mercoledì 4 giugno 2014

#sipuòfare! Delle elezioni sopra e sotto le torri



Ripreso fiato tra lavoro e campagna elettorale, si può tornare a dire “un paio di cose” sul voto di domenica scorsa. In Europa come a San Gimignano. 

Con un avvertimento a chi legge: ho scritto tanto e, probabilmente, c’è anche qualche bischerata. 
Ma il blog aperto nel 2008 mi serve proprio a questo: a fare con più calma. 
Per la furia c’è twitter o facebook.
Per chi tempo non ne ha, può scegliere quale delle tre parti leggere.

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Dunque: la vittoria alle europee è state netta quanto inaspettata nelle proporzioni.
Che lo sia stata così, in un voto tradizionalmente lontano dal sentire degli italiani, la rende ancor più straordinaria.
Mi limito a segnalare l’analisi più comprensibile, almeno nei numeri, fatta del voto europeo.
Come al solito quella del prof D’Alimonte. Eccola qui
Che si spiega già nel titolo: alta fedeltà del Pd e nuovi voti.
Riducendosi rispetto alle politiche 2013 il numero dei votanti (come sempre accade tra politiche ed europee) il Pd di Renzi ha saputo convincere “i suoi” e attrarre nuovi voti: dal centro in particolar modo ma anche, seppure in misura minore, dal M5S e da Fi.
E, dico finalmente, secondo le analisi dei flussi elettorali, il Pd risulta primo partito tra gli under 40 e, secondo Swg, e nel mondo della piccola imprenditoria che, appena un anno fa disposto a dare fiducia a Grillo, quest’anno sceglie per primo il Pd.

Ho provato finalmente un po' di soddisfazione in termini politici quando, lunedì mattina della settima scorsa in viaggio verso Firenze, ho ascoltato al giornale radio i risultati incredibili del voto europeo.
Ho ripensato all’anno fatto da segretario locale dei ds, quando maturammo la scelta di chiudere il partito per farne non uno in più, ma uno nuovo. Più moderno. E con la testa che guardasse avanti e non indietro. E poi ai tre anni da segretario Pd delle torri, insieme a tante persone, a tutto quel tempo impiegato per far passare un’idea nuova (e io spero sempre più innovativa) della sinistra.

Ho ripensato al Veltroni del 2008, all’errore fatto nel non coltivare quel risultato (34%) nonostante la sconfitta (più che meritata) alle elezioni politiche dopo il disastro dell’Unione.
A quando, accompagnandolo in macchina con la mia focus da San Gimignano a Empoli, dopo le sue dimissioni gli spiegavo quanto avesse fatto male ad andarsene e, soprattutto, ad andarsene in quel modo: senza ‘cattiveria’, senza porre questioni dirimenti, senza rendere chiaro al popolo democratico quale era la sua opzione politica e quale quella di chi, si diceva allora, ‘non lo faceva lavorare’. Un trauma. Da cui sono derivati poi tutti i disastri nazionali successivi. Ho ripensato a tutto quello che ci è stato dopo, fino ai troiai imbarazzanti e devastanti della non vittoria alle politiche, al siluramento di Prodi, al Governo Letta e via con tutti gli altri imbarazzi che qui sul territorio abbiamo dovuto subire da Roma…. Vergognosi.

“Allora si può fare davvero”, mi sono detto.
Come me l’ero detto nel 2008, pur avendo perso ma considerando quel 34% una dimostrazione di una strada corretta. Nuova certamente, ma non una via cieca.
Aveva ragione Veltroni?
Credo proprio di sì. L’ho sempre pensato, non solo quando abbiamo chiuso i ds, ma soprattutto nella convinta costruzione del Pd a cui, almeno a livello territoriale, ho dedicato alcuni anni non solo per i compiti che mi sono stati affidati.
La speranza insomma, ma vorrei dire meglio la volontà,  di un’idea di sinistra riformista (parola vuota che da sola non vuol dire nulla) ma che invece si sostanzia se rappresenta un’istanza perenne di cambiamento e di progresso, se si pone l’idea di una sinistra grande (cioè senza rinchiudersi nei fortini rassicuranti delle ideologie e delle bandiere e in cui possono, non senza dibattito, convivere posizioni anche più radicali, ed il tema di come si prendono le decisioni è ancora tutto lì al nostro interno, momentaneamente messo da parte dal decisionismo di Matteo e dai numeri che ha), se si fa carico di un progetto nazionale (il #sipuòfare o il #cambiaverso per capirci e semplificando), se si pone di rappresentare un rinnovamento democratico per l’Italia, anche attraverso l’innovazione del sistema politico (cioè i partiti e come funzionano) e di quello (spinoso ma non eludibile) del sistema istituzionale che necessita di un aggiornamento.

Insomma: una sinistra moderna. Che discute certo, ma poi decide, si dà dei tempi sulla base di priorità ed obiettivi. E li fa sapere, senza giaguari da smacchiare, ma dicendo quello che vuol fare.
Una sinistra riformista che sta sulla frontiera dei cambiamenti sociali, economici e politici.
Una sinistra che, per questo, rischia di più. 
Anche suggerendo e praticando riforme mai fatte.
Riformismo è rischio, la conservazione è più rassicurante.
Ma la sinistra per dirsi riformista o è questo, e fa rima con cambiamento (che non è necessariamente rivoluzione e violenza), con progresso, con riforme, con comunità che porta giustizia sociale, più libertà, diritti e nuove opportunità, o non è.

Senza farla troppo lunga: è tutto questo il Pd di Matteo Renzi, così come immaginato al Lingotto? Non lo so e non sta sicuramente a me dirlo. Ma il risultato è, da una parte, figlio di questa impostazione, dall’altra incoraggiamento a perseguire una strada che è stata imboccata ma non ancora percorsa tutta.
Quel che mi appare chiarissimo è che questa è (ancora) la vittoria di Renzi più che del Pd.
Nel senso che ancora dubito che tutto il Pd abbia fatto propria questa visione. 
Molto, per adesso, c’è del personalismo e del carisma di Matteo. 

Una cosa è certa, almeno per me: quando il Pd ha praticato innovazione è quando è riuscito meglio. A tutti i livelli.
La sinistra, almeno quella che il Pd vuole rappresentare, la deve smetter di avere paura della modernità, e di arroccarsi nel bel tempo che fu. Che fu e che, oggi, non è più.
Grillo ha perso, non solo per un messaggio di paura o per i suoi toni esasperati e francamente beceri, ma proprio perché anche l’elettorato di Grillo, a suo modo, esprime un sentimento di innovazione. 
Ma se il Pd fa il suo mestiere, quello per cui è nato e per cui vale lavorare per una sinistra riformista e moderna in Italia, gli toglie una parte di terreno sotto i piedi, come è accaduto. 
Sta qui, secondo me, la chiave del successo di Renzi. Non perché l’elettorato di grillo sia di destra o di sinistra, è sicuramente un elettorato più complesso e, con rispetto, dico che ancora rappresenta sempre il 20% degli italiani che votano. (PS: anche se, devo dire, che il “o noi o loro!”, ha me ha saputo parecchio di destra…e poi, comunque, qualcuno ci dovrà spiegare perché in Italia si vuol fare il vino in purezza 100%, senza confrontarsi con i vini rosè dei bersani e dei renzi di turno, e in Europa si accettano disciplinari assai più annacquati, per stare in una metafora agricola cara alle nostre terre, e si ritiene invece accettabile ragionare, ovviamente non in streaming, con l’Ukip inglese di Farange, per dirne uno…). Andiamo oltre. Senza scomodare nessuno.

Il principale merito di Renzi (mi pare troppo presto per dire pienamente ‘del Pd’), a mio avviso, è stato proprio questo: rispolverare, senza citarla, la ‘vocazione maggioritaria’ di veltroniana memoria (che tanto fa arrabbiare una certa parte della sinistra) ma che non significa far da soli ma parlare a tutta l’Italia, e porsi da riformista contro i conservatori ed i conservatorismi. Sostanziando questo atteggiamento con proposte comprensibili, seppur discutibili quanto si vuole, ma con proposte. Avessimo avuto qualche anno addietro il pensiero politico di Veltroni con la determinazione di Renzi, avremmo governato già dal 2012, dopo  la caduta di Silvio e con la legittimazione del voto popolare. Ma la storia, si sa, non si fa con i ‘se’ e con i ‘ma’. Figuriamoci la politica.

