giovedì 10 luglio 2008

Show-business sul palco

Trovo e posto questo commento di Curzio Maltese. Curzio è una mente lucida e brillante, a volte caustica. Lo posto perchè mi sembra contenga alcune verità. Forse, però, pur non condividendo toni e modalità della manifestazione di piazza Navona, una cosa non mi convince: sì, è vero, se inviti Grillo, il massimo che ti puoi aspettare è un "vaffa", il suoi "marchio" di fabbrica. Tuttavia, a volte, da qualche parte si dovrà pur cominciare...Concordo sul finale, è uno dei motivi del mio impegno. "È la politica che cambia le cose, e quella non c'è più". Giusto! A noi ritrovarla. Buona lettura.

Manifestazioni come quella di Piazza Navona dell'altro giorno sono show business. Servono a sfogare i sentimenti di un pubblico di spettatori, servono ai protagonisti a vendere merci sul mercato: libri, dvd, spettacoli teatrali. Non servono a cambiare le cose. Quindi non sono politica. I guai cominciano se si scambia lo show business per politica e lo si prende sul serio. Quando Beppe Grillo o Sabina Guzzanti o altri comici sanno di dover intervenire a una manifestazione pubblica, riuniscono i loro autori e chiedono un "pezzo" efficace. Un testo per una riunione politica è diverso da un testo comico per il teatro, ma segue regole rigide. Non dev'essere serio ma neppure troppo divertente: sarebbe un errore. Si bruciano belle battute del repertorio, che è giusto riservare al pubblico pagante dei teatri e dei palazzetti. Oltretutto, se la gente ride troppo, pensa. E se pensa non si scalda abbastanza, non urla. Bisogna dunque tenere alto il livello dell'emozione e "spararle grosse". Contro un bersaglio non scontato. Altrimenti non si fa notizia. Occorre anche valutare se alla manifestazione parteciperanno altri comici, come nel caso di piazza Navona. In tal caso il livello di fuoco aumenta, perché si corre il rischio di essere oscurati dalla concorrenza, in gergo televisivo "impallati". La logica è simile a quella che si segue per lanciare un film o un libro in una comparsata televisiva importante, uno show del sabato sera o il festival di Sanremo. È inutile parlare del prodotto in sé, perché il pubblico se lo aspetta e si perde l'effetto sorpresa. Benigni, quando doveva lanciare un film, non andava a parlare del film da Baudo o dalla Carrà ma s'inventava memorabili performances, tipo toccare gli attributi di Baudo o palpare le curve della Raffaella nazionale, con gran successo di promozione. Non tutti naturalmente, parlando di sesso o di altri temi "bassi" - penso al magnifico "Inno del corpo sciolto" - mostrano il talento di poeta contadino di Roberto. Le allusioni sessuali comunque funzionano sempre, soprattutto in Italia. Un altro trucco è attaccare un bersaglio imprevisto e in teoria intoccabile. Insomma, se Grillo o la Guzzanti si fossero limitati ad attaccare Berlusconi, nessuno ne avrebbe parlato. Per questo, hanno spostato l'obiettivo sul presidente della Repubblica e sul Papa.
Nulla è lasciato al caso. Si tratta di strategie calcolate, testi scritti e riscritti, trucchi del mestiere di grandi teatranti. Stiamo parlando di professionisti. Dello spettacolo. Scambiati per professionisti della politica. Da un punto di vista morale saranno discutibili. Ma che c'entrano la morale o la politica? In Italia, nel volgere di pochi secoli, si è finalmente capito che etica e politica sono separate. Per la verità, lo si è capito fin troppo. Un giorno si capirà che anche politica e spettacolo sono campi separati. Per ora, il giorno è lontano. Gli eventi creati di Beppe Grillo, dai Vaffa Day in poi, non sono azioni politiche. Il fine non è cambiare le cose, ma accrescere la popolarità del protagonista. Basterebbe un po' di lucida attenzione per comprenderlo. Purtroppo, chi vi partecipa e chi li osteggia non brilla in lucidità. La maggior parte dei bersagli di Grillo sono irrilevanti, innocui oppure marginali. Che importanza volete che abbia la presenza di diciotto parlamentari condannati in Parlamento, su mille, quando ce ne sono stati in passato due, tre, cinque volte tanti e 200 inquisiti? D'altra parte se la presenza in politica di un pregiudicato fosse un tema così importante, i seguaci di Grillo non si affiderebbero a lui, che ha una condanna definitiva e ricopre un ruolo politico, per quanto improprio, assai più importante dei diciotto messi assieme. Lo stesso discorso vale per altri obiettivi, come il doppio mandato, l'ordine dei giornalisti, i finanziamenti ai giornali di partito. Tutte storture, tutte battaglie