mercoledì 12 agosto 2009

Per una democrazia esigente

Non l'ho ancora letto. L'ho solo scorso velocemente. Il documento "PER UNA DEMOCRAZIA ESIGENTE" è stato promosso da Gianni Cuperlo e da altri esponenti del Pd a vario titolo, ordine e grado, a sostegno della candidatura di Pier Luigi Bersani a segretario del Pd. Dalla scorsa dei titoli sembra puntare nella direzione giusta. Lo leggo insieme a voi e vi dirò se aderisco.
LAICITA', UGUAGLIANZA, CIVISMO

L’Italia che sarà.

Un partito è molte cose, la sua cultura, il suo programma, la leadership. Maprima di tutto è una comunità di donne e uomini che si riconosce in un’idea del futuro.

E’ sempre stato così. I partiti capaci di durare nel tempo hanno convinto popoli e nazioni della possibilità di allargare le libertà e i diritti superando i limiti posti sino lì dalla storia.

Le ideologie del Novecento hanno interpretato questa ambizione in modi diversi. Nel solidarismo. Nell’orizzonte dell’uguaglianza o nel finalismo di una società diversa. Anche l’Italia, dopo la Liberazione, ha riscoperto una pluralità di tradizioni e partiti. Ne è nato l’incontro di un popolo con la democrazia e sono seguiti decenni di crescita, lotte, movimenti che hanno cambiato volto al paese.

Oggi serve riscoprire quel senso profondo della politica. Lo sipuò fare se un partito storicamente diverso torna a essere la leva per un balzo in avanti nelle libertà, nei principi di uguaglianza e convivenza per milioni di persone.

La difficoltà è riuscirci in un mondo che è nuovo a sua volta. Dove le vecchie soluzioni non bastano più. Dove guerre e diritti umani violati, disuguaglianze insopportabili, oltre un miliardo di esseri umani senza accesso al cibo, un ambiente sfigurato esigono dalla politica parole e contenuti radicali. Un mondo dove, oggi più che mai, la sfida progressista si misura con la prospettiva di un governo globaledi democrazia ed economia. Dentro questa ambizione si rinnova anche il valore dell’Europa unita.

La scelta del Partito Democratico si colloca qui. Come un investimento sul mondo attuale. La prima conseguenza è che il banco di prova per noi tutti non èl’Italia che c’è. Ma l’Italia che sarà.

Cosalasceremo dopo? Questa, al fondo, è la domanda decisiva per un partito e per i suoi gruppi dirigenti. Quella che ne stabilisce la natura e la forza.

Noi suggeriamo una risposta: vogliamo lasciare un’Italia additata come esempio, innanzitutto per il suo livello di civiltà. Un paese considerato. Per il rispetto verso chi qui nasce, per chi qui giunge e vive, e per il suo ambiente e la sua cultura. Un rispetto da conquistare attraverso l’uguaglianza nei diritti e nei doveri, senza distinzioni di genere, lingua, credo. E senza discriminazioni legate all’età, all’orientamento sessuale, a diverse abilità.


Una riscossa civile e morale.

La nostra ambizione – l’ambizione del Partito Democratico – è nella rivincita di questa idea dell’Italia. E’ nel condividere con una maggioranza dei cittadini le mete di una democrazia che la destra sta deformando. Noi vogliamo lavorare per una riscossa civile e morale del Paese, contro le ragioni di quella destra.

Per riuscirci dobbiamo rompere un linguaggio e una continuità con la storia di questi anni.

Abbiamo conosciuto Blair e l’impatto della modernità nel welfare. Zapatero e la fermezza sui diritti civili. Oggi, insieme al primato dei diritti umani e al dialogo tra le nazioni, vediamo in Obama il ritorno dell’uguaglianza nell’accesso alle opportunità e alle risorse economiche e ambientali. Leadership diverse, ma tutte autorevoli perché autorevoli erano e sono i traguardi che hanno saputo indicare.


A noi spetta dire l’Italia che vogliamo.

Un paese dove nessuno, nel corso della vita, sia abbandonato o veda limitata la sua libertà, in una tensione costante verso il bene comune e virtù civili condivise.

Dove il rispetto e il sostegno della dignità e dell'autonomia di ogni donna, condizione della dignità e autonomia di tutti, sia il limite invalicabile della democrazia e della civiltà.

Dove si realizzi la più clamorosa riconversione dell’economia. Mettendo al centro la dignità e l'onestà della persona nel lavoro e nella corrispondenza, anche morale, tra contenuto del lavoro, corredo di diritti sociali e qualità del reddito.

Il valore del lavoro si misura a partire da lì, dal riconoscimento dell'eguale pregio sociale tra lavoro manuale e artigianale, intellettuale e creativo, dell'impresa, dell’educazione e della cura. Tra i prezzi maggiori pagati al liberismo senza principi vi è stato, in particolare, l’offuscarsi di questo valore. Donne e uomini sono tornati a rappresentare merce per i profitti, e ciò è andato di pari passo col consumo dissennato delle risorse. Un atteggiamento esaltato da una globalizzazione senza regole, dalle delocalizzazioni, dalla via bassa alla competitività e dalla discontinuità di impieghi nel corso della vita.

Il lavoro per ritrovare lo spazio che in questi anni gli è stato negato deve uscire dall’imbuto in cui è stato sacrificato e sposarsi aun approccio culturale moderno che metta al centro della crescita la Persona.

Anche per questo la risposta alla crisi dev’essere economica e democratica al tempo stesso. Deve misurarsi coi guasti maturati nell’ultimo ventennio e coi ritardi culturali della sinistra e dei democratici europei.

Forse oggi, per la prima volta, si può cogliere tutta la miopia di quanti ci hannospiegato che il tasso di riformismo si sarebbe misurato anche sulla flessibilità come valore in sé, sulla distanza dal sindacato e sull'esaltazione di un mercato senza lacci.

Semmai una forza democratica deve spingere per una estensione della rappresentanza dei lavori e delle persone, e per un sindacato moderno, rinnovato nella sua cultura e impostazione.

In questo autunno così difficile dovremo essere fermi nel prolungamento e nella estensione della cassa integrazione, nella difesa dei posti di lavoro esistenti, nell’introduzione di sostegni attivi al reddito di chi perde l’impiego. Combattendo la precarietà e l’ideologia fondata su “vite di scarto”, perché nessuno ha diritto di “scartare” nessuno.

Dovremo spiegare le ragioni di un uso del fisco a favore dell'occupazione e delle piccole imprese. Restituire discredito all’evasione fiscale e cancellare una volta per tutte la cultura dei condoni, destinando le maggiori risorse al sostegno di pensioni e stipendi in un paese dove troppe famiglie scivolano in silenzio verso la povertà.

Il traguardo è ricostruire le regole e un principio di legalità per un’economia che arricchisce il territorio e la comunità.

Significa collocare gli italiani al vertice dell’Europa per la valorizzazionedelle risorse e dei giacimenti culturali. Traguardo che passa anche dalla forza della scuola pubblica, dall’autonomia della ricerca, da una riforma dell'informazione e dei media con una “riparazione” delle distorsioni di questi anni.

E ancora, vogliamo collocare l’Italia tra i primi nell’uso sapiente del sole, del vento, del mare, e nel corretto uso dell’aria, dell’acqua, della terra.

Per la prima volta i mutamenti climatici, le emergenze alimentari, assieme auna coscienza ambientale sempre più diffusa stanno mutando comportamenti e stili di vita. Anche nel nostro paese queste tendenze possono ispirare un nuovo civismo e aiutare occasioni di uno sviluppo economico di qualità.

Un’idea forte dell’Italia passa da un’idea alta della sicurezza. Nel rispetto rigoroso dei diritti umani, ovunque nel mondo e tanto più in casa nostra, come non è avvenuto ancora di recente col respingimento collettivo di centinaia di disperati – tra loro donne e bambini – nel canale di Sicilia.

Sicurezza contro l’odio razziale, la violenza sulle donne, l’omofobia, la prepotenza sull’infanzia e su chi è disabile.

Sicurezza come diritto di cittadinanza. Sicurezza delle persone e dei territori. Combinando il massimo contrasto del crimine, la certezza e l’umanità della pena, la regolazione adeguata dei flussi di migranti, con un programma di prevenzione, di aiuto alla vittima, con un'educazione alla cittadinanza fin dai banchi della scuola.

