo) piano del paesaggio, di circa 200 mila ettari di bosco risultanti dall'abbandono delle terre.

Inevitabilmente si sono scontrati e si scontrano interessi fortissimi su questo fronte, ma ritengo che la strada intrapresa sia quella corretta se dalle parole si vuole ogni tanto scendere veramente sul 'terreno', è il caso di dirlo, delle azioni.

Meglio perdere che vincere. Come in Campania ad esempio...

Mai avrei immaginato, nel 2007-2008 quando chiudevamo i Ds per dare vita al Partito Democratico, che nel 2015 avrei sperato che lo stesso PD perdesse in Campania alle elezioni regionali.

Mai avrei pensato di assistere ad una comica per cui c'è il candidato governatore che si allea con persone che definisce impresentabili, invita pure a non votarle, quasi dimentico del fatto che gli stessi sono candidati in delle liste (per lo meno, va detto, non sotto il simbolo delle liste PD) in appoggio alla sua stessa candidatura.

Ancora non capisco che cosa abbiamo da guadagnare da queste macchiette.
Il PD campano andrebbe commissariato, non da ora.
E De Luca, e l'armata brancaleone da lui messa insieme, spazzata via da una sonora sconfitta.
Sperando che basti.

Non per mitizzare il "bel tempo che fu", ma ricordo bene il Veltroni segretario del 2008 che non ricandidò De Mita in Campania (qui accanto un titolo tratto da "la Stampa" di allora).
De Mita si offese moltissimo e lasciò il PD. Amen.
Io esultai, mi sentii orgoglioso, si perse come era giusto che fosse alle politiche del 2008, ma si girava senza imbarazzi. Eppure c'erano le liste bloccate grazie a quel troiaio del "porcellum".

Ecco, non chiedo tanto, chiedo almeno che si torni a quello spirito.
(Ricordo benissimo il racconto che me ne face Walter quando venne in visita a San Gimignano, ad agosto 2009, in occasione della presentazione del suo romanzo "Noi". Aveva da poco lasciato la segreteria del Pd, nel febbraio 2009, ed il racconto di quell'incontro con De Mita fu da un lato esilarante, da un altro molto istruttivo... Quel: "ma stai scherzando?!?!", che immagino con classico accento campano deve essere stato da antologia).

Quello che penso sulla concenzione dell'etica della politica di alcuni disinvolti "esponenti" del PD (che io reputo essere una esigua minoranza rispetto a tante persone che si danno da fare lealmente) l'ho già scritto qui. Ma continua a preoccuparmi. Eppure non vedo reazioni interne. Eppure continuo ad avere la sensazione che i nostri vertici nazionali non vogliano affrontare il tema. A me questo pare il problema numero uno. Molto più, ad esempio, dell'italicum e della riforma della scuola, come ho già spiegato.

Attenzione, voglio essere chiaro. Io non sono tra quelli che oggi pensano che definirsi di sinistra sia limitarsi ad/identificarsi in una deontologia civica di onestà e di rispetto e di queste fanno la loro bandiera. Penso però, semplicemente e allo stesso tempo, che da queste pre-condizioni non si possa derogare nemmeno di un po'. E che da questo aspetto derivi tanta, se non tantissima, parte della disaffezione verso la politica. Anche se non ritengo che "sia tutta colpa del PD", come si vuole accreditare da parte dei nostri concorrenti politici, ho la netta convinzione che molta fetta dell'astensionismo nasca anche da qui, oltre che dalle inconcludenze ventennali di chi ha avuto la maggiore responsabilità di governo del Paese dal 1994 in poi.

giovedì 30 aprile 2015

Panariello: a chi?

Circa un anno fa di questi tempi succedeva una cosa che ancora mi ferisce e mi imbarazza. Mi ferisce nella mente,  mi imbarazza come cittadino di una città che ha inventato la cittadinanza honoris causa ex ante, prima dei titoli o di aver dato prova di quello per cui uno dovrebbe meritarsela. Beneficiario speciale: Panariello.