Ma la storia sa anche essere interessante.
Mi soffermo su un paio di altre considerazioni che le elezioni europee ci consegnano.
Intanto, va detto che anche 5 anni fa, pur nell’arretramento complessivo del campo socialdemocratico il Pd italiano, con 8.007.854 voti e il 26,1% su scala nazionale, con 21 eurodeputati, si ritrovava, seppur di poco, il primo partito di centrosinistra in Europa, a fronte di cali molto più drastici in diversi paesi.
Cinque anni fa l’Europa uscì dalle elezioni ancora più a destra dei precedenti cinque.
Oggi scopre un sostanziale pareggio tra le principali famiglie politiche europee, il PPE ed il PSE, ma sono considerevolmente cresciute le forze euroscettiche, nazionaliste e xenofobe rispetto a soli cinque anni precedenti. Oltre ad una astensione che resta impressionante, rispetto alla quale il dato italiano spicca invece per partecipazione…

L’astensione, seppur fisiologica nel voto europeo, la leggo in due modi: 1) un’Europa sempre più difficile da comprendere (sono d’accordo con quanto scrive Baglioni nel dossier de La voce.info  e la complessità, si sa,  allontana i cittadini; 2) soprattutto la necessità di politiche di risanamento dei debiti pubblici che non ammazzino le persone e politiche per lo sviluppo che mettano al centro lavoro, investimenti, diritti, ambiente ed energia.

E bene: la storia mette le mani di Renzi e del Pd, dell’Italia Paese fondatore della UE, Paese deriso anche per colpa dell’inconcludenza berlusconiana al governo, la possibilità di guidare questo processo di riforma.
Sì perché Renzi è il leader riformista  più forte in Europa così come uscito dal voto europeo, alla guida del più forte partito riformista in Europa, col suo 40,8% nonché del principale partito che esprimere la maggioranza dei parlamentari all’interno del più grande gruppo progressista nel parlamento Europeo, cioè dentro il PSE. Che se è vero che non è arrivato primo, per demerito soprattutto questa volta di Francia Germania e Spagna, c’è bisogno di lui da parte del PPE per garantire un governo all’Europa.

Personalmente la trovo un’occasione (ed una coincidenza) oltre che fortunatissima anche straordinaria, da non sprecare. Renzi mi sembra consapevole. Io ci spero. Convinto che, tra un nord Europa che chiede meno solidarietà ed un sud Europa che chiede meno austerità, la via maestra stia nel mezzo a queste due pulsioni, attraverso le politiche per il risanamento comune e per lo sviluppo che ho detto sopra. L’Italia ha questa occasione, difficilissima, ma non può non giocarsela.
Sapendo che in Europa non servono gli effetti speciali, le battute, le corna o l’improvvisazione (l’ho sperimentato personalmente le volte che per lavoro mi sono recato a Bruxelles), ma competenza e conoscenza dei dossier.
A me che ho fatto anche un po’ di studi del diritto europeo e della costruzione dell’integrazione europea appare come una ‘congiunzione astrale’ irripetibile. L’Italia, dopo questo voto, si candida a Paese che può guidare il processo, necessario, di ricostruzione europea.
Serve anche alla Merkel, che se è vero che ha rivinto il campionato tedesco, seppure di poco, in Champions League è andata malissimo. Vittoriosa a Berlino ma sempre meno in Europa.
Il 2 luglio inizia il semestre europeo a guida italiana.
La possibilità di dettare l’agenda, fattore decisivo in politica, ci farà capire subito di che panni ci vestiamo.


