lunedì 25 maggio 2015

Dal divorzio breve alle unioni civili: ultima chiamata per l'Italia



Il 13 maggio 1974 l'Italia sceglieva il divorzio.
Il 26 maggio 2015, cioè domani, entrano in vigore le nuove norme per il divorzio così detto breve. Da 6 a 12 mesi per dirsi addio. Le norme si applicano anche ai procedimenti già in corso - circa 200mila.

Dopo 41 anni da quel maggio '74 l’istituto si rinnova dunque. Soprattutto si accorcia. Per capirne di più (a chi si applica, quali tempi, come) consiglio questo post di Susanna .

Nel 1974 l’'Unità titolava:"grande vittoria della libertà". Oggi, al tagliando dei 41 anni è giusto parlare di civiltà, oltre che di buon senso. Perché non aveva senso, una volta maturata la scelta consensuale o giudiziale aspettare tutto quel tempo. Soprattutto al tempo della società liquida.

Ma ciò che mi ha più colpito è il dato del largo consenso registrato dalla norma in Parlamento, più esattamente alla Camera: 398 sì, 28 no e 6 astenuti.

Le letture possono essere tante e diverse tra loro. 
Ne dico almeno due.
La prima, più immediata,  è nel segno del tasso di ipocrisia che pervade larga parte della politica italiana, quel “si fa ma non si dice” che caratterizzò anche chi si oppose allora all’introduzione della normativa sul divorzio. In un Paese fortemente caratterizzato ed influenzato dalla religione cattolica, in cui a quasi ogni votazione si invoca la libertà di coscienza (c’è chi l’ha invocata perfino sull’atto più politico che politico non ce n’è, come la legge elettorale…) non ci sarebbe stato da aspettarsi una maggioranza così larga. Ma tant’è, e personalmente non me ne duolgo.

La seconda è che, invece,  il Parlamento più giovane della storia della Repubblica, grazie soprattutto ai massicci innesti di nuove leve operati nel 2013 in particolare dal PD e dal M5S (le principali due forze in Aula) fa sì che a misurarsi su questi temi siano generazioni più aperte e meglio disposte verso queste tematiche.

La prova del nove l’avremo sul tema delle unioni civili. 
Ora che anche la cattolicissima Irlanda ha detto si all’unione tra persone dello stesso sesso… (sì: io preferisco chiamarle così: uinioni civili. Nozze gay non mi piace; anche perché la parola matrimonio ci fa da specchietto per le allodole, ci fa deviare il discorso e ci allontana dall’obiettivo vero al di là della parola utilizzata: allargare concretamente il campo dei diritti).

C’è un ddl in discussione, che a sua volta raggruppa diversi progetti di legge.
A parole siamo tutti (o quasi) d’accordo, segnali di velato progressismo arrivano anche da Papa Francesco. Al di là degli slogan, che sia davvero la volta buona?

Me l’auguro. Anche perché nel nostro piccolo ci abbiamo lavorato, in Consiglio Comunale anche con i compagni di Sel fin dalla passata legislatura, approvando atti politici che, senza la presunzione di avere la verità in tasca, invitavano seriamente il legislatore nazionale, indipendentemente dal colore politico del governo del momento, a provvedere: a colmare la lacuna normativa senza dover ricorrere, cosa che non abbiamo mai fatto passare, ad esempio, qui a San Gimignano, alla presa in giro dell’istituzione dei registri comunali. Che servivano a piantare la bandiera dell’ideologia ma che, purtroppo e nei fatti, non allargavano di un cm il campo dei diritti, non rendevano esigibili ed opponibili a terzi nessun diritto tra coppie dello stesso sesso. Che invece è da sempre quello che ci interessa e per cui, nel nostro piccolo lavoriamo. 

La politica nazionale è chiamata a recuperare sul terreno della propria credibilità non solo sul fronte dell'abbattimento degli odiosi privilegi fuori dal tempo, ma anche se dimostra di essere in grado di registrare e codificare con lungimiranza i cambiamenti sociali in atto, dando certezze, libertà, diritti e doveri per tutti.

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