Più o mneo l'anno scorso di questi tempi, il Consiglio Comunale in una delle sue ultime sedute era stato chiamato, senza che se ne sapesse nulla fino alla ricezione della convocazione del Consiglio stesso, a deliberare la cittadinanza onoraria ad alcuni funzionari della Regione e della Sorpintendenza (per il lavoro svolto per l'acquisizione al Comune del  San Domenico) e a Panariello per motivi ancora oggi non meglio identificati. Tra questi ricordo benissimo però il fatto che, oltre ad aver eletto Sangi come sede fissa (?) delle prove dei propri spettacoli, il nostro avrebbe messo su uno spettacolo da lì a pochi mesi, nell'ambito dell'estate sangimignanese 2014, il cui ricavato sarebbe stato interamente devoluto ad un'azione benefica, in particolare al progetto Casa Sara.

Al di là delle proteste dei consiglieri sulla forma, fino all'ultimo non eravamo stati avvisati su di un atto così importante per un Consiglio Comunale, ciò che mi faceva arrabbiare era l'incosistenza delle motivazioni. Passi, ma anche qui mi tornava poco, la cittadinanza a dei bravi funzionari che avevano oggettivamente preso a cuore un tema come quello dell'ex carcere e lo avevano fatto proprio, lavorando alacremente per raggiungere l'obiettivo. Poi effettivamente conseguito. Piccolo particolare: come dirigenti erano pagati per quello dalle rispettive amministrazioni. Ma tant'è. 

Ma Panariello proprio non si digeriva: provai a far rinviare almeno a dopo questo annunciato “spettacolo in piazza” la delibera della cittadinanza onoraria. No, no e no. Andava fatta in tutti modi. Quindi dopo aver battagliato fino a tarda notte mi dichiarai contrario all’operazione, che non si reggeva, pensando di poter contare nella maggioranza di questa opinione all'interno del mio gruppo consiliare, quello che poi doveva alzare la mano. Come capo gruppo consiliare, dissi altrettanto nettamente che comunque avrei rispettato l’espressione del gruppo stesso, e che se non c’era unanimità si votasse. Con mia sorpresa andai sotto!
Credo responsabilmente, per come mi hanno insegnato a stare in una comunità politica e nelle istituzioni e sebbene incazzatissimo, deluso e mortificato, dissi che avrei rispettato il voto del mio gruppo, sarei andato in Consiglio a votare ma che non avrei parlato come capo gruppo, lasciando la parola ad altri, marcando il mio dissenso sedendomi nell’ultimo banco del nostro gruppo e che non avrei partecipato alla cerimonia di consegna delle cittadinanze che sarebbe seguita immediatamente dopo il voto. Cose che puntualmente feci.

Oggi a distanza di un anno mi sono chiesto cosa avesse prodotto quello spettacolo, così tanto importante che poi, effettivamente, si tenne nell’estate 2014 in piazza.
Con mio stupore risulta che nessuna cifra sia stata devoluta dall’incasso, perché così era stato stabilito fin dall’inizio (???) ma solo l’esiguo ammontare di 181 euro, circa, frutto della benevolenza degli invitati dall’organizzazione al welcome drink prima dello spettacolo. Presumo pure a gratis, come si usa in queste circostanze, ma potrei sbagliarmi e comunque poco importa.
Vi lascio immaginare l’incazzatura, che a distanza di un anno assume i contorni nitidi e brucianti della presa in giro.

PS: il 10 gennaio 2015 assieme a due carissimi amici, più grandi di me, e a tanti che poi hanno partecipato, abbiamo celebrato il decennale della scomparsa di Manetto, il nostro allenatore di  calcio di quando s’era ragazzi. Partitella a Belvedere, poi cena alla Mandragola. Presenti circa 50 persone tra ragazzi dal 1974 al 1978 con rispettive mogli, figlioli e fidanzate. C'era anche qualche pinzo naturalmente. Oltre al costo della cena, fissato in 20 euro, c’è entrato di mettere da parte anche una somma da devolvere in benefic
enza. Che la famiglia ha deciso di destinare, meritoriamente, al progetto Casa Sara. Sapete a quanto ammonta la cifra? 253 euro e spiccioli. Panariello??? Ma va ia va ia va ia….
Ad maiora.

mercoledì 22 aprile 2015

L'imbarazzo del silenzio sul codice etico

Se quanto sta accadendo sull'Italicum è (almeno per me) incomprensiibile, quello che trovo davvero imbarazzante è che una rottura di tale portata avvenga sulla legge elettorale, mentre su altre questioni che ci dovrebbero preoccupare di più e tutti, maggioranza ed opposizione interna, nessuno o pochissimi dicono nulla.