Tutto questo non lo possono fare un partito o un governo da soli. Per un partito moderno è decisivo aprirsi alla collaborazione permanente con associazioni, col mondo cooperativo e con le reti di solidarietà che agiscono sul territorio, in una spinta comune verso il riscatto della nazione.

In questa prova chi è in prima fila nei governi locali avrà un ruolo importante. Perché meglio di chiunque sa collegare l’agire quotidiano a un progetto.

L'Italia questo lo sa, conosce il patrimonio rappresentato dalle sue città. Questo vale per un Nord da rimotivare e riconoscere nella sua funzione nazionale, e per il Sud dove combattono risorse splendide e non rassegnate. Molta parte delle classi dirigenti più dinamiche si forma oggi nei territori, e questa è una risorsa. Ma se nei territori rimane rinchiusa, rischia di ripiegare e di rendere asfittico il paese. Noi vogliamo essere l’ossatura di classi dirigenti territoriali, ma responsabili verso il paese e capaci di tenere unita una nazione oggi spaccato. Anche per questo ci battiamo per una stagione di nuovo autonomismo consapevole e solidale.


Una democrazia esigente e che decide.

Se vogliamo davvero uscire dalla crisi con un’Italia diversaè necessario, dunque, che l’economia proceda insieme a una democrazia esigente e capace di decidere: perché dove crescono diritti e doveri, responsabilità, chance, cresce anche una società più ricca e inclusiva. Non per caso, a segnalare questo legame, si comincia a parlare sempre più spesso di “un’economia civile”.

Agendo così cresce soprattutto un Paese più orgoglioso di sé. Dove la figlia o il figlio di un immigrato possanodiventare, un giorno non troppo lontano, capo del governo, sindaco di Roma o Milano, o presidente della Repubblica.

Dove l’avanzamento dei meriti si fondi con la promozione degli ultimi, offrendo a tutti la possibilità di un’esistenza degna, dal primo all’ultimo giorno.

Traguardo che passa, per ciascuno di noi, da un reddito o una pensione sicuri lungo ogni stagione e dalla possibilità di scegliere sulle decisioni fondamentali della vita. Dalla necessità di sbloccare un Paese corporativo e drammaticamente fermo. Dalla gioia di una maternità spesso negata a causa della precarietà e da un tasso di occupazione femminile che ci colloca in fondo all’Europa, da servizi mancanti e da uno stato sociale rigido. E da una busta paga che per le donne, nonostante la Costituzione, è tuttora più leggera rispetto a quella dei loro colleghi maschi.

I frutti avvelenati del berlusconismo hanno avuto l'acme nell’offesa della dignità pubblica femminile. E’ questo forse il tratto più grave della regressione culturale inflitta dalla destra. Con un’ atteggiamento verso le donne che ha resuscitato toni e modi di un’italietta misera.

Non è solo una devianza di stile o un colpo alla credibilità del Paese. E’ un problema più serio, di fatto il tentativo di una rivincita contro la storia della libertà femminile e l’orgoglio di tante ragazze che vogliono essere considerate per qualità e senso di sé.

Questo è tanto più pericoloso in un Paese dove familismo e conservazione, segnano elités e società. E dove, non a caso, è enorme il divario tra le capacità, la voglia di farcela delle donne e di moltissimi giovani e la risposta che a questa pressione offrono le istituzioni e la comunità.

Su questo piano, anche nel nuovo partito, non abbiamo mosso passi sufficienti.

Ci sono stati errori di una classe dirigente ancora troppo maschile nei contenuti, negli stili, nella gestione del potere. E tra le stesse democratiche è aperta una riflessione sulle discontinuità necessarie e sulla costruzione di un pensiero in grado di segnare una stagione di nuova autonomia e benessere per le donne e per il Paese.

Altri “dove….” andranno scritti. Ma avendo sempre una bussola da consultare, perché senza bussola non c’è rotta e non c’è meta.

Una bussola per fare ciò che in Italia non è mai stato fatto: promuovere l’uguaglianza come spinta alla crescita e al nuovo civismo evocato da Bersani. A quella “religione civile” che in fondo è la vera, grande carenza del nostro passato e del nostro presente.

