venerdì 5 dicembre 2008

Bush: "sulla guerra in Iraq ho sbagliato"....

E’ davvero incredibile!
Una mattina il Presidente uscente degli Stati Uniti W.Bush si alza e dice: “l'Iraq è stato un errore. Il più grande rimpianto di tutta la mia presidenza è certamente il fallimento dell'Intelligence sull'Iraq”. George W. Bush tira le somme della sua amministrazione durante un’intervista alla ABC.
Un mea culpa che arriva in ritardo ma che fa luce su alcuni importanti aspetti, come le informazioni di intelligence infondate circa la caccia alle armi di distruzione di massa, di uno dei conflitti più controversi delle storia recente. “Credo di essere stato impreparato alla guerra - ha detto Bush -. Non avevo fatto campagna elettorale dicendo ‘Per favore votatemi, io riuscirò a gestire un attacco’. Insomma non mi aspettavo un guerra”. Questo, francamente, è l’unico aspetto sul quale non mi sento di colpevolizzarlo.
E tuttavia la sua risposta, e quella del Governo italiano, poteva essere assai diversa. Bush continua ad analizzare la situazione con il “senno del poi” e spiega: “Molta gente si è giocata la reputazione su questo dicendo che le armi di distruzione di massa erano un motivo valido per rimuovere Saddam Hussein. Non posso disfare quello che è stato fatto”.

Può essere una magra consolazione per chi, come me, partecipò a Roma il 15 febbraio 2003 alla grande manifestazione planetaria per il ‘no’ alla guerra all’Iraq, giudicata allora come inopportuna, insensata e fondata su ragioni ambigue e poco credibili.

Soprattutto non può esserlo per chi ha visto morire i propri figli o i propri cari, siano stati civili iracheni o militari americani o di altre nazionalità. Le armi di distruzione di massa, l’unilateralismo, il primato dell’America, la democrazia d’esportazione che si presenta con le bombe sono stati i “must” di una tragica campagna di guerra che ha rimosso sì Saddam Hussein (e quando un tiranno cade il mondo democratico plaude) ma che non ha fornito allo stesso tempo, data l’inconsistenza delle premesse, una soluzione più efficace, democratica e popolare al quel paese ed ai suoi abitanti. Tutt’altro.
Semmai ha inasprito conflitti latenti, anche tra culture, seminando odio e distruzione.

Oggi, fortunatamente, assistiamo ad una svolta nella politica estera degli Usa, nell'ottica del multilateralismo. Tra le linee guida del presidente eletto, Barack Obama, c’è la priorità di un’uscita rapida dall’Iraq a fronte di un impegno maggiore nell’opera di ricostruzione dell'Afghanistan.

“Not in my name”: a maggiore ragione, oggi più di ieri, rifaccio mio lo slogan che utilizzammo allora contro la guerra in Iraq.

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