Mi riferisco al fatto di come si stia abbassando la soglia di attenzione del Pd verso l’etica della politica.
Qui vorrei fare alcune considerazioni veloci.
Se l’evasione e la corruzione, dunque l’illegalità, sono uno dei principali grandi problemi del nostro Paese, allora il Pd deve essere conseguente. A partire da casa sua.

C’è un tema gigantesco, di cui ho già scritto qui, e di cui si parla pochissimo: il nostro Codice etico interno, sbandierato giustamente (io ero tra quelli) nel momento fondativo del partito, non solo spesso viene disatteso ma, fatto ancor più grave, non è neppure al passo con le sopravvenute leggi italiane (vedi la Severino su tutte: che sospende dall’incarico i condannati in primo grado, senza distinzione di reato, mentre noi consentiamo la loro candidatura alle primarie).Non cito poi i numerosi inquinamenti dello strumento (formidabile, ma da maneggiare con cura e soprattutto con regole) delle Primarie. Il tutto unito ad un certo "sesto senso" che vorrebbe una tacita assuefazione a questo andazzo...

Il punto è: è giunta l’ora di farla finita, di smettere di far finta di non vedere.
A meno che non si voglia diventare come Forza Italia, che spesso ha candidato gente impresentabile. Smettendola di baloccarci con il “partito della nazione”, che si sostituisce alla mancanza di una destra di sistema in Italia. A quale scopo? Per copiarne magari anche i peggiori difetti, come quelli delle dubbia etica di certe candidature?.

Non vorrei che si pensasse che siamo destinati a fare l’abitudine a candidati con inchieste giudiziarie, a gente che rischia di essere sospesa dall’incarico un minuto dopo che è stata eletta.La politica non è un obbligo. E rimando alla parte finale di questo mio post, per chiarire come la penso su questo.

E non si usi l’argomento del “siamo un partito grande, qualcosa può sfuggire”, perché non attacca.
Proprio questa grande forza ci impone tutt’altro!
Ci impone più controllo, più rigore, più etica di tanti altri.
Ce lo impone a maggior ragione la responsabilità che in questa fase politica grava principalmente sulle spalle del partito democratico, che proprio per questo deve essere al di sopra di ogni sospetto.

Credo, come ho già scritto, che dai “mitici territori” si dovrebbe alzare un appello forte al Pd nazionale a fare sul serio su questo punto, a partire dal rivedere il nostro Codice Etico, per finire col regolamentare seriamente una volta per tutte anche lo strumento delle Primarie.
Un appello, insomma, forte e chiaro, a toglierci, tutti, dall’imbarazzo.
Non ho fondato il Pd per il grigiore e l’imbarazzo, ma per la chiarezza e l’orgoglio di una forza sì di carattere nazionale, progressista e di sinistra. Non voglio assistere a questa che sembra una silenziosa mutazione: ho e abbiamo altri valori. Che son quelli che in parte ci derivano dalla nostra storia politica, dall’altra da un tratto generazionale di chi si è formato alla politica con gli scandali di mani pulite e delle stragi di mafia di inizio anni ‘90. E che non si rassegna a fare l’abitudine a questa roba.

Incomprensibili sull'Italicum


Quello che vedo, leggo e ascolto sull’Italicum è abbastanza incomprensibile. Mi domando che maggioranza fosse quella che reggeva il partito allora, oggi divenuta minoranza.
Quello che penso sull’Italicum l’ho già scritto qui.

Per quelle ragioni, trovo strumentale questa forzatura, questo muro contro muro. L’obiettivo non è la democrazia, diciamocelo, è Renzi. Che ha mille difetti. Che è andato al governo come c’è andato.
Che sul partito, la sua forma ed il suo stare insieme sta facendo zero, esattamente come il suo predecessore Bersani, ma che sta facendo almeno quello che, tra le altre cose, avevamo proposto in campagna elettorale nel 2013: dare all’Italia una nuova legge elettorale dopo quasi 10 anni di traccheggiamento. E di farlo con la più ampia condivisione possibile. 