Eallora ci sono due modi di intendere l'Italia che sarà. Quello più consumato, di un riformismo conosciuto e che si accontenta. Oppure quello che si propone uno strappo culturale e, di fronte alla crisi, ripensa a un’idea di progresso.


La laicità.

Se di questo si tratta, mai come oggi la laicità è tra i principi ispiratori di questo cammino.

Laicità come guida in un mondo attraversato da fondamentalismi antichi e nuovi che impongono il loro dominio sul corpo e sulla dignità, ancora una volta, in primo luogo delle donne e dei bambini.

Laicità, dunque, come premessa della libertà individuale. Come metodo per cercare soluzioni sagge, capaci di trasmettere fiducia e speranza alle persone, e mai punitive verso le loro convinzioni o la loro condizione. Laicità come riferimento per un diritto miteche restituisca ai cittadini una possibilità di scelta sui progetti di vita che li riguardano.

Elaicità, naturalmente, come faro per classi dirigenti autonome, con la schiena diritta, tese alla costruzione di quelle virtù della Repubblica in cui potersi ritrovare, sentendosi davvero in casa propria. Che si tratti di garantire un testamento biologico effettivo, della revisione della legge 40, dei diritti e dei doveri delle coppie di fatto o dell’introduzione del divorzio breve.

Questa visione della laicità riconosce la ricchezza e il ruolo della vasta comunità cristiana e in generale delle religioni nella sfera pubblica ed è condizione anche per quel dialogo inter-religioso vitale per coltivare la convivenza e la pace. Sapendo, tuttavia, che il primato è sempre di quell'etica della responsabilità che Stato e istituzioni devono stimolare e valorizzare, con buone leggi e il buon esempio.


Una identità.

Abbiamo parlato di principi e traguardi. Ciò che vogliamo dire è che per fare un partito non bastano uno statuto alla moda o un buon programma di governo. Diventeremo un vero, grande, partito democratico se poggeremo le nostre ragioni sul mito di un paese possibile. Perché su quel mito potremo aggregare un “popolo”. Il nostro.

Per fare tutto questo serve una identità. Chiara.Riconoscibile. Questo è un punto di discontinuità con l’impostazione prevalente nel primo anno e mezzo di vita del PD. Perché proprio questa convinzione è stata negata, anche sul piano teorico, da chi ha guidato il partito finora. Motivando la vocazione maggioritaria come rappresentanza passiva di qualunque domanda e bisogno e non come la capacità di organizzare gli interessi parziali intorno a un’idea forte del Paese. Un’idea fondata sulle priorità, sulle coerenze, sulle scelte di una battaglia culturale e politica alla destra.

Purtroppo quel vuoto ha pesato. Ha ridotto l’entusiasmo verso il progetto. Abbiamo condotto un’opposizione talvolta efficace, ma sono venuti meno autorevolezza, radicamento e milioni di voti.

E’ mancata una discussione ordinata, in cui far sentire la voce dei Circoli e di un circuito più largo di sostenitori. Alcuni di noi avrebbero preferito tenere il congresso subito dopo il voto politico, per poter reinvestire al meglio quel 33 per cento raccolto.
Invece abbiamo finito coll’archiviare le dimissioni del Segretario eleggendone un altro in una manciata di ore, senza un confronto vero e ridando così fiato a correntismo e “caminetti”.

Ma se le cose stanno così, il punto non è impedire un ritorno all’indietro. Nessuno vuole tornare a prima. Questa è una caricatura. Il punto è come scegliamo di andare avanti.


Un partito vero.

Alle spalle abbiamo anni segnati dallo spregio verso la politica e i partiti. Quel giudizio si è fondato su un’immagine a volte devastata della qualità e moralità dell’impegno pubblico e nelle istituzioni.

Ma il PD è nato esattamente per contrastare quel sentimento e invertire quella deriva. Anche per questo vogliamo “un partito”. Non una sua imitazione. Tanto meno un partito ridotto a comitato elettorale di qualcuno, o parentesi tra un evento televisivo e l'altro.