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Il voto a San Gimignano

Per la prima volta da quando seguo la politica, almeno a livello locale e mi riferisco ovviamente al Pd, questo ha avuto un effetto, per quanto indiretto ma positivo dal livello nazionale.
Il mitico “effetto traino”, quello che ho sempre sentito evocare nelle fumose stanze di quando mi sono avvicinato alla politica ma che, inesorabilmente, beneficiava sempre gli altri!
A questo giro si può dire che l’effetto Renzi-Pd (l’ordine non è casuale come ho scritto prima) ha dato una mano anche sui territori, anche a livello locale (tranne le classiche eccezioni che confermano la regola, anche vicino a noi, vedi Certaldo e vedi Colle… Aggiungo che la valdelsa rischia un ribaltamento mai visto nella storia. Conosco molto bene sia la vicenda di Certaldo, frutto di primarie avvelenate, e quella di Colle, frutto di miopia e manovre di un gruppo dirigente che, forse, ha remato al suo stesso interno in due direzioni opposte l'una all'insaputa dell'altra, facendo nascere la lista civica trasversale che tutti conosciamo e che pure -domandiamoci perché?- gode di così tanta stima. Se il voto dovesse confermare un passaggio di testimone in entrambi i comuni e, soprattutto, in quello che fu il primo Comune socialista della Toscana ed uno dei primi nella storia d’Italia come Colle, avremmo una Valdelsa, senese ma anche fiorentina, a geografia variabile. In cui l’unico Sindaco al secondo mandato sarebbe il nostro, quello di San Gimignano, e con una responsabilità in più per la nostra città per dare alla valdelsa una guida ed una visione comune. E con qualche problema in più, immagino, nella maturazione di scelte condivise).

Grazie anche a questo così detto “traino nazionale”, ma soprattutto grazie ai Sangimignanesi il centrosinistra ha vinto anche a San Gimignano, così come avvenuto in larga parte d’Italia. E le grandi vittoria chiamano più responsabilità e sempre maggiore impegno.

Al netto di questo aspetto di “traino”, ritengo che le motivazioni siano infatti e soprattutto nostre, locali. 
In sintesi:

Una coalizione vincente. La coalizione tra PD e SEL ottiene il 74,8% dei consensi, pari a 3.291 voti (206 voti in più del 2009 quando a votare furono in 4.903 a fronte dei 4.643 sangimignanesi recatisi alle urne domenica scorsa). Una coalizione (“Centrosinistra per San Gimignano”) che ha guadagnato un +8,8% rispetto al 2009.
Un risultato straordinario e per nulla scontato alla vigilia del voto, dopo 5 anni di legislatura tra i più travagliati della storia della Repubblica per effetto della crisi economica, dei tagli ai trasferimenti statali e dei ripetuti attacchi all’autonomia degli enti locali.

PD in forte crescita più il contributo di SEL. Un’affermazione frutto di una solida
collaborazione politica con SEL e della marcata ripresa del PD a livello nazionale e locale.
A San Gimignano, infatti, il PD ottiene alle europee il 66,42% dei consensi (2.990 voti), che è il
terzo miglior risultato dei democratici in provincia di Siena, dopo Castiglion d’Orcia e Chiusi.
A livello locale il 74,8%, pari a 3.291 voti, ottenuto dal “Centrosinistra per San Gimignano” a
trazione PD è anch’essa la terza miglior percentuale della provincia (dietro soltanto a San Casciano
dei Bagni e Radicofani, fatta eccezione dei 100% di Gaiole in Chianti, Radda in Chianti e
Chiusdino dove si è presentata una sola lista) e la percentuale più alta tra i comuni sopra i 5.000
abitanti.

Il Pd ed il centrosinistra avanzano, le opposizioni arretrano tutte. E’ questo il dato politico per me più evidente sotto le torri. Le opposizioni a San Gimignano, infatti, arretrano tutte rispetto a 5 anni fa, come nel caso della Lista Civica (dimezzata al 6,6%, era al 10,8% nel 2009, segno evidente che il progetto ormai ha il fiato corto e che i passaggi transfrontalieri non pagano) ed il Centrodestra (letteralmente crollato al 4,4%, era al 14,2% nel 2009). Oppure rispetto al dato delle Europee, come nel caso del neonato M5S che scende al 14,1% dal 15,3% del voto per Bruxelles.
A livello locale il Pd ed il centrosinistra hanno fatto ciò che ha fatto il Pd di Renzi a livello nazionale: ha tenuto i proprio voti e li ha sottratti alle opposizioni.
La differenza in termini assoluti di voti tra le europee e le comunali è positiva, e segna un +211 voti. 
Sarà stato un fatto di fiducia, capacità e competenze delle persone, come sempre più è a livello locale, tale da non ritenere competitive e meritevoli di essere premiate le alternative, ma resto convinto che tanta differenza l’abbia fatta soprattutto la proposta per San Gimignano, il modo di costruirla e poi di porla.