Oggi, dopo averla votata al Senato, la minoranza si comporta come Forza Italia. Che l’ha votata al Senato ma la rinnega alla Camera per lo “sgarbo” subito (a detta loro) con l’elezione di Mattarella. La forzatura prodotta dalla minoranza ha portato alla sostituzione dei parlamentari in Commissione (brutta pagina).
Ma va anche detto come sia impensabile non rispettare la volontà – prodottasi democraticamente – della maggioranza, così come la discussione avvenuta all’interno del Partito (ripeto per l’ennesima volta che quella discussione ha portato migliorie significative proprio grazie al lavoro della minoranza). Altrimenti meglio essere più onesti e conseguenti: dimettendosi dal Parlamento, mica dal Pd. E questo deve valere sempre: che ci sia Renzi o Bersani leader. 

Se non si rispetta questa regola allora chiudiamo bottega, in attesa che qualcuno trovi altri versi per tenere insieme un partito. L’effetto di tale forzatura, invece, è stato quello di mettere sotto attacco Renzi (che non fa nulla per meritarsi carezze), scatenare le opposizioni che non aspettavano altro per spettacolizzare, ridurre al lumicino le forze (in senso letterale) che sosterranno in Parlamento questa nuova legge. Con una ipocrisia di fondo non minore a quella dimostrata da Forza Italia. Spero proprio che la minoranza ci ripensi e che il governo non metta la fiducia. Sarebbero entrambe incomprensibili. Avrei trovato, invece, più comprensibili battaglie, anche aspre, su jobs act, riforma costituzionale o sul peggioramento dell'etica politica nel nostro partito. Ma di quest'ultima parlo in un altro post.

martedì 21 aprile 2015

La società (e l’Unione?) dell’impotenza



Due terzi dei libri che ho letto in questi anni, soprattutto saggistica, dicono la stessa cosa: questo sarà il secolo dell’acqua, dell’energia – dunque del clima -, della fame, della migrazione. C’è dunque di che preoccuparsi. Ma c’è anche di che vergognarsi di fronte ai flussi migratori di questi giorni, mentre dovremmo cominciare a dire di questi anni. Che  investono soprattutto le nostre coste, ma che investono il cuore dell'Unione Europea.

Mi domando, sinceramente, cosa posso fare. Altrettanto onestamente la risposta è desolante: poco. Soprattutto come singoli. La sensazione che ha il sopravvento è sempre quella: impotenza. Come di una società dell’impotenza. Che è quella che viviamo. Non ne faccio né una questione di destra o di sinistra né una questione di buonismo o di celodurismo. La risposta è sempre quella: ben poco.

Poi penso che, invece, almeno una cosa si possa e si debba fare: sforzarci almeno di restare umani.
Non partecipare al banchetto dell’invettiva sui social network, dell’insulto più o meno razzista, delle soluzioni da ‘quattro soldi’, dell'apertura di bocca a vanvera (es: si parla di blocchi navali, di accordi con il governo libico dimenticando il piccolo particolare che il governo lì non controlla il Paese e che, non a caso, c’è un mediatore che sta tentando con le varie parti in causa di metterlo su un governo..).
Restare umani significa domandarsi perché questo avviene, cosa spinge queste persone a mettersi in mare aperto. Significa anche ribadire che prima viene un dovere di salvare chi è in mare, poi domandarsi da dove viene e dove vuole andare. Significa non confondere la giusta guerra agli scafisti-schiavisti con la guerra ai naufraghi. Significa non ricadere nel circolo pericoloso delle guerre occidentali esportatrici di democrazia (per inciso: la Libia l'abbiamo bombardata nel 2011 e anche questi sono i risultati).

