martedì 21 aprile 2015

La società (e l’Unione?) dell’impotenza



Due terzi dei libri che ho letto in questi anni, soprattutto saggistica, dicono la stessa cosa: questo sarà il secolo dell’acqua, dell’energia – dunque del clima -, della fame, della migrazione. C’è dunque di che preoccuparsi. Ma c’è anche di che vergognarsi di fronte ai flussi migratori di questi giorni, mentre dovremmo cominciare a dire di questi anni. Che  investono soprattutto le nostre coste, ma che investono il cuore dell'Unione Europea.

Mi domando, sinceramente, cosa posso fare. Altrettanto onestamente la risposta è desolante: poco. Soprattutto come singoli. La sensazione che ha il sopravvento è sempre quella: impotenza. Come di una società dell’impotenza. Che è quella che viviamo. Non ne faccio né una questione di destra o di sinistra né una questione di buonismo o di celodurismo. La risposta è sempre quella: ben poco.

Poi penso che, invece, almeno una cosa si possa e si debba fare: sforzarci almeno di restare umani.
Non partecipare al banchetto dell’invettiva sui social network, dell’insulto più o meno razzista, delle soluzioni da ‘quattro soldi’, dell'apertura di bocca a vanvera (es: si parla di blocchi navali, di accordi con il governo libico dimenticando il piccolo particolare che il governo lì non controlla il Paese e che, non a caso, c’è un mediatore che sta tentando con le varie parti in causa di metterlo su un governo..).
Restare umani significa domandarsi perché questo avviene, cosa spinge queste persone a mettersi in mare aperto. Significa anche ribadire che prima viene un dovere di salvare chi è in mare, poi domandarsi da dove viene e dove vuole andare. Significa non confondere la giusta guerra agli scafisti-schiavisti con la guerra ai naufraghi. Significa non ricadere nel circolo pericoloso delle guerre occidentali esportatrici di democrazia (per inciso: la Libia l'abbiamo bombardata nel 2011 e anche questi sono i risultati).

Poi c’è quello che dovremmo fare tutti insieme. Condivido moltissimo quanto scritto da Bill Emmott oggi su La Stampa. Non viviamo solo la società dell’impotenza, viviamo anche l’impotenza dell'Unione. 
Confesso: sono uno di quelli cresciuti col ‘mito’ dell’Europa unita, del sogno europeo. Tanto che in diritto comunitario mi ci sono laureato. Ma non da oggi, di fronte al dramma dell’immigrazione ed all’incapacità di azioni comuni, all’inconsistenza di una politica europea comune, il ‘mito’ vacilla e non poco. 
Mentre gran parte della risposta, invece, passa ancora da e risiede ancora lì: nell’Unione Europea. In una sua politica. In un continente che si è messo insieme dopo due guerre in cui ha trascinato per due volte il mondo intero, unendosi sui valori della pace, del riconoscimento dei diritti dell’uomo, del rispetto reciproco e sull’abbattimento delle disuguaglianze. Una rifondazione dell’occidente ed una rinnovata civiltà. Oggi s’è persa questa bussola e stiamo ancora cercandola. Al di là dei quattrini che tutto questo ci costerà, delle azioni che ne seguiranno, sento che l’urgenza nell’urgenza è di ricostruire questa coscienza: una coscienza europea, comune. Da soli siamo niente. Se ogni Stato continuerà a fare da sé di fronte ai mutamenti del secolo, avranno sempre la meglio i Salvini di turno in tutta Europa. E non governeremo proprio un bel nulla.

Nessun commento: