mercoledì 22 marzo 2017

ADDIO AD ALFREDO REICHLIN

Voglio ricordare prima di tutto il compagno partigiano delle Brigate Garibaldi, esponente di quella straordinaria generazione che si avvicinò alla politica passando dall'esperienza della Resistenza.
Mi hanno sempre colpito di Alfredo Reichlin due aspetti.
Il primo: la sua modernità. Lontano anni luce dalle faziosità e dalle tifoserie che caratterizzano oggi giorno le appartenenze politiche, capace di analisi profonde come era nella scuola del PCI. Era, a mio avviso, costantemente in grado di guardare più in là della fase contingente, non limitandosi alla critica fine a se stessa ma accompagnandola sempre ad una proposta politica e programmatica. Ricordo, negli anni in cui iniziavo ad occuparmi di politica, i suoi scritti dallo sguardo innovativo, spesso con Giorgio Ruffolo, sul ruolo della sinistra nel mondo avviato alla globalizzazione. A dispetto della sua età una mente aperta, libera, sempre autocritica e al tempo stesso propositiva. In confronto a tanti replicanti di oggi, modernissimo.
Il secondo: l'umiltà. L'umiltà dell'uomo di sinistra, che non smania per la carriera, che sa stare al suo posto, che sa che c'è una fase da vivere in prima persona ed una fase da guardare in seconda fila. Tutto ciò senza mai rinunciare al proprio contributo culturale, politico e programmatico. Un gigante rispetto al carrierismo odierno.
Infine, su tutto, i valori saldi, di una sinistra autenticamernte riformista.
Ricordo del sospiro di sollievo che tirai, nel 2007, quando Reichlin fu indicato presidente della commissione che avrebbe scritto il Manifesto dei Valori del Partito Democratico. Ci sentivamo in buone mani, e fu così.
Un Partito a cui, non poteva essere diversamente per la sua figura, non ha mai risparmiato critiche e suggerimenti gratuiti.
Ecco: oggi non riproporrò il suo ultimo articolo ("Non lasciamo la sinistra sotto le macerie"), ma lo saluto con l'invito a rileggere quel Manifesto dei Valori del Partito Democratico. E ad esserne conseguenti.

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