Poi c’è quello che dovremmo fare tutti insieme. Condivido moltissimo quanto scritto da Bill Emmott oggi su La Stampa. Non viviamo solo la società dell’impotenza, viviamo anche l’impotenza dell'Unione. 
Confesso: sono uno di quelli cresciuti col ‘mito’ dell’Europa unita, del sogno europeo. Tanto che in diritto comunitario mi ci sono laureato. Ma non da oggi, di fronte al dramma dell’immigrazione ed all’incapacità di azioni comuni, all’inconsistenza di una politica europea comune, il ‘mito’ vacilla e non poco. 
Mentre gran parte della risposta, invece, passa ancora da e risiede ancora lì: nell’Unione Europea. In una sua politica. In un continente che si è messo insieme dopo due guerre in cui ha trascinato per due volte il mondo intero, unendosi sui valori della pace, del riconoscimento dei diritti dell’uomo, del rispetto reciproco e sull’abbattimento delle disuguaglianze. Una rifondazione dell’occidente ed una rinnovata civiltà. Oggi s’è persa questa bussola e stiamo ancora cercandola. Al di là dei quattrini che tutto questo ci costerà, delle azioni che ne seguiranno, sento che l’urgenza nell’urgenza è di ricostruire questa coscienza: una coscienza europea, comune. Da soli siamo niente. Se ogni Stato continuerà a fare da sé di fronte ai mutamenti del secolo, avranno sempre la meglio i Salvini di turno in tutta Europa. E non governeremo proprio un bel nulla.

giovedì 9 aprile 2015

Sentenza Diaz: la vergona e la non sorpresa



La sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nei confronti dell’Italia, per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, non mi ha sorpreso.

E la non sorpresa sta nella valutazione oggettiva e documentata che ogni cittadino più o meno ‘medio’, come si usa dire, può aver svolto di quei fatti.
La non sorpresa riguarda anche il fatto che in Italia non esista il reato di tortura.
Lo sapevamo. Purtroppo.  

Non siamo un Paese normale, ancora.
Troppo vorremmo esserlo.
Tanto ancora dobbiamo fare, tutti, per diventarlo.
Siamo ancora un Paese che vive di troppi buchi neri, troppe sospensioni della democrazia, troppe violazioni di diritti umani.  Con una macchia in più: troppe volte quelle stesse forze dell’ordine che combattono sul territorio la criminalità, la mafia e la criminalità organizzata, che catturano boss e latitanti pericolosi, che difendono i cittadini contro la micro criminalità sono anche quelle (non tutte sia ben chiaro e lo sappiamo, senza ipocrisia) che si macchiano di questi atti vergognosi, disumani.
Possibile che chi è preposto alla tutela dell'ordine e alla garanzia della sicurezza, possa essere sovente il primo a non essere garante di sicurezza, rispetto e diritto? Serve più rispetto, più diritto, più giustizia. Serve più Stato in una parola. E lo Stato non è fatto solo di politici, vorrei ricordarlo, tutt’altro!

Ciò che invece mi ha sorpreso, e tanto, è ancora una volta un dibattito piccolo piccolo, tutto all’italiana, tra sostenitori e non delle forze di polizia. Contro le quali, sia chiaro, personalmente non ho niente. Ma messa così è la solita partita tra “tifosi”, gli uni da una parte gli uni dall’altra , tra chi è più o meno cattivo. Che idiozie. Ho sentito addirittura dire, ieri sera in tv da Salvini se non sbaglio, che l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, dopo 30 anni (metteteli in fila 30 anni!) dall’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli inumane e degradanti, ratificata dall'Italia nel 1988, sarebbe addirittura un atto contro le forze di polizia. O come si fa a dire queste boiate?

La discussione e l’esame della proposta di legge per l’introduzione del reato di tortura è in realtà iniziata da qualche settimana in Parlamento. Il testo puntualizza i presupposti per l’esistenza di questo reato recependo le indicazioni della Convenzione ONU del 1984.
La norma prevede che potrà essere incriminato del reato di tortura chi, con violenza o minaccia cagiona intenzionalmente a una persona a lui affidata o sottoposta alla sua autorità acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni.
Se a torturare sarà un pubblico ufficiale, scatterà la pena aggravata fino a 12 anni. 

Qui si renderebbe necessario un “pippone” storico e giuridico, per il quale non c’è spazio.
Ma chi parla di atto contro qualcuno, nell’introdurre questa fattispecie di reato, e non di passo in avanti e di civiltà (come io credo invece che esso sia), dovrebbe almeno conoscere di che si tratta. Ed in particolare del fatto che proprio la discussione alla Camera, rispetto al Senato, stia apportando correttivi per evitare situazioni di strumentalizzazione del reato.