Un partito solido, trasparente, dove sia facile entrare e contare. Dove si studi, si lavori e si possa gioire insieme. Dove tutte le regole venganoapplicate e non solo proclamate. Pensiamo debba valere l’incompatibilità tra incarichi politici e incarichi pubblici. Chi fa il sindaco o il presidente di provincia o di regione non può allo stesso tempo dirigere il partito. Chiediamo che i gruppi del PD nelle istituzioni prevedano degli albi per la selezione delle candidature alle nomine pubbliche di competenza della politica.

Noi siamo per le primarie nella selezione dei sindaci, dei presidenti di provincia e di regione. Vogliamo le primarie per la selezione dei candidati al Parlamento. Vogliamo anche introdurre la possibilità di consultazioni referendarie degli iscritti su alcune scelte di linea e di contenuto, perché anche così il partito impara a essere “democratico”, nel modo con cui si assumono e si rispettano le decisioni della maggioranza.

Per la guida del partito, a tutti i livelli, vogliamo una discussione e una scelta seria nel congresso per consentire al partito e ai suoi iscritti di decidere come governare quella procedura, quando realizzarla perché sia davvero la porta girevole di una partecipazione larga e appassionata. Quello che non può più proseguire oltre è un meccanismo che, a tutti i livelli, appalta funzioni e ruoli secondo appartenenze a gruppi e componenti sacrificando ogni principio di capacità e merito.

La costruzione di un partito è come la crescita di un figlio. Può far sorridere, ma è così. Chiede dedizione, affetto, regole, severità. E anche il coraggio di correggere le cose che non hanno funzionato. Ma è solo se questo impegno viene affrontato senza scorciatoie o improvvisazioni che quel partito crescerà sano e libero.


Un nuovo centrosinistra.

Infine, parlando del partito che dobbiamo costruire, pensiamo che il nostro sguardo sarà più lungo se terrà conto della storia del paese, delle radici che hanno reso possibile arrivare sino qui, con il coraggio di chi sa che è giusto cambiare ancora.

Questo vorrà dire guardare verso altre e altri, recuperando lo spirito della “costituente” archiviato troppo in fretta.

Insomma, pensiamo a un partito curioso, aperto. Un partito attento anche alla sinistra che si interroga fuori da noi, alle forze dell'opposizione più moderate, perché una nuova alleanza, un nuovo centrosinistra, si possa iniziare a costruire da subito, e in coerenza con quel bipolarismo necessario al Paese e al quale non intendiamo rinunciare.

Pensiamo a una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare. Con un ruolo rigenerato dei partiti e la massima pubblicità nei loro finanziamenti.

L’attuale legge elettorale per il Parlamento nazionale è un insulto. Oggi una decina di persone stabilisce la composizione di Camera e Senato. Per cambiare questa assurdità serve una maggioranza di deputati e senatori.

La nostra scelta è per il ripristino del collegio uninominale maggioritario, preferibilmente a doppio turno. Nel caso questa soluzione non fosse raggiungibile si deve valutare un sistema proporzionale con soglia di accesso. Ma con una chiarezza sulle alleanze successive. Perché i partiti hanno il dovere di dire agli elettori – prima delle elezioni – con chi intendono allearsi.
E’ una decisione imposta loro da quella coscienza bipolare del Paese che è tra i veri fatti nuovi e positividell’ultimo ventennio.

Noi non vogliamo tornare alle pratiche dei governi figli di estenuanti trattative. Ma questo traguardo, largamente condiviso nell’opinione pubblica, a questo punto non passa solo dalle regole elettorali. Passa dall’autonomia e dalla credibilitàdella politica.

Le forze sinceramente bipolariste saranno premiate. Chi lavorerà contro il bipolarismo verrà punito. Ciò che non funziona più (visti i risultati conseguiti finora) è l’idea che le tecniche elettorali cambinoda sole le culture politiche. Questo schema voleva sperimentare in Italia l’elezione diretta del governo da parte dei cittadini. Il risultato è che ai cittadini è stato sottratto anche il diritto di eleggere il Parlamento. Adesso è venuto il momento di restituire agli elettori lo scettro della decisione. Ma per davvero.


La nostra vocazione maggioritaria.

Vivrà qui, infine, la vera vocazione maggioritaria del PD. Nella nostra capacità di rendere popolari valori e traguardi che consideriamo irrinunciabili, e che oggi non sono ancora vincenti.