Un programma completo per dare risposte e progetti ai cittadini. Questa è stata per me la principale motivazione di una così netta vittoria. In una campagna che a volte ho trovato sterile di idee e molto polemica sui “ciccioli” (roba da cui mi tengo lontano da sempre), amplificati dal bar sport digitale che è FB, io credo che i Sangimignanesi abbiamo invece apprezzato il programma del centrosinistra.
Questo almeno è quello che mi sono impegnato a fare in campagne elettorale: spiegare che c’era e c’è un'idea di città e di Comune ed un programma realistico, attento a dare risposte ai bisogni dei cittadini, oltre a contenere progetti per tutta San Gimignano.
Durante la campagna elettorale mi sono impegnato proprio a marcare questa differenza di visione:
la volontà di governarla tutta questa città e tutto insieme questo territorio, da Badia a Elmi a
Castelsangimignano, oltre ogni settarismo e visione parziale, senza pensare ad una San Gimignano
da vetrina e ad una dimentica.
I Sangimignanesi hanno apprezzato questa proposta, concreta e rivolta a tutta la comunità, anche
perché costruita in modo aperto, con metodi partecipativi, attraverso tavoli tematici che hanno
ulteriormente arricchito l’esperienza di buongoverno della coalizione uscente.
Metodi che spero proprio il Pd e l’Amministrazione vogliano fare definitivamente propri: la domanda, per quanto spesso indistinta e generica, di cambiamento che si percepisce nel Paese, deve trovare una sua declinazione anche in sangimignanese. Per me significa tradurre questa domanda in  tre risposte guida: innovazione, trasparenza, partecipazione.

Un mandato pieno per il nostro Sindaco. Si tratta di un successo e di un mandato pieno anche per Giacomo, nostro Sindaco uscente, frutto da un lato dell’impegno assiduo e della presenza costante di questi 5 anni e, dall’altro, dei risultati ottenuti sotto tanti punti di vista. Per me il principale di questi, al di là di tante cose roboanti, quello per cui ci siamo battuti anche dai banchi del Consiglio con i miei colleghi, è quello di aver fatto sì che San Gimignano non tornasse indietro ed anzi reggesse meglio di altre realtà una fase economica negativa per tutti (tradotto: mantenuti i servizi ai cittadini, in alcuni casi rafforzati, sostegno alle politiche sociali, imposte locali basse, livelli di investimenti da ‘grande comune’ per tutto il territorio, centro storico e frazioni…).

Poi ci voglio mettere anche una lista di candidati al Consiglio che si è dimostrata capace di intercettare molti consensi, competitiva e capace. Per esserci passato da segretario 5 anni fa, dovendo gestire il post elezioni e sapendo la delusione che segue ad una mancata elezione, qui mi sento soprattutto di dire grazie a chi non è stato eletto. Per l’impegno costante e la personale e positiva esperienza messa a disposizione della coalizione e dei cittadini. Valori e capacità a cui non vorrei rinunciassimo.
Così come faccio gli auguri ai neo eletti delle opposizioni. 
La mia idea di politica l’ho ri-spiegata in un post in campagna elettorale, sicché non credo che suoni artificioso questo mio augurio. 
Quanto a Sel la mia opinione è che c’è tutto lo spazio politico, visto il risultato ottenuto a livello di coalizione e di singoli, per recuperare in Giunta con una presenza istituzionale. Così come sulla Giunta mi aspetto una composizione che tenga conto del risultato pieno ottenuto, del fatto che si è ad un secondo mandato consecutivo, che sia all’altezza dell’impegno dei numeri ottenuti, che sia anche un investimento politico sul futuro (non intendo solo sul piano anagrafico), razionale nell’organizzazione delle deleghe come abbiamo scritto nel programma (cultura, attività produttive, agricoltura e energia e ambiente necessitano di ancora più cura nella prossima legislatura), senza fare di certi aspetti (come tempo e ‘appartenenze’ varie…) elementi decisivi delle scelte. Insomma, bisogna fare buon uso della vittoria che, come diceva Polibio nelle ‘Storie’, a volte è più complicato del vincere stesso.