Per farla breve (dalla relazione di maggioranza): alla Camera, anche alla luce delle audizioni svolte, è parso opportuno rivedere l’impostazione del Senato per meglio individuare le specificità di questo nuovo reato, che non deve essere considerato come una sommatoria di reati già esistenti, quanto piuttosto un qualcosa di nuovo e con un disvalore proprio. La tortura è dunque configurata come un reato comune (anziché come un reato proprio del pubblico ufficiale), caratterizzato da un elemento soggettivo rafforzato dall'avverbio «intenzionalmente» e dal dolo specifico. La condotta si esplica attraverso la violenza o minaccia ovvero la violazione degli obblighi di protezione, cura o assistenza. Il reato è di evento dovendo la condotta comportare acute sofferenze fisiche o psichiche.
L'esigenza di specificare in dettaglio la condotta è stata evidenziata anche dal Capo della polizia, il Prefetto Alessandro Pansa, che in audizione ha manifestato preoccupazione per le strumentalizzazioni che potrebbero esservi a danno delle forze di polizia in caso di fattispecie generica. Oltre a rendere più determinata la fattispecie rispetto al testo del Senato e quindi anche per evitare il paventato rischio di strumentalizzazioni, si è introdotta nel testo una clausola di chiusura, che peraltro è prevista espressamente dalla Convenzione ONU, secondo cui la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. L'esigenza di descrivere dettagliatamente le modalità della condotta è stata anche evidenziata dal professore Tullio Padovani, il quale ha sottolineato come non si possa pensare alla fattispecie del reato di tortura puntando solo sull'evento, occorrendo al contrario fare riferimento alla violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza. Rispetto al testo del Senato, accogliendo un suggerimento del professore Francesco Viganò, si è eliminata la connotazione di gravità della violenza o della minaccia, in quanto la gravità deve essere propria dell'evento, potendosi configurare una violenza non grave, come, ad esempio, piccole scosse elettriche, alla quale conseguono gravi sofferenze.

Ora, concluso il “pippone”, si capisce bene come si apra bocca e si lasci andare.
E questo fa tristezza. Come fanno tristezza e, aggiungo, rabbia, i fatti di Genova.
Nell’attesa che il Parlamento faccia il suo mestiere (circa 30 anni dopo…), aspetto un Paese normale: dove i processi si dovrebbero fare nelle aule di tribunale e non coi manganelli in mano, dove la giustizia che funziona è quella che mi arresta se sono in flagranza o ho commesso un reato, mi porta in tribunale, mi tutela anche in questa fase e poi mi sottopone a giusto processo; dove  l’ultimo dei poveracci, come siamo noi, abbia le stesse garanzie del notabile di turno; un Paese in cui mi possa fidare senza alcun dubbio di chi è preposto, anche, alla mia sicurezza. Un Paese dove, ogni tanto, anche senza condanne di tribunali, qualcuno chieda scusa, un “forse abbiamo sbagliato”, un “forse c’è stato qualche eccesso” (per usare un eufemismo). Dove sono Silvio, Fini e Scajola che in quei giorni ci raccontavano che era tutto a posto ed i black block erano stati “domati”, mentre in realtà forse furono gli unici che non ne buscarono?

Genova è stata e resta una vergogna clamorosa e gigantesca per l’Italia.
Non serve essere di sinistra o di destra per affermarlo.
Basta essere umani.

venerdì 20 marzo 2015

Il ballo dei Lupi senza disciplina e senza onore



Penso semplicemente che il Ministro Lupi farebbe bene a dimettersi. E, almeno a quello che ho sentito stamani in radio, è quel che farà. Un sussulto di pudore. 
Non è indagato, ed è innocentissimo. Ma non è un cittadino qualunque. Chi fa politica e, soprattutto, rappresenta lo Stato e le istituzioni democratiche, queste cose le sa o, almeno, dovrebbe saperle.
E’ intollerabile ed inammissibile che la difesa di una struttura tecnica (per quanto di missione!) e del suo massimo dirigente, tale da minacciare addirittura la caduta di un Governo, siano preminenti rispetto al diritto dei cittadini ad avere un’amministrazione dello Stato economica, efficace, efficiente ed imparziale. In altre parole, che la difesa di un dirigente e della sua struttura tecnica venga prima dell’interesse generale di non vedere sprecati ed impastoiati i soldi dei contribuenti. Per non dire del tanfo del “piacerino” di Stato ai soliti (ed amicissimi) noti.

