giovedì 9 aprile 2015

Sentenza Diaz: la vergona e la non sorpresa



La sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nei confronti dell’Italia, per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, non mi ha sorpreso.

E la non sorpresa sta nella valutazione oggettiva e documentata che ogni cittadino più o meno ‘medio’, come si usa dire, può aver svolto di quei fatti.
La non sorpresa riguarda anche il fatto che in Italia non esista il reato di tortura.
Lo sapevamo. Purtroppo.  

Non siamo un Paese normale, ancora.
Troppo vorremmo esserlo.
Tanto ancora dobbiamo fare, tutti, per diventarlo.
Siamo ancora un Paese che vive di troppi buchi neri, troppe sospensioni della democrazia, troppe violazioni di diritti umani.  Con una macchia in più: troppe volte quelle stesse forze dell’ordine che combattono sul territorio la criminalità, la mafia e la criminalità organizzata, che catturano boss e latitanti pericolosi, che difendono i cittadini contro la micro criminalità sono anche quelle (non tutte sia ben chiaro e lo sappiamo, senza ipocrisia) che si macchiano di questi atti vergognosi, disumani.
Possibile che chi è preposto alla tutela dell'ordine e alla garanzia della sicurezza, possa essere sovente il primo a non essere garante di sicurezza, rispetto e diritto? Serve più rispetto, più diritto, più giustizia. Serve più Stato in una parola. E lo Stato non è fatto solo di politici, vorrei ricordarlo, tutt’altro!

Ciò che invece mi ha sorpreso, e tanto, è ancora una volta un dibattito piccolo piccolo, tutto all’italiana, tra sostenitori e non delle forze di polizia. Contro le quali, sia chiaro, personalmente non ho niente. Ma messa così è la solita partita tra “tifosi”, gli uni da una parte gli uni dall’altra , tra chi è più o meno cattivo. Che idiozie. Ho sentito addirittura dire, ieri sera in tv da Salvini se non sbaglio, che l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, dopo 30 anni (metteteli in fila 30 anni!) dall’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli inumane e degradanti, ratificata dall'Italia nel 1988, sarebbe addirittura un atto contro le forze di polizia. O come si fa a dire queste boiate?

La discussione e l’esame della proposta di legge per l’introduzione del reato di tortura è in realtà iniziata da qualche settimana in Parlamento. Il testo puntualizza i presupposti per l’esistenza di questo reato recependo le indicazioni della Convenzione ONU del 1984.
La norma prevede che potrà essere incriminato del reato di tortura chi, con violenza o minaccia cagiona intenzionalmente a una persona a lui affidata o sottoposta alla sua autorità acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni.
Se a torturare sarà un pubblico ufficiale, scatterà la pena aggravata fino a 12 anni. 

Qui si renderebbe necessario un “pippone” storico e giuridico, per il quale non c’è spazio.
Ma chi parla di atto contro qualcuno, nell’introdurre questa fattispecie di reato, e non di passo in avanti e di civiltà (come io credo invece che esso sia), dovrebbe almeno conoscere di che si tratta. Ed in particolare del fatto che proprio la discussione alla Camera, rispetto al Senato, stia apportando correttivi per evitare situazioni di strumentalizzazione del reato.

Per farla breve (dalla relazione di maggioranza): alla Camera, anche alla luce delle audizioni svolte, è parso opportuno rivedere l’impostazione del Senato per meglio individuare le specificità di questo nuovo reato, che non deve essere considerato come una sommatoria di reati già esistenti, quanto piuttosto un qualcosa di nuovo e con un disvalore proprio. La tortura è dunque configurata come un reato comune (anziché come un reato proprio del pubblico ufficiale), caratterizzato da un elemento soggettivo rafforzato dall'avverbio «intenzionalmente» e dal dolo specifico. La condotta si esplica attraverso la violenza o minaccia ovvero la violazione degli obblighi di protezione, cura o assistenza. Il reato è di evento dovendo la condotta comportare acute sofferenze fisiche o psichiche.
L'esigenza di specificare in dettaglio la condotta è stata evidenziata anche dal Capo della polizia, il Prefetto Alessandro Pansa, che in audizione ha manifestato preoccupazione per le strumentalizzazioni che potrebbero esservi a danno delle forze di polizia in caso di fattispecie generica. Oltre a rendere più determinata la fattispecie rispetto al testo del Senato e quindi anche per evitare il paventato rischio di strumentalizzazioni, si è introdotta nel testo una clausola di chiusura, che peraltro è prevista espressamente dalla Convenzione ONU, secondo cui la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. L'esigenza di descrivere dettagliatamente le modalità della condotta è stata anche evidenziata dal professore Tullio Padovani, il quale ha sottolineato come non si possa pensare alla fattispecie del reato di tortura puntando solo sull'evento, occorrendo al contrario fare riferimento alla violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza. Rispetto al testo del Senato, accogliendo un suggerimento del professore Francesco Viganò, si è eliminata la connotazione di gravità della violenza o della minaccia, in quanto la gravità deve essere propria dell'evento, potendosi configurare una violenza non grave, come, ad esempio, piccole scosse elettriche, alla quale conseguono gravi sofferenze.

Ora, concluso il “pippone”, si capisce bene come si apra bocca e si lasci andare.
E questo fa tristezza. Come fanno tristezza e, aggiungo, rabbia, i fatti di Genova.
Nell’attesa che il Parlamento faccia il suo mestiere (circa 30 anni dopo…), aspetto un Paese normale: dove i processi si dovrebbero fare nelle aule di tribunale e non coi manganelli in mano, dove la giustizia che funziona è quella che mi arresta se sono in flagranza o ho commesso un reato, mi porta in tribunale, mi tutela anche in questa fase e poi mi sottopone a giusto processo; dove  l’ultimo dei poveracci, come siamo noi, abbia le stesse garanzie del notabile di turno; un Paese in cui mi possa fidare senza alcun dubbio di chi è preposto, anche, alla mia sicurezza. Un Paese dove, ogni tanto, anche senza condanne di tribunali, qualcuno chieda scusa, un “forse abbiamo sbagliato”, un “forse c’è stato qualche eccesso” (per usare un eufemismo). Dove sono Silvio, Fini e Scajola che in quei giorni ci raccontavano che era tutto a posto ed i black block erano stati “domati”, mentre in realtà forse furono gli unici che non ne buscarono?

Genova è stata e resta una vergogna clamorosa e gigantesca per l’Italia.
Non serve essere di sinistra o di destra per affermarlo.
Basta essere umani.

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