condivisibili, s'intende, ma quisquilie. Nel caso del referendum sulla legge Gasparri non si tratta di una quisquilia, ma è ancora peggio. È un suicidio politico. Se si votasse oggi, quel referendum sarebbe una catastrofe per l'opposizione e un trionfo per Berlusconi. Ma la cosa più probabile è che il referendum non si faccia, per fortuna. Nessuna delle altre proposte avrà poi uno sbocco politico. Che senso ha dunque sbattersi tanto? Senso politico, nessuno. Ma il comico ha enormemente aumentato il proprio seguito, pubblico, clientela. Dico subito che trovo indegno e ridicolo ogni moralismo in proposito. Grillo è un uomo di spettacolo, è grottesco giudicarlo sulla base di un metro politico o etico. In più, se guadagna tanto, se lo merita. Ha fatto scelte coraggiose che gli hanno impedito di accedere alla principale fonte di arricchimento degli attori, la televisione pubblica e privata. È giusto che si cerchi altre audience. Il blog è la principale alternativa e lui lo ha intuito fra i primi. Ma se fosse un po' più sincero, dovrebbe ammettere che il suo blog non è tanto uno strumento di lotta politica e confronto di opinioni (peraltro, sono tutti d'accordo) quanto un fenomenale punto vendita di merci autoprodotte. O quanto meno è l'uno e l'altro. Grillo è dotato di un altro talento tipico dei comici, la scelta dei tempi. I suoi interventi sono ottimamente calibrati. Non frequenti, non distanti. Appena calano l'attenzione e le vendite, ecco l'evento, il vaffanculo col botto mediatico. Nelle settimane successive, le vendite e la popolarità schizzeranno di nuovo alle stelle. Gli altri hanno capito e lo imitano. Oggi la frase che gli agenti di spettacolo si sentono ripetere più spesso dagli attori, ma ormai perfino da registi, scrittori e professori di diritto comparato col saggio in uscita, è "facciamo una cosa alla Grillo, facciamo un gran casino". S'intende, per lanciare il prodotto. I più avveduti o i più aristocratici, come Nanni Moretti, si sono sottratti per tempo alla trappola. L'interesse delle persone di spettacolo a usare eventi politici a fini di popolarità e commerciali è insomma piuttosto evidente. Come dovrebbero essere chiare le analogie di meccanismo e di linguaggio fra queste tecniche e il populismo berlusconiano. Misteriosa è invece la ragione per cui i politici e gli organizzatori si prestino a queste operazioni di marketing, dalle quali hanno tutto da perdere. Paolo Flores ha il grande merito di aver avviato con la manifestazione del Palavobis del 2002 la stagione dei movimenti che, negli anni successivi, riempì le piazze italiane di milioni di persone. Da storico e filosofo di valore, può stimare lui stesso l'abissale distanza che separa la sobria e feconda forza politica del Palavobis di allora con la sguaiata impotenza di Piazza Navona. L'ultima adunata non avvierà una stagione di protesta. Al contrario, può aver contribuito a stroncarla sul nascere. I toni, i modi, l'eco mediatica per quanto parziale e magari ingiusta dell'evento, hanno contribuito a rafforzare il disegno del "nemico" berlusconiano. Il quale da anni cerca di rovesciare la questione centrale della criminalità delle classi dirigenti italiane nel suo contrario, l'emarginazione fra gli estremisti di chi difende la magistratura e i valori della Costituzione. Con gli insulti di piazza Navona gli si è reso un enorme favore. Quanto ad Antonio Di Pietro, non gode forse degli stessi strumenti culturali di Flores, ma ha di sicuro fiuto politico. Capirà prima o poi che la strada in cui si è messo porta a un finale scontato: Grillo in cima alle classifiche dei best sellers e l'Italia dei Valori allo 0,5 per cento dei voti. Perché prima o poi gli toccherà dissociarsi, anzi ha già cominciato, e sarà bollato come codardo e venduto. Ma in questo scambio di favori ed equivoci fra primedonne, l'unico aspetto che davvero intristisce è l'inganno del pubblico. Le persone che sono andate a Piazza Navona da cittadini e si sono ritrovati spettatori, come sempre. Hanno applaudito un idolo che attaccava un altro idolo. Portando a casa la sera il tacito, amaro dubbio che le cose non cambieranno. E come potrebbero? A colpi di eventi? Gli show servono a consolare, non a cambiare la realtà. Lo show di Berlusconi, che rimane l'inventore del metodo, si rappresenta da quindici anni e l'Italia è il paese meno cambiato al mondo. Soltanto ogni giorno un po' più volgare, ignorante e incattivito. È la politica che cambia le cose, e quella non c'è più. (10 luglio 2008)

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