Non si tratta né di moralismo, né di giustizialismo. Per me Lupi non ha compiuto reati. Ma ha fatto quello che un politico che ha funzioni pubbliche e rappresenta le istituzioni non deve mai fare. Per questo è bene che se ne vada e alla svelta. E’ bene che lasci perché, anche se non indagato ed onestissimo, è venuto meno, in qualità di cittadino a cui sono affidate funzioni pubbliche a quello che chiede la Costituzione (art. 54): che impone ai cittadini come lui “il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Lupi, da Ministro, ha pure giurato su questa roba.

Non c’è più, da quello che si è letto, né disciplina né onore.
Restano solo due parole ed un aggettivo: opportunità e responsabilità politica.
Fare politica, occuparsi dei cittadini e della cosa pubblica, rappresentare le istituzioni (che sono costate sacrifici e sangue perché fossero davvero di tutti) è una cosa serissima.
E farlo non te lo ordina il dottore. E se non c’è più disciplina e onore, tra difese di dirigenti che hanno fatto il loro tempo, di sudditanza della politica alla burocrazia, rolex per scandire il tempo di meccanismi oliati sempre dai soliti, abiti regalati per far bella figura, viaggetti, lavoretti e collocamenti di figli e figliastri, si può andare tranquillamente a fare altro. Verrà un altro Ministro, non ci preoccupiamo.

***
A ben vedere, smaltita l’incazzatura nel dover assistere ancora oggi a queste cricche, ci sarebbero da fare almeno un paio di considerazioni.

La prima. Chi si occupa un po’ di infrastrutture non può fare a meno di notare come la sudditanza della politica alla burocrazia sia diventata emblematica. In cui l’indirizzo politico non indirizza proprio un bel niente a livello centrale, anzi si fa dettare l’agenda (i programmi politici?) da chi ha in mano la storia più o meno recente delle grandi opere in questo Paese. In questo una legislazione farraginosa e instabile, dà una mano incredibile. Proprio quella legislazione prodotta da quell’indirizzo politico così debole. Una delle più colossali prese per il culo italiane è il Codice degli appalti. Miliardi di articoli, dal 2006 ad oggi, cambiati dal Legislatore più di 600 volte. E ancora non è finita, perché ancora c’è da adeguarsi alle più recenti direttive europee. Risultato? Un sistema che non funziona. E a dimostrare che non funziona è lo Stato stesso che, guarda un po’, quando deve appaltare grandi opere va a trattativa privata. Poi se i costi aumentano e in tanti ci mangiano qualcuno pagherà. Così come non può essere taciuto il fallimento della legge obiettivo, 2001, e dei relativi allegati infrastrutture alle varie leggi di stabilità. Nata anche con uno scopo  nobile (individuare la opere infrastrutturali strategico di interesse nazionale), stabilendone priorità, procedure , tempistiche e modalità di finanziamento si può dire che ha fatto flop. Si sono riempiti gli Allegati infrastrutture, regione per regione, di opere, illudendo piogge di miliardi che non sono arrivati, creando una struttura tecnica di missione alle dirette dipendenze del Ministro e sganciata dalla direzione generale del Ministero. Struttura che peraltro, è il caso di dirlo dopo quello che si legge, ha smarrito ben presto la sua missione. Leggi più chiare, trasparenza assoluta, semplificazione procedurale e turn over dei dirigenti possono dare una mano ad invertire la rotta? Chi può dirlo. Ma è chiaro come oggi l’inerzia ed il grigiore non possano essere una risposta. E poi c'è la gigantesca questione culturale che deve accompagnare questo processo di cambiamento. Se non si parte dall'educazione, dalla formazione alla legalità tutto si ridurrà al clamore mediatico. Ma poi, spenta la tv o la sbecerata su facebook, ognuno tornerà bel bello a fare cme faceva prima. Tanto cosa vuoi che succeda? (Invito a leggere "Lettera a un figlio su Mani pulite" di Gherardo Colombo, tanto per farsi un'idea).