Mi soffermo poi su alcune, ultime, considerazioni forse marginali ma che vanno fatte.
Intanto, in tempi di antipolitica e di vaffa indistinti, le comunali confermano il centrosinistra sopra la soglia dei 3000 voti (a questo giro 3.201 per la precisione), che confermano una forte presa della nostra parte politica sulla realtà sangimignanese, che rappresentano un altrettanto importante patrimonio di consenso da curare e coltivare e da non disperdere, a cui dare continuamente attenzioni, soluzioni, risposte nell’interesse generale. Per me questa era e resta la sfida più importante, la prima missione e la più grande responsabilità verso i sangimignanesi e, aggiungo poi, verso la storia politica della nostra comunità.
La responsabilità di questo dato la sentivo addosso 5 anni fa e la risento addosso anche oggi, anche se non avrò compiti esecutivi, ma comunque per quello che potrò fare e nelle vesti che sarò chiamato a ricoprire. Che è il frutto di un lavoro che viene da lontano, di tante battaglie, di uomini e donne capaci di mirare al bene di San Gimignano nel tempo, di guardare oltre il proprio naso o la scadenza del proprio mandato amministrativo.
Non va tutto bene, ci sono molte cose da aggiustare, lo so bene e in alcuni casi le ho pure dette, so che c’è il quotidiano da gestire ma vorrei che questa tensione a pensare oltre i propri cinque anni non si smarrisse.

Infine, poiché per formazione e per carattere non sono stato abituato a nascondere i problemi, spero che il netto risultato a livello di elezioni europee e l’altrettanto netta affermazione del Pd a livello di elezioni comunali non facciano perdere, con molto senso pratico, la cognizione che ancora le cose nel Pd non funzionano del tutto, a quasi 8 anni di distanza dalla sua fondazione. 
Non parlo solo del nazionale, qui parlo di noi e del Pd delle torri. 
Le ragioni che mi hanno portato ad una astensione all’ultimo congresso locale, non certo per battaglie sulle persone che non mi interessano, ma per mancanza a mio avviso di strategie, proposte e messaggi politici chiari e leggibili dai nostri cittadini, insomma di un pensiero e di metodi nostri, per me restano piuttosto aperti. La vittoria netta spero non serva ad aggirare i problemi, anzi ad affrontarli meglio e con chiarezza. Il PD da brillante idea, capace anche di vincere come ha dimostrato Renzi con le europee, deve farsi partito, soggetto politico coeso, abbandonando de-fi-ni-ti-va-men-te “le casacche” di appartenenza e coltivando quella vocazione maggioritaria di cui ho detto che è, in primis, coltivare idee e soluzioni per l’Italia e per le comunità che si amministrano.


***
Quanto a me...
Per quanto mi riguarda, parlo sempre malvolentieri di me, voglio dire grazie ai 424 sangimignanesi che mi hanno dato fiducia.
Confesso che non me lo aspettavo, così come confesso di non averci capito nulla alla vigilia dove non riuscivo a leggere segnali che mi apparivano molto contrastanti.
Il risultato mi responsabilizza ancora di più, ce la metterò tutta per esserne all’altezza.
La gratificazione più grande è quando penso che questo risultato è stato ottenuto senza avere ruoli esecutivi, assessorati o altro, ma solo su aspetti politici e, forse, anche personali.
Anche per questo continuerò a mettercela di più di quanto ho fatto fin qui.
Mantenendo un’autonomia di pensiero, avendo San Gimignano e la Val d’Elsa nel cuore per esserci nato e cresciuto, e prendendo gli unici impegni che davvero sono in grado di prendere: di restare come sono, con i piedi per terra, di non cambiare, di ricordarmi di dove vengo e che la politica è prima di tutto servizio, che si può vivere per la politica (che è di tutti) ma non di politica (che se no serve solo a pochi); e di continuare a studiare e ad imparare, che è la cosa più importante.

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