Per tutte queste ragioni è giusto scegliere bene il progetto e la leadership migliori per battere una destra illiberale, che mostra alcune crepe, ma ancora forte nel consenso che raccoglie. A Pier Luigi Bersani chiediamo di interpretare questa leadership e di essere il segretario di tutti. Noi lo appoggeremo con lealtà, battendoci per le idee nelle quali crediamo di più e che abbiamo richiamato in questo documento.

Lo facciamo convinti che viviamo un destino comune e che il giorno dopo il Congresso dovremo poter dire, con più sicurezza, di avere una passione condivisa, una comunità vitale, pensieri forti e un popolo da rappresentare.

A Bersani chiediamo un atto di rigore: la scelta di avviare una stagione per le Democratiche e per i Democratici segnata da una sobrietà dei toni pari alla determinazione delle battaglie che saremo chiamati a condurre.

Infine gli diciamo che il miglior leader sa di non bastare a se stesso perché l’orchestra senza direttore non produce armonia, ma il direttore senza orchestra non emette suono. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Perché solo insieme ce la potremo fare.

Non sarà facile. Ma da qui dobbiamo ripartire e, insieme, ce la possiamo fare.

Su questo e altro vogliamo contribuire al confronto congressuale anche con incontri nelle nostre città. Il primo appuntamento che ci diamo è a Milano a inizio settembre.

Gianni Cuperlo, Barbara Pollastrini, Claudio Martini, Mercedes Bresso, Flavio Delbono, Nicola Zingaretti, Antonio Panzeri, Fabrizio Onida, Leonardo Domenici, Marilisa D’Amico, Andrea Cozzolino, Sergio Staino, Daria Colombo, Enzo Amendola, Alessandra Kustermann, Susanna Cenni, Andrea Orlando, Stefano Esposito, Donata Lenzi, Roberto Vecchioni, Giuliana Manica, Andrea Benedino, Graziella Pagano, Rossella Lama, Giuseppina Muzzarelli, Stefano Draghi, Stefano Fassina, Teresa Bellanova, Lucia Codurelli, Giovanna Martano, Angelo Zucchi, Salvatore Veca, Ornella Piloni, Lisa Noja, Doris Lo Moro, Loris Maconi, Ignazio Ravasi, Michele Bordo, Romana Bianchi, Piera Capitelli, Cinzia Fontana, Paolo Corsini, Gabriella Ercolini, Catiuscia Marini, Luigi Duse, Giorgio Cazzola, Vitantonio Ripoli, Edoardo Borruso, Antonio Duva, Gianni Farina, Marilena Samperi, Ferruccio Capelli, Laura Froner, Ivana Bartoletti, Giorgio Roilo, Ardemia Oriani, Silvana Giuffrè, Luciano Pizzetti, Silvia Velo, Marialuisa Gnecchi, Sesa Amici, Dario Ginefra, Fabio Porta, Lodovico Vico, Paolo Fontanelli, Sergio Lo Giudice, Marcella Marcelli, Valeria Valente, Elena Buscemi, Francesco Demuro, Nico Stumpo, Stefano Sedazzari, Marta Battioni, Brunella Celli, Anna Puccio, Monica Zaccarini, Annamaria Antoniolli, Giuseppe Jennarelli, Daniela Turci, Alfredo Bologna, Michele De Pascale, Ivana Gonizzi, Alessandro Oderda, Annamaria Abbate, Stefano Dal Pra Caputo, Adele Vignola, Rosita Fabbri, Rita Zampolini, Roberta Di Pasquale, Marta Romanelli, Alessandro Perini, Fulvio Santagostini, Mauro Macis, Alfio Tondelli, Sandro Guercio, Mauro Vicini, Tina Mazzoleni, Umberto Mascanzoni, Osvaldo Miraglia, Vanes Tamburini, Matteo Mangili, Antonio Tarantino, Gianfranco Massetti, Elisabetta Barrella, Sabrina Greco, Carla Fabrizi, Anna Maria Perinelli, Gianpiero Pinna, Donatella Passerini, Fernando Gaballo, Rudy Lazzarini, Salvatore Bruscia, Luca Poli, Pasquale Fiorillo, Pier Natale Mengozzi, Giovanni Barberini, Maurizio Canevari, Martina Draghi, Tamara Ferretti, Marina Badino

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