La seconda. Riguarda inevitabilmente la politica. Bene Cantone all’Autorità nazionale Anticorruzione. Ma non basta. In attesa che arrivi il sol dell’avvenire in questo Paese, quando cioè sarà culturalmente un valore condiviso il rispetto delle regole, soprattutto tra quelli con responsabilità pubbliche, è intollerabile e fastidioso per il comune cittadino il tentennare su alcuni passaggi decisivi. E questo tentennare riguarda sia il Governo sia il Parlamento. Il “daspo” ai corrotti che fine ha fatto? Il falso in bilancio? La stessa modifica del codice degli appalti, a quando? La legge anticorruzione che langue da due anni in Parlamento? Sono abbastanza stufo di vedere, tra i vari balbettii, ogni tanto anche il PD. Per quel vizio che ho di guardar bene in casa mia prima di parlare degli altri, lo trovo inaccettabile. Ci sono dei valori, etici, morali e politici che stanno alla base di un partito come il nostro, per cui l’abbiamo fondato, sui quali non si può tentennare. Certo: ora lo sport nazionale è dare la colpa al PD di ogni cosa e sappiamo che così non è (anche se noi ci mettiamo del nostro: prima la smettiamo di governare con Ncd e gli altri meglio è, ad esempio), ma in Parlamento e al Governo ci sono soprattutto le nostre bandiere (e come ci siamo andati è un'altra pagina trsite). E allora basta. Perché se no arriva il sospetto che le primarie in Liguria e i De Luca in Campania non siano clamorosi scivoloni, ma un arretramento culturale e politico per me inaccettabile. Io non ci sto a passare a prescindere per il “partito facilita corrotti”, perché ho fondato questo partito con milioni di persone con tutt’altro ideale: quello di mettere insieme le esperienze migliori delle politiche riformatrici delle culture socialiste, comuniste, del cattolicesimo democratico e del moderno ambientalismo per cambiare il quadro politico ed istituzionale di questo Paese sulla base dei valori di quelle culture. Valori che affondano le loro radici nella legalità, nella moralità della politica, nel rispetto delle istituzioni e saldamente ancorati al dettato costituzionale.  Non prendiamoci più in giro: se non ha le caratteristiche della necessità ed urgenza la corruzione in questo Paese, tale da giustificare una decretazione d’urgenza da parte del Governo, allora davvero che vincano i Lupi e i loro balli. Ma che governino da soli.

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In conclusione due riflessioni personali:
1) - Sempre guardando in casa nostra: il codice etico del PD va cambiato all’art 5 commi 1 e 2. Neppure gli indagati, anche se non ancora rinviati a giudizio,  possono essere candidati, altro che i condannati non ancora con sentenza definitiva. Poi, alla fine delle indagini, se dimostrano di essere a posto sarei anche disponibile a scrivere una norma che garantisca a queste persone la candidatura “di diritto” alla prima tornata elettorale utile…ma fino ad allora non scherziamo. Anche qui: non è né moralismo ipocrita né falso garantismo. È opportunità e responsabilità politica. Ripeto: se no si può benissimo andare a fare altro. La politica non è un obbligo per nessuno, tanto più l'assumere funzioni pubbliche. Non sarebbe male se dai “mitici” territori venisse una raccolta firme per la sua modifica rivolta al PD nazionale.

2) - la mia prima esperienza romana per conto della Regione è stata proprio al MIT, alla Struttura Tecnica di Missione, il 20 luglio 2010, variante di valico dell’A1, bretella di Firenzuola. Davanti a me Ercole Incalza. Ne sono seguite altre presso lo stesso MIT e presso la struttura tecnica di missione, perché era parte del mio lavoro e perché la Toscana ha aperte partite infrastrutturali importantissime ma vittime di questi meccanismi da “balla coi lupi”. Qualche amico mi ha chiesto che impressione ne avessi. Ovviamente di nessun illecito dalla mia parzialissima visuale. Ma da ragazzotto di campagna, al di là di una cordialità esemplare, la sensazione è sempre stata quella del perpetuarsi di un tempo passato. Che era bene terminasse.